Archivio per tag: Storie Scollate

Parole incollate e parole scollate (I più votati di Prosa e Poesia)

Da quando sono nato non mi stupisco più di nulla e non ricordo il nome del mio luogo di nascita e questo la dice lunga sul mio girovagare da quando ero un neonato.
Qui sento già le prime rimostranze: i piccoli dell’uomo camminano a quattro zampe e solo dopo si sollevano su due, non è quindi possibile che un bebè cammini da subito. Eppure questa è la mia storia.
All’inizio credevo di avere i piedi incollati alle scarpe, ora so di essere nato con i piedi scarpa o con i piedi a forma di scarpa e di aver avuto subito l’istinto a stare diritto e soprattutto a camminare. Non è stato facile abituarsi e muoversi in un mondo alto o comunque molto più alto di me, come mi è capitato per lungo tempo.
Immaginate un neonato tutto testa e tutto scarpe, ma in altezza un Lillipuziano, sì, proprio come i piccoli abitanti di Lilliput!
Se gli altri piccini imparano a camminare con l’aiuto degli adulti che lo hanno a loro volta imparato da altri, io l’ho fatto da solo e senza alcuno sforzo andavo, perché la spinta a camminare è sempre stata fortissima, senza sapere e senza meta.
Più camminavo e più crescevo, più crescevo e più aumentava la mia spinta a camminare.

Ho visitato e rivisitato molti distretti che a distanza di tempo mi apparivano diversi e nuovi. La mia vista sapeva riconoscere le somiglianze, ma li guardavo con occhi differenti tanto che non mi sembravano più gli stessi luoghi.
Se il vecchio proverbio recita che il mondo è bello perché è vario, io posso dire che il mondo si assomiglia tanto, tutto, cambia solo il modo di guardare.
No, forse non è solo il modo di guardare, ma anche quello di chiamare, nel senso non tanto del nome dato alle cose quanto tutto quello che si può intendere con quel nome.
Ciascuno intende a modo proprio.
Non è una questione di dialetto o di lingua diversa, è proprio che le parole son parole e hanno una loro discendenza: quando le usiamo una entra in un’altra e come le scatole cinesi o le matriosche, sembrano uguali, ma non lo sono.
Se io dico ad esempio che ho le mani di colla posso intendere che sono appiccicose e adesive, ma tra loro oppure che attaccano tutto ciò su cui si posano? Se attaccano tutto allora vuol dire che si impiastricciano e qualcuno più fantasioso può anche vedere mani piene di cose, tutte quelle che ci si sono attaccate e che le mani collose non  lasciano cascare: le vede allora nascoste e invisibili sotto una montagna di oggetti che ci si sono appiccicati.
Da una parte questo gioco delle parole che fa vedere a ognuno quel che ognuno vede  è molto piacevole, ma a volte complica la vita.

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Storie scollate (I più votati di Prosa e Poesia)

Uno scollo provocatore: la testa scollata

Dico sempre a me stesso che nelle faccende umane non è il caso di usare il superlativo assoluto, ma solo il relativo, anche quando alcune vicende sanno stupirti.
Quanto ho visto e vissuto nel paese di Scollam, non ha niente di umano; si ciancia tanto su mondi paralleli e alieni, ma li abbiamo in casa e non ce ne accorgiamo, anzi vogliamo convincerci che siano di questo mondo.
A Scollam dopo le 5 del pomeriggio e durante la stagione estiva, camminando per le strade incontri pochi o molti esseri viventi, posso definirli anche umani, perché umani sono in tutto e per tutto, con un particolare che li differenzia: hanno la testa scollata dal collo.
No, non fluttua come un palloncino sopra i loro colli, ma è proprio scollata dal resto e ciascuno la porta, si fa per dire, sotto il braccio, a destra o a sinistra. Il braccio circonda completamente la testa dell’individuo che la sorregge con la propria mano.
L’effetto è in un primo momento sconcertante, poi ci si fa l’abitudine e non ci se ne accorge più.
Le bocche ti salutano e ti parlano in quella posizione, proprio come se fossero al loro posto. Lo sbalordimento aumenta nuovamente quando al mattino ciascuno indossa la propria testa e va a svolgere le proprie mansioni quotidiane. Alle 5 pomeridiane, quasi un gong suonasse, le popolazioni di Scollam, senza versare una sola goccia del proprio sangue, passano la propria testa sotto il proprio braccio.
L’ho fatta tanto lunga perché ogni volta che ricordo quel che ho visto lo devo richiamare dalla memoria senza fretta altrimenti stento ancora a credere di aver visto e vissuto a Scollam ciò che ho visto e vissuto.
Se chiedete agli abitanti come sia possibile il fenomeno, rispondono che a loro viene spontaneo e non ricordano proprio quando lo hanno imparato. Quando volli indagare più approfonditamente sulle motivazioni dello “scollamento”, furono evasivi e si mostrarono poco propensi a risposte esaurienti. Mi dissero che era necessario, che non si poteva restare sempre incollati, che d’estate faceva troppo caldo; insomma, mi imbandirono un sacco di scempiaggini più che spiegazioni.

