Archivio per tag: Prosa

Epifania tra i miscredenti 1/2

Nell’idilliaco scenario d’oriente, si snodava il ridente agglomerato dell’odierna Bratislava, illo tempore obnubilata da una coltre di fervente nichilismo. Dislocata a ridosso del promontorio dei Carpazi ed intervallata da insenature di natura fluviale, si ergeva impetuosa ai margini di una sinuosa valle. Ivi imperversavano, sovente, glaciali nevicate, inframmezzate da gelo e copiosi rovesci.

Un’ambientazione ordunque asettica e impervia. Al vertice del piramidismo sociale figurava il principe della valle, feudatario nonché emblema della collettività, di seguito si delineava la figura ieratica ed ineluttabile di Adahm, sacerdote del Santuario della Provvidenza , ubicato nel ventre della valle. Negli strati inferiori si assestavano gli agrimensori e i mercanti, di estrazione medio-alta, nel basamento gerarchico coesistevano gli indigenti, spesso discendenti da stirpi di schiavi o prigionieri mutuati dal fronte bellico.

L’immaginario collettivo era contrassegnato da un acre spiraglio di antagonismo nei riguardi della sfera dell’ultransensibile, il popolo, indi, era animato da un radicato e divagante senso di determinismo casualistico, ravvisabile negli usi e costumi locali. Refrattari ai valori consuetudinari, apparivano le acerbe anime di Daniele, Ruth e Tobia, discepoli in erba, forgiatisi in ossequio alla dottrina mistica profusa dalla guida spirituale del paese. Il maestro predicava i precetti teologici della salvezza, redenzione e reincarnazione, triade assiologica eretta a fondamento del verbo divulgato dal sommo divino. I tre giovani discenti erano soliti adunarsi presso il luogo di culto per l’adulazione, mediante l’attuazione della prassi rituale, del simulacro della Provvidenza, situato nella stanza della sospensione temporale, un abitacolo metafisico il cui accesso era precluso ai miscredenti e a coloro i quali demonizzavano la fede.

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Come ti chiami? (I più votati di Prosa e Poesia)

Chi si porta addosso il fardello di un nome scomodo, sa bene di cosa parlo.
Ovviamente come tutte le convenzioni umane, un nome non è in assoluto un bagaglio difficile né in tutti i tempi né in tutti i luoghi perché risente della mentalità, delle mode, ma anche della storia e del luogo in cui vive il soggetto che lo porta e con esso si immedesima.

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Credo

Lo spazio tra le tue costole è profondo quanto basta per farmici affondare. C’è odore di miele e di sale marino, di erba e uva passita. C’è in te il profumo del sole e della libertà, la fiamma serpeggiante della disperazione e della redenzione.
Sei labbra morbide e mani ruvide, poesia sussurrata a denti stretti. A volte ti immagino seduto sul molo, le dita nere di carboncino; ti immagino mentre cerchi di catturare il tramonto con le tue mani mortali, trasportare i sospiri di vita sulla carta, rendere reali sogni di esistenza.
Sei bellezza così pungente da fare male, speranza così sgargiante da rendere ciechi. La sapienza degli antichi ti è cucita addosso come ricamo sulla pelle. Sei tutto ciò che una sognatrice può cercare.

Ma la realtà si arriccia nei miei polmoni, rimane intrappolata tra le mie ciglia.
Non posso essere il mare in cui galleggi, le stelle che guidano le tue carte. Troppo distante, troppo fredda, poco luminosa. Guardo la sabbia scorrere tra le mie dita, inginocchiata tra la schiuma marina, ti guardo tramontare oltre l’orizzonte.
Osservo gli uccelli volare in gruppo, sogno del giorno in cui potrò raggiungerli. Giuro che saremo come loro, saremo il vento, il cielo e la luce, l’inizio e la fine. Strapperemo la gravità in due, taglieremo la distanza in piccole parti, tesseremo il destino in una corda abbastanza forte da trattenere insieme i bordi arricciati del mondo.
Dormiremo all’ombra del salice, danzeremo tra le querce, berremo le acque nere del Nilo e ci stringeremo l’uno all’altra sulla cima dell’Everest. Renderemo il tempo inutile, distruggeremo i meccanismi.
Scolpiremo la nostra storia nella pietra, le affideremo la nostra vita; canteremo alle costellazioni, modelleremo i fiumi secondo lo scorrere delle nostre vene, lasceremo che i fiumi cantino i nostri nomi.

Stando qua, sorrido pensando a quello che saremo, asciugo le lacrime e zittisco i pensieri. Qua, ora, sono sola. Sono un’isola, immobile nella nebbia salata mentre guardo gli uccelli dissolversi in grigio.
Non sono con te, non so dove sei. Ma credo nel potere della speranza.
Credo in noi.

Sara Montella

Morrok l’artista (I più votati di Prosa e Poesia)

Era opinione comune che Morrok fosse un grande artista, forse il più grande dei suoi tempi.
Nel suo studio, quel pomeriggio, c’era un’opera quasi completa. 
Per renderla perfetta ci stava lavorando già da due ore. Leggi tutto →

Come ti chiami?

Chi si porta addosso il fardello di un nome scomodo, sa bene di cosa parlo.
Ovviamente come tutte le convenzioni umane, un nome non è in assoluto un bagaglio difficile né in tutti i tempi né in tutti i luoghi perché risente della mentalità, delle mode, ma anche della storia e del luogo in cui vive il soggetto che lo porta e con esso si immedesima.

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