Un bel sentiero largo e sterrato abbellito da una serie di piante verdeggianti che sembravano piantate più che nate in modo spontaneo, quasi un giardino costruito ad arte. Gli alberi vi crescevano gli uni accanto agli altri e, incredibile a dirsi, varie specie erano lì senza distinzione né di clima, né di altitudine. Si contraddistinguevano per un particolare che non potetti non notare: erano tutte piante a ombrello, con tanti bei rami frondosi e ampi sotto i quali era possibile trovare riparo e ricovero. Il paesaggio mi aveva quasi affascinato e procedevo lentamente.
Un bel rivo gorgogliante scorreva con le sue acque limpide e non troppo profonde, ma animate da tanti movimenti a guizzo che mi fecero presumere la presenza di molti pesci.
Lungo le sue sponde trovai fermi a leggere o a riposare, vari sconosciuti che non mancarono di salutarmi festosamente.
Guardavo e mi piaceva.
Poi piano piano il paesaggio cominciò a mutare.
Ebbi la sensazione come di un cambio netto, come di vedere il rovescio della medaglia.
Lungo il percorso ancora una strada sterrata, ma mancavano le belle piante che avevano addobbato le rive verdeggianti del ruscello che mi pareva non scorresse più con la sua cadenzata cantilena. Subito più avanti vari gruppi di persone se ne stavano tristi e pensierosi e guardavano più in alto. E lì, non volevo quasi crederci, c’era un raggruppamento nutrito che rideva a crepapelle.
Il mio amico smemorato aveva visto quello che stavo vedendo anch’io? Aveva guardato il mio stesso film?
C’era del misterioso in questo mio percorso e soprattutto nel suo.
Poi alzai anch’io gli occhi verso l’alto perché l’immagine stava zumando verso la cima di un monte.
Era quella la montagna? Quel giovane non l’aveva immaginata o sognata, il suo flash all’infinito c’era davvero ed io la vidi in tutta la sua imponente maestosità.
E poi, stentai a crederci, ma lo vidi: il mio smemorato era lì, nel gruppo e rideva, rideva anche lui tenendosi la pancia.
Era arrivato prima di me? E come aveva fatto?
Ero ancora fissato su quello che avevo visto che quasi sbattevo contro una bestia, sì un bestione che mi correva incontro senza guardare affatto dove mettesse le zampe; sembrava uno struzzo, molto grosso, ma al posto del lungo collo e la piccola testa aveva delle lunghe orecchie pendenti attaccate a un cranio pelato, come due bande di capelli. Niente bocca, niente naso o qualcosa che gli assomigliasse.
Mi scansai quasi all’ultimo secondo, altrimenti mi avrebbe travolto.
Il cuore mi batteva all’impazzata e mi misi un attimo a sedere.
Sapevo di essere sempre lungo la mia corsia, ma lo spettacolo intorno era talmente verosimile che mi sembrò di essere seduto su un grande masso, circondato da una bella radura di bosco. Un bosco di faggio.
Le musiche e il sonoro fino allora non li avevo considerati, ma in quel silenzio comparvero come all’improvviso. Cinguettii nell’aria sopra di me, sbuffi di foglie smosse, palpiti di vento leggeri tra le fronde, gorgoglio di acque in lontananza e sempre più percepibile, una melodia conosciuta, che si accendeva e spegneva tra gli altri suoni.
Mi spostai in quella direzione richiamato come da un pifferaio magico e vidi un lettino e un bimbo seduto ad ascoltare quelle note che diventavano via via più forti e chiare.
La scena era paradisiaca, ma l’immagine di me bambino seduto sul letto, mi fece sobbalzare.
Iniziai a correre come inseguito dalla mia stessa paura.
E il film mi scorreva addosso, mi circondava e ne percepivo la corrente mentre flash di vissuto mi attraversavano correndomi lungo la schiena con un forte brivido che si propagava a tutto il mio corpo intorpidendolo.
Mi sembrò di vedere la fine della corsia e questo mi dette la forza e lo scatto per balzare in avanti sebbene stremato.