Scollo discreto e senza scollo, collo lungo e senza collo

Esistono vari modelli di scolli: lo scollo o, come lo chiamano gli scollammesi, lo scolcollo discreto, ma anche il senza scollo, ormai raro e lo scollato sempre, molto di moda. Questo significa che non tutti gli abitanti lo praticano; alcuni solo occasionalmente, altri sempre, altri mai.
Questi ultimi non hanno mai voluto rispondere alle mie domande, limitandosi quelle poche volte che sono riuscito a comunicare con loro, ad accennare un sorriso gentile sulle labbra, appena abbozzato ma chiaro ed evidente, quasi una canzonatura leggera.
Più pronti a dare spiegazioni, ma senza effettive e precise risposte sono i praticanti dello scollo occasionale o discreto.
L’unica cosa chiara è che non essere praticanti implica una specie di radiazione dalla comunità. Se non ho capito male o ti scolcolli o non sei ritenuto un membro a tutti gli effetti. Ecco perché molti hanno scelto di scolcollarsi discretamente.
Questa pratica inveterata sta però producendo i suoi frutti.
Si stanno notando delle mutazioni genetiche che preoccupano la comunità di Scollam.
Molti neonati nascono col collo lungo, lungo a dismisura e altri con il collo corto, cortissimo, quasi inesistente. I primi, sebbene deformi, sono bellissimi; i secondi, con quelle teste quasi schiacciate tra le spalle, sono solo sformati. I paragoni con il mondo della natura o dell’arte sono stati notevoli per i primi e tutti ammirati: un cigno, un modigliani, una giraffa, ma anche paragoni meno scontati come un Erketu ellisoni, il dinosauro dallo spettacolare collo, oppure donna Kayan come le donne africane dal collo inanellato.
La trasformazione quindi non è stata vissuta né dai genitori, né dagli stessi una volta cresciuti, come un tratto da rifiutare; diverse le considerazioni per i secondi per i quali non c’è stato nemmeno il tentativo di trovare esemplari di riferimento.
Si sono quindi via via ghettizzati, vivono in comunità separate e sono quasi violenti. Tutta la loro rabbia si scatena nei confronti dei collilunghi che malauguratamente varcano i loro confini, non del tutto delimitati: li aggrediscono mordendoli sul collo, ma poi interrogati sulle molestie inflitte, non sanno spiegare questa loro manifestazione, ma adducono come unica ragione il fatto che gli aggrediti siano dei collilunghi, e tanto basta.
I collilunghi a loro volta si sentono sempre più dei privilegiati dalla natura e guardano quasi con disprezzo i senza collo.
Le loro comunità sempre più separate sono ormai inconciliabili.
Nel mio girovagare ho sempre avuto occasione di vedere aggregazioni umane in lotta tra loro, spesso perenne e atavica e della quale si è perduta la radice. Anche le collettività di Scollam mi sembrano avviate su questo percorso senza ritorno. Insomma, lo scollo ha avuto alla lunga delle infauste conseguenze: sono stati generati dei mostri; anche questa è vero, è un’espressione abusata e meriterebbe una digressione, ma faccio per capirsi, nel senso che insomma nessuno glieli invidia. I mostri si sa o fanno paura o si invidiano e io, dopo che in un primo momento avrei voluto provare, ora me ne guardo proprio bene.

