Se Liolà prediligeva i nidi dismessi per i suoi sonnellini, Nanà preferiva le zampe del cane Dick.
Nanà è stato il secondo.
Al contrario di Liolà aveva un nome femminile, ma era un maschio.
Con lui la natura non era stata generosa; non era piacente; i suoi occhietti piccoli e tondi erano slavati e si confondevano con i colori del suo mantello di un indefinito bianco-grigio, ma aveva un carattere docile e dolcissimo e sapeva farsi amare. Era un girovago; spariva a giornate intere, ma tornava sempre. Nanà era spesso acciambellato tra le zampe e il corpo peloso e accogliente di Dick, un cane da caccia che trascorreva molte ore della sua giornata chiuso in gabbia. Il quadro che si mostrava alla vista era tenero e commovente: i due se la intendevano alla grande. Non era dello stesso parere il padrone del cane; era preoccupatissimo che il docile Nanà potesse graffiare, in un moto di istintualità felina, il prezioso naso del suo cane. Mi aveva pregato varie volte di tenere Nanà lontano dal suo giardino, ma per quanti sforzi facessi, compenetrandomi nella sua ansia, non riuscivo a tenerlo lontano dalla sua cuccia preferita per più di un giorno.
Fu così che Nanà scomparve. Non così come era solito fare, ma per settimane non lo vidi più.
Ero quasi convinta che l’autore della sua sparizione fosse il mio ansioso vicino, ma una mattina lo trovai sdraiato sullo zerbino, privo di forze, tutto graffiato e spelacchiato. Nonostante le sue condizioni, appena mi vide si illuminò tutto: nel suo sguardo, sulla sua faccia inespressiva, avevo letto distintamente la soddisfazione per la difficile prova che aveva affrontato pur di essere nuovamente a casa.