Non potevo credere a quello che mi stava succedendo. Tutti i miei piani e le mie previsioni erano stupendamente saltati. Avevo pianificato per mesi quel lavoretto, ore infinite passante al volante della mia auto pensando a quello che avrei potuto fare. E poi a casa, al mio computer, mentre la mia mogliettina preparava la cena per me e per i miei due splendidi bimbi, a scrivere e progettare il piano finale. Con tanto di commenti e alternative a seconda delle variabili dipendenti e indipendenti che sarebbero potute succedermi. Avevo imparato molto durante gli anni del liceo, passati praticamente tutti a leggere libri di guerra, di imprese stoiche compiute da manipoli di uomini e diari di veterani tornati dal fronte. Quella era la vita che avrei voluto fare anche io se non fosse stato per via del mio matrimonio. Troppo presto avevo scoperto che sarei diventato padre, dovetti abbandonare gli studi all’accademia militare e l’idea di diventare un vero soldato. Non che potessi lamentarmi, avevo la mia bella mogliettina, una splendida 30enne ancora in buono stato, e che dire dei miei due figli: Adolfo ed Hermann. Due splendide creature, bravissimi a scuola, i migliori della classe. I suoceri e i miei genitori erano i nonni ideali, questo è uno dei motivi per cui tutti gli anni, ormai da 12 anni, andavamo assieme in villeggiatura al mare. Prima solo noi sei, e poi tutti assieme, la comitiva perfetta dopo l’arrivo dei bimbi. Avevo la mia bella vita da impiegato alla poste e una splendida famiglia. Avrei avuto la più bella vita che un essere umano potesse immaginare, se non fosse stato per quel cruccio che covavo da ormai 7 anni. L’antefatto è una mia uscita serale. Dovete sapere che io sono sempre stato fedele alla mia dolce mogliettina e mi sono concesso, fino a 2 mesi fa, cioè fino al giorno in cui mi hanno arrestato, una uscita settimanale. Più precisamente il giovedì sera. Percorrevo pochi chilometri per bere una cosa con una mia vecchia amica e, in uno di questi incontri, scoprii che faceva il lavoro più antico del mondo. Ma lei non era come le altre, quelle portate in Italia dai negri e dagli slavi, lei lo faceva perché le andava di farlo. Mica come quelle quattro troie di nigeriane e moldave, per non parlare delle romene, che succhiavano cazzi e la davano via solo per fare un po’ di soldi. Lei ci metteva sentimento. Infatti, mai mi permisi di definirla prostituta o, peggio ancora, troia. Lei era dolce e sensibile, una delle ultime romantiche di quel campo. Fu così che, appena scoprii il suo lavoro, decisi di proporle un patto. La bevuta di birra di sarebbe trasformata in una cena in un bel ristorante della zona, a spese mie. Lei, in cambio, mi avrebbe reso un servizio attinente con il suo lavoro, a titolo gratuito. Fu così che, nonostante sia rimasto sempre un marito perfetto, tutti i giovedì sera avevo questa esperienza che non si può certo definire extra coniugale, perché la mia amica, di cui eviterò di pronunciare anche solo il nome di battesimo, in realtà non stava veramente lavorando in quanto non pagata. Insomma, come vi stavo dicendo, un giovedì sera tornando a casa dal ristorante un po’ più tardi rispetto ai primi tempi, il motivo di queste uscite un po’ più lunghe ve lo ho appena detto, vidi mia moglie che parlava con il nostro vicino, il signor De Belli. Era un ottantenne ancora autonomo e tutto sommato simpatico e disponibile. Ad un certo punto però, entrando nel viale di casa, mi accorsi che mentre mia moglie salutava il nostro vicino e rientrava in casa, lui, il vecchio bavoso e pervertito, le guardava il fondoschiena. Anni e anni di sopportazione e pazienza con i pervertiti sociali sfociarono in una rabbia tanto violenta quanto determinata. Avrei dovuto allora fermare la mia auto, scendere e affrontarlo da vero uomo in una colluttazione da film americano. Ma non lo feci. Preferii dirigermi direttamente in garage ed entrare subito in lavanderia, che stava