Un giovane era seduto al bar davanti a un cocktail pesante, così immaginai dalla sua espressione quando ne mandava giù un sorso: spingeva le labbra prima in avanti per poi risucchiarle in dentro, come fosse chiedere troppo tenerle sporgenti.
Mi sono stupito: alla dieci del mattino, un cocktail?
-Buongiorno – gli dissi avvicinandomi. Avrei voluto un approccio meno formale, mi pareva di conoscerlo da tempo.
-Buongiorno – mi rispose guardandomi dritto negli occhi e aggiunse – sto affogando la mia mancata giovinezza.
-Mancata? Ma sei giovane!
-Anche tu sei convinto che basti essere anagraficamente giovani? Ti sbagli.
-Ma cosa ti è successo di tanto terribile, da considerarla mancata?
-Non lo so – non ho ricordi, qualche flash qua e là, ma tutti uguali, probabilmente sempre gli stessi con qualche minima variante.
-Spaventoso! Come fai a sopravvivere senza nemmeno un ricordo?
-È un buco nero che si porta via tutto, in un vorticoso vorticare.
-Bello il vorticoso vorticare! Ma tu dove sei, in fondo o stai vorticando?
-Non lo so, non mi vedo.
-Prova a cercare, forse trovi qualcosa, un oggetto, una parola, un odore che ti richiami alla memoria un ricordo, anche piccolo…
-Io ci provo, ma in questo roteare non c’è niente.
-E perché bevi?
-Si beve per dimenticare ma, avendo dimenticato, se bevo forse posso ricordare.
-L’idea non è male!
-Hai presente il tè di Alice? Bene, è come se quell’unico ritaglio che ho in memoria si ripetesse all’infinito.
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Un viaggiatore senza tempo 1/3 (I più votati di Prosa e Poesia)
Storie di colla – Chi è stato a incollare? (I più votati di Prosa e Poesia)
Mi raccontò questa volta in gran segreto, perché i segreti sono così, se non si svelano che segreti sono? che il suo vecchio si era stancato di riparare le pale di legno dell’antico mulino azionate dalla forza dell’acqua o di rifarle nuove cesellando e modellando con gran fatica un tronco fresco di quercia; aveva così inventato una colla portentosa che riusciva a incollare saldamente i vari pezzi delle pale senza doverli sostituire.
Sfiorella era stata colta dal dubbio, insinuatole da un certo numero di Sfogliesi, che il suo vecchio avesse potuto giocare tutti con la colla di sua invenzione che lei conosceva benissimo per averla sperimentata direttamente: una colla ottenuta con farina e corteccia di albero, impastate e mescolate insieme con acqua e vari tipi di sugne, anche se il segreto degli ingredienti era custodito dall’ingegnoso mugnaio.
Le maldicenze sono come le foglie su un albero a primavera e anche Sfogliato non ne era indenne, anzi erano le uniche foglie che possedeva in abbondanza.
Che fosse stato lui? Il dubbio era forte.
Certo che se fosse stato lui, quel burlone del suo vecchio aveva giocato a tutti un tiro mancino; bravo era stato, davvero bravissimo, tanto da gabbare fior fior di pensatori e studiosi.
Se era stata la colla di suo padre a tenere attaccata la gemma alla corteccia, il mistero2 non esisteva e Sfogliato poteva tornare a dormire sonni tranquilli e restare con il mistero1 insoluto che lo rendeva unico.
In realtà a volere essere pignoli ci si sarebbe potuti chiedere: perché la gemma non marcisce ma resta fresca e vigorosa su quel ramo secco e striminzito? E poi, c’era un e poi…
Non l’ho visto con i miei occhi, l’ho sentito con le mie orecchie, me lo raccontò Sfiorella con minuzia di particolari: il vecchio mugnaio non ammise mai e non smentì, nemmeno messo alle strette dalla parlantina e dalla logica stringente della figlia, non era mai caduto in contraddizione, anzi aveva argomentato con sicurezza, mi raccontava Sfiorella, tanto che pensai a una difesa preparata.
