Ero ancora fissato su quello che avevo visto che quasi sbattevo contro una bestia, sì un bestione che mi correva incontro senza guardare affatto dove mettesse le zampe; sembrava uno struzzo, molto grosso, ma al posto del lungo collo e la piccola testa aveva delle lunghe orecchie pendenti attaccate a un cranio pelato, come due bande di capelli. Niente bocca, niente naso o qualcosa che gli assomigliasse.
Mi scansai quasi all’ultimo secondo, altrimenti mi avrebbe travolto.
Il cuore mi batteva all’impazzata e mi misi un attimo a sedere.
Sapevo di essere sempre lungo la mia corsia, ma lo spettacolo intorno era talmente verosimile che mi sembrò di essere seduto su un grande masso, circondato da una bella radura di bosco. Un bosco di faggio.
Le musiche e il sonoro fino allora non li avevo considerati, ma in quel silenzio comparvero come all’improvviso. Cinguettii nell’aria sopra di me, sbuffi di foglie smosse, palpiti di vento leggeri tra le fronde, gorgoglio di acque in lontananza e sempre più percepibile, una melodia conosciuta, che si accendeva e spegneva tra gli altri suoni.
Mi spostai in quella direzione richiamato come da un pifferaio magico e vidi un lettino e un bimbo seduto ad ascoltare quelle note che diventavano via via più forti e chiare.
La scena era paradisiaca, ma l’immagine di me bambino seduto sul letto, mi fece sobbalzare.
Iniziai a correre come inseguito dalla mia stessa paura.
E il film mi scorreva addosso, mi circondava e ne percepivo la corrente mentre flash di vissuto mi attraversavano correndomi lungo la schiena con un forte brivido che si propagava a tutto il mio corpo intorpidendolo.
Mi sembrò di vedere la fine della corsia e questo mi dette la forza e lo scatto per balzare in avanti sebbene stremato.
Credevo di essere in salvo.
Alla fine della corsia fui catapultato fuori. Luci abbaglianti impedivano di vedere.
Ed eccomi davanti alla seconda porta, quella di corno alla quale credevo di aver rinunciato.
Sulla porta un cartello.
-Lo hai scritto per me?
-No, non credo proprio.
-Eppure me lo sono sentito addosso.
-L’ho scritto ma non ti ho pensato.
-Ma tu mi ami?
-Senza di te non esisterei; forse per questo ti amo.
-Ma se io non esisto nei tuoi pensieri, come farai a scrivere per me?
-Non credo di scrivere per te, proprio per te, sei tu che dopo mi scegli.
-Dici?
-Penso. Alcuni ne amano svariati, altri pochi, altri per niente. Come lo spieghi se non attraverso una scelta?
-Empatica?
-Può darsi.
-Mai io mi sono riconosciuto o forse volevo credere che io fossi stato il tuo modello…
-Non indagare altro.
Avevo appena terminato di leggere le ultime sillabe che la porta si aprì.
Credevo di essere precipitato all’inferno.
Una ridda di persone si muoveva in un enorme stanzone dalle pareti altissime.
Donne, bambini, vecchi e cavalieri e dame e folletti e hobbit e musici e attori e saltimbanchi e straccioni e…
Troppi, tanti. Ma dove ero finito?
Mi fermai un attimo al centro dello stanzone. Quelle che in un primo momento mi erano sembrate pareti altissime in realtà erano imponenti scaffali dal pavimento al soffitto pieni fitti fitti di qualcosa che non distinguevo benissimo, ma che uno degli abitanti di quella strana città mi aiutò a capire, sfilandolo dalla parete a me più vicina: libri.
Ero dentro un’immensa biblioteca.