“Un fiume di guai” – Estratto 5

(Viola, la protagonista, inizia a conoscere meglio Carmelino Gerasa (alias Nino), procuratore della società dalla quale lei e la sua famiglia hanno preso in gestione il marina)

In soli due mesi, fra anticipazioni per le concessioni e prestiti vari, ero fuori di centosessantacinque milioni e ottocentotrentasettemila lire. Lo feci presente a Nino insieme al fatto che fino al quel momento non aveva ancora emesso una singola fattura alla Stella del Fiume, né aveva scritto le lettere che giustificavano i prestiti extra-contratto.

«Fallo tu per me – disse – Anzi, visto che io sarò sempre più spesso fuori ufficio per risolvere questioni legali, potresti gestire anche qualche altra scartoffia? Petite chose…», mi allungò una cartelletta stracolma di carta.
Detti una rapida occhiata al contenuto. «Ma qui Nino c’è da rispondere a un sacco di gente, fare fatture, bolle, contabilità. Posso prepararti i documenti, se vuoi, ma poi bisogna che controlli e firmi tutto quanto».«Macché, macché, non si può fermare tutto per una stupida firma! É normale routine. Firma tu, mi fido».
“Io, di te, per nulla”, pensai. Ma siccome in quel modo avrei avuto la possibilità di sistemare i sospesi contabili fra le due società e tenere sotto controllo la Trigone, decisi di prendere la palla al balzo. «D’accordo, Nino». Presi la cartelletta sottobraccio e mi congedai.

Addentrandomi in quella che aveva definito normale routine, ebbi la conferma che Nino giocava sporco: c’erano alcuni ammanchi in cassa, erano sparite un paio di barche senza che fosse stata emessa fattura, i fornitori continuavano a sollecitare vecchi insoluti.
Decisi di far finta di nulla, ma per evitare che, un giorno, Nino mi accusasse di aver mal gestito le sue cose, decisi di redigere ogni documento della Trigone col suo computer, col medesimo timbro e scarabocchio di firma e quando ero costretta a compilare qualcosa a mano, utilizzavo una calligrafia artefatta. Inoltre presi l’abitudine di fotocopiare tutti i fogli che mi passavano per le mani.

Nino, era così soddisfatto della mole di lavoro che sbrigavo al suo posto, che mi concesse perfino il tedioso privilegio di accompagnarlo a ogni udienza in tribunale e in ogni ufficio pubblico nel quale dovesse recarsi per le concessioni, o per risolvere contenziosi della Trigone.
In materia di legge, al contrario del resto, Gerasa era una vera autorità: redazione di atti per il tribunale, memorie di parte, citazioni, sequestri, denunce, querele sembravano essere il suo pane quotidiano. Conosceva tutti i cavilli possibili per attaccare in termini di legge, difendersi di fronte alla legge, aggirare la legge.

Sapeva con precisione in quale stanza di quale edificio di quale ente trovare il giusto interlocutore per ogni specifico problema. Conosceva tutti per nome e cognome, dai semplici impiegati, ai funzionari, avvocati, periti e giudici. Tutti lo salutavano con ossequioso rispetto, lo chiamavano Dottore, quasi temessero di pronunciare il suo nome. Qualcuno, al solo incrociarlo lungo gli infiniti corridoi di tribunali e uffici pubblici, piegava appena il capo in una sorta di inchino, altri sembravano volersi mimetizzare con le pareti, pur di evitare di arrivargli a portata di stretta di mano. Ebbi anche l’impressione che, sia i rispettosi che i restii, evitassero volutamente d’incrociare il suo sguardo.

Come aveva preannunciato, Nino cominciò a venire in ufficio sempre più di rado.

 

 

Estratto da “Un fiume di guai” di Eleonora Scali

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“Un fiume di guai” – Estratto 5 ultima modifica: 2017-02-07T08:52:41+01:00 da Eleonora Scali

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