A Sfogliato in molti avevano reclamato che cambiasse nome in virtù dei nuovi avvenimenti, ma la casta aveva storto il naso e si era ritirata a meditare. Poi piano piano le discussioni scemarono insieme all’interesse, come accade a tutte le vicende umane: il fenomeno non procedeva, una gemma c’era e una restava, tale e quale.
A poco a poco niente più code, niente più proposte a Sfiorella che perso il suo ruolo di preminenza, era tornata alle sue faccende e non stava più tutto il giorno affacciata a quella finestra tanto invidiata. Ma si vociferava che il vecchio mugnaio avesse sempre un angolino della bocca sollevato come in un sorriso beffardo.
Per la raccolta dei frutti non era ancora stagione, i fatti prodigiosi avevano un successo calante, non mi restava che ripartire.
Andai via con un mistero, un dubbio e un po’ di colla regalatami da Sfiorella, perché chi viaggia, mi disse con aria di superiorità, può sempre averne bisogno.
Pensai fosse il prezzo del mio silenzio oppure la prova provata.
Mi lasciai i dubbi alle spalle, li avrei trovati magari risolti al mio ritorno, se fossi tornato.
Nei distretti che in seguito visitai mi capitò di scoprire, con sommo stupore, che la colla più venduta era la “Colla Sfogliato. Incolla anche le gemme” si leggeva sull’etichetta.
Storie di colla – Fenomeno2 (I più votati di Prosa e Poesia)
Il fenomeno numero2: La figlia e la foglia
A me capitò di essere testimone del numero2 che avrebbe attanagliato l’attenzione dei colti e degli incolti: su di un alberello, il meno forte e solido di Sfogliato, un giorno era apparsa una gemma, un embrione di foglia, insomma, aveva gemmato.
Quando vi giunsi una fila interminabile di persone venute da ogni dove, ma anche semplici paesani che volevano guardare e riguardare, era lì: tutti in fila e una e due e venti volte, senza stancarsi mai.
Fu così che decisi di fermarmi un po’, per capire o forse solo per guardare anch’io.
I più gridavano al miracolo. Ma si sa, l’ incredulità dei nostri tempi non vuole più dare credito ai fatti sensazionali, per cui molti scartavano l’ipotesi accontentandosi solo di guardare.
L’evento, anomalo per Sfogliato, aveva fatto il giro dei distretti e ciascuno dei membri di rilievo si era sentito in dovere di manifestare la propria opinione; ma girala e rigirala, nessuno aveva compreso il fenomeno numero2, nemmeno in chiave filosofica o esoterica, ma la gemma restava.
Il mistero continuava a infittirsi anche perché non cresceva. Le gemme si sa o crescono o si seccano, quella di Sfogliato così era nata e così era restata.
Sfiorella era la figlia maggiore del vecchio mugnaio. Anche lei come tutti era rimasta affascinata dalla gemma che poteva ammirare tutto il giorno perché era comparsa su quel ramo stenterello a pochi passi dalle finestre di casa sua. Si affacciava e la vedeva.
In molti le avevano chiesto di poter usare quella finestra, alcuni addirittura le avevano offerto ingenti somme, ma lei era stata irremovibile. Per la prima volta nella vita si era sentita invidiata da grandi e piccini e da chi aveva una posizione di potere.
Beh voleva proprio godersela, mi disse poi un giorno in tutta confidenza. A un viaggiatore si può confidare di tutto, aggiunse poi: non è di lì, conosce poche persone e non ha dimestichezza con usi e costumi del paese e soprattutto non resta; il viaggiatore prima o poi torna al proprio paese o va a visitarne un altro, difficilmente potrà con la sua sola presenza ricordare a chi gliele ha raccontate le proprie debolezze.
Bisognava invece guardarsi dai paesani che avevano tutti una memoria di ferro!
Guarda oggi e riguarda domani Sfiorella si convinceva sempre di più che potesse trattarsi di una storia di colla; ma chi era stato a incollare?
Storie di colla – La foglia (I più votati di Prosa e Poesia)
Io sono un “viaggiastorie” mi piace viaggiare, vedere e raccontare.
