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La terra di nessuno 3/3

I ragazzi se ne tornarono a casa, provando forse per la prima volta una strana sensazione, molto simile al rimorso. Giorgio andò verso il secchio dell’immondizia per gettare quegli strani sassolini, poi ricordò che, dimenticato in un angolo del balcone, c’era un vaso con un po’ di terra. Vi gettò i semi.

Qualche giorno dopo furono gli operai del comune a divellere la rigogliosa coltivazione della “matta”. Vi gettarono una colata di cemento e vi eressero un alto ripetitore per i cellulari. Uno scempio che avrebbe rovinato il panorama e, a sentire alcuni esperti, anche la salute. La donna non tornò più a coltivare la terra di nessuno. Passarono i mesi e una mattina d’estate Giorgio notò che dal vaso sul balcone spuntava qualcosa. Era una piantina, sulla quale stava germogliando un frutto verde, forse un pomodoro. Senza aver ricevuto alcuna attenzione o cura, addirittura senza amore, battendosi contro le intemperie, quella pianta stava dando un frutto, un regalo generoso che la natura faceva alla sua mente arida. Giorgio sentì che in quel vaso ora pulsava una vita, come nel corpo di una mamma il cuore di un bimbo. Con quella stessa forza stava nascendo un frutto e solo allora lui capì che la natura è veramente poderosa e fantastica. Tutte le realtà virtuali che era abituato a vivere al computer venivano spazzate via da quel piccolo frutto verde, che sarebbe maturato davanti ai suoi occhi increduli. Si affacciò e guardò oltre gli edifici, i lampioni e il cemento, fino a scorgere una sottile striscia verde all’orizzonte. L’avrebbe cercata laggiù, con la fermezza e la sensibilità necessarie, fino a trovarla un’altra terra di nessuno da rispettare e amare.

La terra di nessuno 2/3

I ragazzi aspettarono la primavera, periodo nel quale le sue piantine iniziavano a fiorire e poi decisero di farle un brutto scherzo. Con le biciclette salirono sul sottile marciapiede che delimitava quel piccolo orto e, fingendo di sbagliare direzione, schiacciarono i fiori che stavano nascendo. Lei non credeva ai suoi occhi, iniziò a gridare disperata “No! Non sapete quanto ci ho messo! Perché mi fate questo, con tutto il tempo e la cura necessari affinché da un seme nasca una pianta!” E, contro ogni loro previsione, la donna si sciolse in un pianto dirotto. I ragazzi si guardarono l’un l’altro senza parlare, era come se all’improvviso stessero comprendendo la crudeltà del loro gesto che, fino a poco prima, era sembrato loro solamente un’azione naturale. “Non vi hanno insegnato a capire la lotta che una pianta fa per dare al mondo il suo fiore e poi il frutto?”. Loro continuavano a inforcare le biciclette sotto le cui ruote giacevano schiacciati i variopinti fiorellini. I volti paonazzi, nessuno sapeva come rispondere alla disperazione di quella signora. Per loro era facile quando con il computer, giocando a The Sims, creavano una città con gli alberi e i suoi fiori e poi cancellavano tutto o sostituivano i paesaggi e addirittura le persone, annientando le loro vite, per farle rinascere senza fatica con un clic. Non vedevano l’ora di correre a casa per giocare alla Play Station o con la X-box, dove tutto si distruggeva e ricreava senza fatica.

La donna si chinò, prese una zolla umida e, con mani tremanti, la porse loro dicendo “L’avete mai sentito l’odore della terra… non è sempre uguale, si può capire se sta arrivando la pioggia dall’aroma che essa emana!”. Poi fissò quello che tra loro sembrava il capo banda. “Come ti chiami?” gli chiese “Giorgio” rispose lui con riluttanza. Lei prese dalla sua borsa alcuni semi e, aprendogli la mano, li posò sul suo palmo aperto “Sotterrali e vedrai tra qualche mese!”

La terra di nessuno 1/3

Tutti la deridevano quella donna ben vestita, dalle labbra carnose dipinte di rosso, i capelli nero corvino e con ai piedi delle rumorose ciabatte. Arrivava la mattina presto, anche di domenica e i suoi pesanti passi echeggiavano nel quartiere, così come i canti che intonava una volta raggiunta la sua destinazione. Gli abitanti della zona detestavano ormai la sua figura grossa, i suoi occhi vividi e il modo prepotente che aveva di disturbare il loro riposo, anche nei giorni di festa. La donna portava con sé uno sgabello, sedendosi sul quale ogni tanto si riposava. Senza averne avuto il permesso o il compito lei aveva preso a coltivare la terra di nessuno, come la chiamavano i residenti, un lembo di suolo posto al crocevia delle strade del quartiere. Se la giornata era calda, lei tornava anche al tramonto e lasciava in un angolo di quel piccolo terreno i suoi arnesi da giardinaggio. Zappettava e irrigava con l’acqua che prendeva dalla fontanella, poi si sedeva sul seggiolino di legno ad ammirare come il suo lavoro stesse trasformando quella terra arida… e cantava forte. Non ci volle molto che venisse chiamata da tutti  “la matta”.

In ogni villaggio c’è un pazzo, e in ogni comunità è quello che da fastidio, che non si vuole vedere. I ragazzini ormai l’avevano presa di mira e, intuendo anche il disagio dei loro genitori infastiditi da quella presenza, si sentivano autorizzati a fare qualcosa per indurla a non tornare. Con le biciclette iniziarono a girare attorno a quel terreno, registrando ogni particolare per poter organizzare prima o poi un raid punitivo. Lei sorrideva vedendoli giungere e non sospettava nulla, non immaginava ciò che stavano pianificando.