(Il padre di Viola, la protagonista, racconta alla figlia chi era il proprietario del marina che la famiglia sta decidendo di rilevare)
Mio padre mi raccontò tutto ciò che sapeva su Attila.
Commerciante nato, intrallazzone, imbonitore, furfante o gentiluomo, secondo l’umore, con lui si potevano fare grandi affari o prendere enormi fregature. Capitava ogni tanto che uno dei clienti bidonati si presentasse al negozio strepitando. Attila metteva in piedi la solita sceneggiata: strabuzzava gli occhi incredulo, giurava e spergiurava di essere stato fregato a sua volta, quasi si strappava i capelli dalla disperazione. Poi invitava il cliente a pranzo, perché diceva «colla panza piena se rraggiona e se fa rraggionà mejo pure l’artri», lo ubriacava di parole, e all’uscita dal ristorante riportava il malcapitato in ufficio, rabbonito e pronto a un altro affare.
Attila era abilissimo anche nel recupero crediti. L’importante era incamerare la somma dovuta, sotto qualsiasi forma. Nel piazzale antistante il negozio esponeva auto, scooter, moto, e nel suo ufficio proponeva sottobanco orologi d’oro, tovaglie ricamate, falsi d’autore e abiti pseudo-firmati. Tutti pagamenti in natura ricevuti da clienti debitori.
Mio padre, che gli aveva fornito tappezzeria per anni, conosceva bene i suoi sistemi. Attila comprava tanto, ma bisognava sottostare alla sua mania di contrattare, barattare e intrattenere. Fra una pretesa di sconto, un rilancio sui quantitativi, una richiesta di dilazione di pagamento e l’immancabile offerta di merce di dubbia provenienza, era d’obbligo sorbirsi aneddoti, barzellette sconce, battute pungenti su tutto e tutti, rimbrotti a dipendenti fannulloni e, per finire, l’immancabile litigata al cardiopalma con la segretaria-amante di turno.
La donna secca con i capelli rossi che avevo visto cucinare al marina era stata la sua ultima convivente. Si chiamava Marisa. Trent’anni meno di lui, faccia da cavallo, occhi spenti. Attila si vantava di averla strappata al lavello di un lurido ristorante del porto di Bragagna e di averla trasformata in una signora. Rimasta incinta – come da copione – Marisa aveva sperato sino alla fine che lui la sposasse, ma l’unico contentino che Attila le aveva dato prima di morire era stato un misero due percento della società, che né lei né Gianluigi erano stati in grado di gestire.
Estratto da “Un fiume di guai” di Eleonora Scali
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