Ho visitato molti luoghi e pochi sono unici come il lontano paese di Sfogliato.
Sfogliato aveva preso il nome dalla singolarità delle sue piante: gli alberi crescevano sani e i loro tronchi vigorosi e smisurati con i rami tesi verso il cielo e ondeggianti nel vento, ma completamente privi di fogliame.
Gli abitanti ignoravano i sussurri tra le foglie, nessuno aveva mai pensato di nascondersi tra le fronde o godere la frescura all’ombra della loro chioma né aveva potuto mai ammirare o beneficiare della fioritura.
E i frutti direte voi?
Non c’erano frutti da cogliere dai rami, ma ciascun raccoglitore sapeva che occorreva scavare con attenzione intorno alla base del tronco per trovarli maturi e succosi.
Si raccontava, perché nessuno al di fuori dei raccoglitori poteva assistere, che erano avvolti in sottile bambagia, una lanugine sviluppata dalle radici che li circondava proteggendoli e che li lasciava puliti puliti.
La precisione e la scelta dei tempi erano fondamentali perché il frutto non poteva essere guardato o tastato per considerarne lo stato di maturazione, ma colto secondo un oculato calendario e per esperienza.
Il mestiere più prestigioso e retribuito di Sfogliato era sempre stato quello del raccoglitore: chini sul terreno, quasi inginocchiati come se pregassero, “sentivano” la terra imponendo le mani sul terreno o odorando le piccole zolle sminuzzandole tra le dita; si tramandavano i segreti tra i pochi affiliati alla loro potentissima corporazione, erano una vera casta.
Per secoli gli scienziati dei diversi paesi del distretto si erano precipitati a osservare da vicino il fenomeno e alcuni si erano tanto incaponiti da studiarlo per tutta la loro vita senza però ricavarne una benché minima ipotesi, nemmeno inattendibile.
Il fenomeno sfidava tutte le leggi di natura. Nemmeno gli studiosi del mondo dell’occulto erano riusciti a trovare una interpretazione nella lettura delle antiche mappe e nei libri dei vaticini; in molti si erano recati a Sfogliato e alcuni vi erano poi rimasti, magari impigliati in semplici casi della vita.
Agli abitanti dispiaceva che il mistero non fosse stato risolto, un paese senza alberi frondosi che paese è? Avevano provato di tutto, innesti, potature, fertilizzanti, trapianti, ma nulla.
Quando capitai a Sfogliato nel mio girovagare per il mondo, arrivai proprio in un particolare momento: il fenomeno1, quello di cui vi ho parlato, sembrava infittirsi a causa del numero2.
Storie scollate (I più votati di Prosa e Poesia)
Uno scollo provocatore: la testa scollata
Dico sempre a me stesso che nelle faccende umane non è il caso di usare il superlativo assoluto, ma solo il relativo, anche quando alcune vicende sanno stupirti.
Quanto ho visto e vissuto nel paese di Scollam, non ha niente di umano; si ciancia tanto su mondi paralleli e alieni, ma li abbiamo in casa e non ce ne accorgiamo, anzi vogliamo convincerci che siano di questo mondo.
A Scollam dopo le 5 del pomeriggio e durante la stagione estiva, camminando per le strade incontri pochi o molti esseri viventi, posso definirli anche umani, perché umani sono in tutto e per tutto, con un particolare che li differenzia: hanno la testa scollata dal collo.
No, non fluttua come un palloncino sopra i loro colli, ma è proprio scollata dal resto e ciascuno la porta, si fa per dire, sotto il braccio, a destra o a sinistra. Il braccio circonda completamente la testa dell’individuo che la sorregge con la propria mano.
L’effetto è in un primo momento sconcertante, poi ci si fa l’abitudine e non ci se ne accorge più.
Le bocche ti salutano e ti parlano in quella posizione, proprio come se fossero al loro posto. Lo sbalordimento aumenta nuovamente quando al mattino ciascuno indossa la propria testa e va a svolgere le proprie mansioni quotidiane. Alle 5 pomeridiane, quasi un gong suonasse, le popolazioni di Scollam, senza versare una sola goccia del proprio sangue, passano la propria testa sotto il proprio braccio.