proprio adiacente al box auto. La spiegazione? Semplice, quella sera la mia amica non era agibile, si offrì comunque di farmi un lavoretto. Restammo così in auto. Nel momento di massimo godimento, per me si capisce, lei tossì e così mi venni sui pantaloni, sporcandoli con due grosse macchie ad altezza patta. Questo è l’unico vero motivo per cui preferii non affrontare subito il vecchio ma aspettare il momento ideale. Quel colpo di tosse mi diresse in lavanderia a cambiarmi i pantaloni anziché affrontare il porco. Così, per tutti i mesi e poi gli anni seguenti, la mia rabbia e il mio odio nei confronti del vecchio aumentarono e le mie preghiere, che scongiurassero una sua morte prematura, erano sempre maggiori e devote a tutti i santi in paradiso. Pensai a mille maniere per farlo fuori, maniere che poi si dimostrarono inutili visto il colpo di fortuna che mi capitò un pomeriggio assolato di aprile. Capitò tutto in fretta, come in fretta cambiò la mia vita, da allora in una cella. Tutta la mia famiglia, i quattro nonni compresi, era andata al mare. L’estate prematura aveva portato in spiaggia anche gli altri nostri vicini di casa. Quindi nel giro di 100 metri eravamo rimasti in casa solo io e la mia vittima. Nei vari miei piani non c’era questa situazione ma riuscii ad adattarmi velocemente. Andai a bussare al vecchio con una scusa qualunque, se non ricordo male gli chiesi un martello. Così, il matusa mi accompagnò nel suo garage ed ebbe la bella idea, per me, di chiudere la porta. Tutto quello che successe, lo fece in pochi secondi. Fui rapidissimo, tanto che decisi di non mettermi i guanti monouso che avevo prelevato dal cassetto delle pulizie di mia moglie, accesi un attimo la luce, giusto per verificare dove fosse la talpa sdentata e agii con fare felino. Non vi fu bisogno di chissà quale impegno, presi il vecchio per la gola e dopo pochi istanti le sue mani, che mi tenevano strette le braccia, crollarono sotto i miei possenti muscoli. Decisi di andarmene subito onde evitare che il mio piano perfetto potesse fallire ma ero sicuro, nessun errore era stato fatto. Mi sistemai i vestiti, respirai profondamente e aprii la porta.
La luce di quell’aprile caldissimo mi accecò e, se non fosse stato per il carabiniere che mi invitò subito a mettermi con le mani dietro la testa e la faccia rivolta al garage, sarebbe stata una bella sensazione. Lì per lì non capii cosa ci potesse fare una pattuglia di carabinieri proprio davanti al garage del mio vicino ma, purtroppo per me, mi fu spiegato dal mio avvocato. Il mio piano perfetto ebbe, in realtà e a mio netto sfavore, alcune imprecisioni. Una volta entrati in garage e chiusa la porta, come vi dissi, per verificare il punto esatto dove si trovasse la mia vittima, accesi un attimo la luce. Nel fare questo, azionai l’allarme dei miei vicini. Così, non solo arrivò la guardia di sicurezza ma questa chiamò subito i carabinieri che, assoluta sventura per me, erano lì in zona. Come vi dissi, decisi di non mettermi i guanti, e fu un errore, perché nella colluttazione ruppi gli occhiali al mio vicino e rimasero le mie impronte proprio sulle lenti del vecchio. Sventura delle sventure, cosa di cui mi accorsi solo una volta uscito dal garage, il vecchio un attimo prima di morire si fece la pipì addosso e sporcò anche le mie braghe. Il semplice esame del dna rilevò la presenza di urina del vecchio sui miei pantaloni. Per ultimo, il vecchio, accasciandosi al suolo, si aggrappò alle mie braccia e nello stringermi mi segnò la pelle. Così, sotto le unghie furono trovati piccoli depositi di pelle corrispondente a quella della mia persona. Se non fosse stato per quei piccoli errori ora sarei a piede libero e sereno con la mia famiglia, purtroppo anche le persone perbene commettono errori nel commettere un omicidio.
Veterano di guerra
Veterano di guerra
ultima modifica: 2015-10-19T08:36:12+02:00
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