Nel distretto di Monad (I più votati di Prosa e Poesia)

Monad è un distretto enorme. Cresce in larghezza e non in altezza e quindi ha bisogno di molto spazio. Le case, si fa per dire, in realtà sono solo monostanze, sono attaccate le une alle altre, ma non proprio incollate perché a Monad niente s’incolla, ma tutto si separa, basta anche un capello.
Lo so, state cercando di vedere un capello che separa case, cose e persone e non ci riuscite; è per questo che ho usato questa parola; il gioco delle parole è divertente e il mio preferito. Non siete riusciti a vedere un lungo e grosso capello che corre per tutta la parete divisoria tra due casestanze? Allora non sapete vedere.
Torniamo a Monad.
Insomma le case, come dicevo, non sono palazzi ma stanze con un tetto e una porta; sembrano attaccate, ma separate anche se da un capello.
Dentro queste stanze-casa vive un monadese alla volta. Non ci sono gruppi familiari, ma solo single.
Anche le botteghe sono single nel senso che ciascuna vende solo un prodotto. C’è poi una bottega che non vende niente, ma dalla quale escono in continuazione dei piccoli monadesi che vanno a occupare ciascuno la propria stanza-casa. Poi ho capito che il flusso di monadesi che escono dalla fabbrica non è sempre uguale, ma dipende dal numero delle stanze che restano via via libere.
A Monad nessuno parla con gli altri, non c’è vita associata, non  ci sono feste, non ci sono assemblee, non c’è condominio e non c’è municipio, tutto si svolge all’interno delle stanze.
Tutto, anche questa è una parola che non vi permetterà di vedere bene; tutto cosa? In realtà non lo so neanche io, perché i monadesi non aprono mai la porta agli estranei e non fanno mai entrare nessuno. Cosa facciano lì tutto il giorno non si sa.
Tutto il giorno sì, perché nessuno lavora a Monad, nel senso che nessuno si reca a lavorare lontano da casa o in un altro distretto. Lavorano lì, nella loro piccola casa. Nessuno cammina, oltre lo stretto necessario, nessuno corre, nessuno fa sport.
Ho visto la parola noia comparire sulle vostre labbra; no, vi sbagliate.
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Nel distretto di Monad

Monad è un distretto enorme. Cresce in larghezza e non in altezza e quindi ha bisogno di molto spazio. Le case, si fa per dire, in realtà sono solo monostanze, sono attaccate le une alle altre, ma non proprio incollate perché a Monad niente s’incolla, ma tutto si separa, basta anche un capello.
Lo so, state cercando di vedere un capello che separa case, cose e persone e non ci riuscite; è per questo che ho usato questa parola; il gioco delle parole è divertente e il mio preferito. Non siete riusciti a vedere un lungo e grosso capello che corre per tutta la parete divisoria tra due casestanze? Allora non sapete vedere.
Torniamo a Monad.
Insomma le case, come dicevo, non sono palazzi ma stanze con un tetto e una porta; sembrano attaccate, ma separate anche se da un capello.
Dentro queste stanze-casa vive un monadese alla volta. Non ci sono gruppi familiari, ma solo single.
Anche le botteghe sono single nel senso che ciascuna vende solo un prodotto. C’è poi una bottega che non vende niente, ma dalla quale escono in continuazione dei piccoli monadesi che vanno a occupare ciascuno la propria stanza-casa. Poi ho capito che il flusso di monadesi che escono dalla fabbrica non è sempre uguale, ma dipende dal numero delle stanze che restano via via libere.
A Monad nessuno parla con gli altri, non c’è vita associata, non  ci sono feste, non ci sono assemblee, non c’è condominio e non c’è municipio, tutto si svolge all’interno delle stanze.
Tutto, anche questa è una parola che non vi permetterà di vedere bene; tutto cosa? In realtà non lo so neanche io, perché i monadesi non aprono mai la porta agli estranei e non fanno mai entrare nessuno. Cosa facciano lì tutto il giorno non si sa.
Tutto il giorno sì, perché nessuno lavora a Monad, nel senso che nessuno si reca a lavorare lontano da casa o in un altro distretto. Lavorano lì, nella loro piccola casa. Nessuno cammina, oltre lo stretto necessario, nessuno corre, nessuno fa sport.
Ho visto la parola noia comparire sulle vostre labbra; no, vi sbagliate.
I monadesi non si annoiano mai.
I monadesi però sono seccati, questo si vede chiaramente sulle loro facce.
Non c’è sorriso, non c’è sguardo. Sì, perché quella che si vede a Monad è una popolazione che non si guarda e non ti guarda.
Come si può vivere senza guardare? Me lo sono chiesto varie volte, ma la risposta non potevo darmela da solo.
Ho deciso allora di parlare con i monadesi anche se loro mi hanno sempre scansato, quasi fossi un ostacolo che si frapponeva sul loro tragitto breve; ma alla fine qualcuno, pochi pochi per la verità, hanno ceduto.
Come me ne sono accorto? Sulla bocca avevano un sorriso appena accennato e mi guardavano. E allora si sono incollati a me, nel senso che non  volevano più lasciarmi andare.
I pochi pochissimi, visto che non volevo restare, hanno deciso di seguirmi. Non mi hanno mai disturbato, anzi devo dire che il nostro viaggio si è svolto senza parole e senza interventi né da parte mia né da parte loro, ma la sera quando mi fermavo per riposare, il sorriso sulle loro labbra era sempre più ampio. È per questo che ho capito che se un umano sorride è un umano che non si secca e anzi s’incolla.