L’ho fatta tanto lunga perché ogni volta che ricordo quel che ho visto lo devo richiamare dalla memoria senza fretta altrimenti stento ancora a credere di aver visto e vissuto a Scollam ciò che ho visto e vissuto.
Se chiedete agli abitanti come sia possibile il fenomeno, rispondono che a loro viene spontaneo e non ricordano proprio quando lo hanno imparato. Quando volli indagare più approfonditamente sulle motivazioni dello “scollamento”, furono evasivi e si mostrarono poco propensi a risposte esaurienti. Mi dissero che era necessario, che non si poteva restare sempre incollati, che d’estate faceva troppo caldo; insomma, mi imbandirono un sacco di scempiaggini più che spiegazioni.
Scollo discreto e senza scollo, collo lungo e senza collo
Esistono vari modelli di scolli: lo scollo o, come lo chiamano gli scollammesi, lo scolcollo discreto, ma anche il senza scollo, ormai raro e lo scollato sempre, molto di moda. Questo significa che non tutti gli abitanti lo praticano; alcuni solo occasionalmente, altri sempre, altri mai.
Questi ultimi non hanno mai voluto rispondere alle mie domande, limitandosi quelle poche volte che sono riuscito a comunicare con loro, ad accennare un sorriso gentile sulle labbra, appena abbozzato ma chiaro ed evidente, quasi una canzonatura leggera.
Più pronti a dare spiegazioni, ma senza effettive e precise risposte sono i praticanti dello scollo occasionale o discreto.
L’unica cosa chiara è che non essere praticanti implica una specie di radiazione dalla comunità. Se non ho capito male o ti scolcolli o non sei ritenuto un membro a tutti gli effetti. Ecco perché molti hanno scelto di scolcollarsi discretamente.
Questa pratica inveterata sta però producendo i suoi frutti.
Si stanno notando delle mutazioni genetiche che preoccupano la comunità di Scollam.
Molti neonati nascono col collo lungo, lungo a dismisura e altri con il collo corto, cortissimo, quasi inesistente. I primi, sebbene deformi, sono bellissimi; i secondi, con quelle teste quasi schiacciate tra le spalle, sono solo sformati. I paragoni con il mondo della natura o dell’arte sono stati notevoli per i primi e tutti ammirati: un cigno, un modigliani, una giraffa, ma anche paragoni meno scontati come un Erketu ellisoni, il dinosauro dallo spettacolare collo, oppure donna Kayan come le donne africane dal collo inanellato.
La trasformazione quindi non è stata vissuta né dai genitori, né dagli stessi una volta cresciuti, come un tratto da rifiutare; diverse le considerazioni per i secondi per i quali non c’è stato nemmeno il tentativo di trovare esemplari di riferimento.
Si sono quindi via via ghettizzati, vivono in comunità separate e sono quasi violenti. Tutta la loro rabbia si scatena nei confronti dei collilunghi che malauguratamente varcano i loro confini, non del tutto delimitati: li aggrediscono mordendoli sul collo, ma poi interrogati sulle molestie inflitte, non sanno spiegare questa loro manifestazione, ma adducono come unica ragione il fatto che gli aggrediti siano dei collilunghi, e tanto basta.
I collilunghi a loro volta si sentono sempre più dei privilegiati dalla natura e guardano quasi con disprezzo i senza collo.
Le loro comunità sempre più separate sono ormai inconciliabili.
Nel mio girovagare ho sempre avuto occasione di vedere aggregazioni umane in lotta tra loro, spesso perenne e atavica e della quale si è perduta la radice. Anche le collettività di Scollam mi sembrano avviate su questo percorso senza ritorno. Insomma, lo scollo ha avuto alla lunga delle infauste conseguenze: sono stati generati dei mostri; anche questa è vero, è un’espressione abusata e meriterebbe una digressione, ma faccio per capirsi, nel senso che insomma nessuno glieli invidia. I mostri si sa o fanno paura o si invidiano e io, dopo che in un primo momento avrei voluto provare, ora me ne guardo proprio bene.