Pamela stava nel mezzo: da un lato aveva ossessioni e fobie di ogni tipo per la vita che, inespressa, le pulsava dentro. Dall’altro sfociava nell’anaffettività verso gli altri: non conoscendo se stessa aveva timore di sé, di ciò che provava anche verso il figlio, aveva istinti (anche violenti) che, non elaborati, non le permettevano di dare amore stabile al povero Jack.
Un padre non cresciuto e sparito, una madre immersa nell’ansia e incapace di evolvere, un compagno trovato per dare una spalla a una donna incapace di ritrovarsi da sé.
Questo era il contesto che si rivelava a Jack durante il volo nell’immenso spazio. Cominciava a capire che non era riuscito a chiarire questi aspetti sulla Terra: tutta la vita era scorsa cercando di liberarsi dai sensi di colpa inflitti dalla madre e dal senso di smarrimento dovuto all’assenza del padre, sostituito da un fantoccio a cui mai si era abbandonato.
Capiva la sua incapacità di lasciare quel negozio di scarpe, capiva il suo rapporto infantile col mondo, fatto di gioco e deresponsabilizzazione; capì che l’oggetto di quella spasmodica ricerca era l’amore che non aveva mai avuto.
In questa nuova consapevolezza provò un senso di pena per i propri genitori che, non conoscendo se stessi, non avevano permesso neanche a lui di farlo. Jack capiva che stare al mondo senza accettare e vivere chi si è veramente è come errare in una nebbia di freddo, neve e forte vento alla ricerca di un rifugio che non solo non si trova ma non esiste.