Parole incollate e parole scollate

Da quando sono nato non mi stupisco più di nulla e non ricordo il nome del mio luogo di nascita e questo la dice lunga sul mio girovagare da quando ero un neonato.
Qui sento già le prime rimostranze: i piccoli dell’uomo camminano a quattro zampe e solo dopo si sollevano su due, non è quindi possibile che un bebè cammini da subito. Eppure questa è la mia storia.
All’inizio credevo di avere i piedi incollati alle scarpe, ora so di essere nato con i piedi scarpa o con i piedi a forma di scarpa e di aver avuto subito l’istinto a stare diritto e soprattutto a camminare. Non è stato facile abituarsi e muoversi in un mondo alto o comunque molto più alto di me, come mi è capitato per lungo tempo.
Immaginate un neonato tutto testa e tutto scarpe, ma in altezza un Lillipuziano, sì, proprio come i piccoli abitanti di Lilliput!
Se gli altri piccini imparano a camminare con l’aiuto degli adulti che lo hanno a loro volta imparato da altri, io l’ho fatto da solo e senza alcuno sforzo andavo, perché la spinta a camminare è sempre stata fortissima, senza sapere e senza meta.
Più camminavo e più crescevo, più crescevo e più aumentava la mia spinta a camminare.
Ho visitato e rivisitato molti distretti che a distanza di tempo mi apparivano diversi e nuovi. La mia vista sapeva riconoscere le somiglianze, ma li guardavo con occhi differenti tanto che non mi sembravano più gli stessi luoghi.
Se il vecchio proverbio recita che il mondo è bello perché è vario, io posso dire che il mondo si assomiglia tanto, tutto, cambia solo il modo di guardare.
No, forse non è solo il modo di guardare, ma anche quello di chiamare, nel senso non tanto del nome dato alle cose quanto tutto quello che si può intendere con quel nome.
Ciascuno intende a modo proprio.
Non è una questione di dialetto o di lingua diversa, è proprio che le parole son parole e hanno una loro discendenza: quando le usiamo una entra in un’altra e come le scatole cinesi o le matriosche, sembrano uguali, ma non lo sono.
Se io dico ad esempio che ho le mani di colla posso intendere che sono appiccicose e adesive, ma tra loro oppure che attaccano tutto ciò su cui si posano? Se attaccano tutto allora vuol dire che si impiastricciano e qualcuno più fantasioso può anche vedere mani piene di cose, tutte quelle che ci si sono attaccate e che le mani collose non  lasciano cascare: le vede allora nascoste e invisibili sotto una montagna di oggetti che ci si sono appiccicati.
Da una parte questo gioco delle parole che fa vedere a ognuno quel che ognuno vede  è molto piacevole, ma a volte complica la vita.
E non finisce qui.
Se poi si gioca al gioco del contrario tutto si scolla.
Se dico che le mani di colla si scollano cosa succede?
Tutto cade… e quella montagna di oggetti che avevamo visto intorno alle mani di colla casca irrimediabilmente. Beh, basta una parola e diventa tutta un’altra storia!
A proposito di colla, la colla spesso si secca.
Se la colla si secca non è più una colla, ma se non è più una colla perché chiamarla colla secca? Se è secca non incolla e allora non è più un collante.
A proposito di colla secca, vi affido una mia conclusione: il fenomeno riguarda anche gli umani o meglio dire gli esseri viventi perché chi è seccato non c’è verso che s’incolli e ve lo dimostrerò nel racconto successivo.