Archivio per tag: La Preda

Metempsicosis – La Preda (02)

Cominciò a pensare che in fondo si trovava lì, che ormai era certo che stava viaggiando in una dimensione totalmente sconosciuta, sapeva e sentiva di essere dove doveva essere ma senza saperne il perché. D’altra parte non era ciò che provava sulla Terra? E non era proprio questa paura a terrorizzarlo e a impedirgli di vivere sereno? Era stufo di tutto questo ragionare, pensare, analizzare, elaborare: basta, basta, basta! Gridò a se stesso, girò lo sguardo, vide un immenso prato verde, strisciò uno zoccolo per terra due o tre volte, come un toro prima dell’attacco. Cominciò a correre, il cuore pompava come un treno a vapore, la macchina perfetta del suo corpo cominciò a sbuffare ritmata. Viaggiava e rideva, Jack rideva, piangeva, libero mordeva la terra davanti a sé. La velocità era inusitata per un’abitudine umana e la pioggia scorreva sul suo corpo come su una macchina in autostrada.

Gioiva. Incredibilmente era felice, in preda a una sensazione che non pone domande ma è e basta, che rende liberi nel vivere il momento presente, scevri da ogni inquietudine. Avrebbe fatto il giro del mondo di corsa se fosse stato un immenso prato, ma la materia ha un limite e, anche se lo spirito ci spinge all’infinito, davanti al bosco si fermò.

Fitti alberi creavano un muro di buio, il residuo vento del temporale faceva ondeggiare gli immensi abeti scricchiolanti. Cosa fare? Dove andare? Erano tornate le domande, c’era da affrontare la realtà (qualunque cosa stiamo vivendo, quella è la realtà).
Cominciò a camminare lungo il perimetro del bosco, passeggiando riflessivo in cerca di uno stimolo che lo indirizzasse. D’un tratto si fermò, un rumore di movimento nel sottobosco lo intimorì, cercò di frugare con lo sguardo nei meandri della fitta vegetazione ma non vide niente.

A un tratto sentì abbaiare – saranno stati tre o quattro cani – e voci di uomini concitate che rimbombavano nel bosco. Jack/cervo non capiva, d’istinto la presenza di umani lo rasserenò ma capì subito che non erano certamente lì a campeggiare.

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Metempsicosis – La Preda (01)

Jack dormiva profondamente e sognava una cascata di pioggia.
Bagnato fradicio si rotolava per terra, un percorso onirico assurdo ma quasi reale. Si rigirava nel letto immaginario, lenzuola zeppe d’acqua lo avvolgevano in una morsa fredda, cercava di svegliarsi ma non ci riusciva.
Il sonno: automatico spegnimento dello stato di coscienza, ingresso in uno “spazio altro”. Jack negli ultimi anni non aveva dormito molto. Le sue feste e i suoi eccessi lo avevano reso un automa.
Dal sonno passò al dormiveglia; come nel letto d’amore con Laura, cominciava a sentirsi ma non riusciva a svegliarsi e l’oscillazione tra il sogno e i pensieri reali si fece incessante. Pensava confuso ai momenti con Laura, al suo profumo, a quell’estasi che solo le anime che danzano insieme sanno provare. Pensava alla propria solitudine, al marcio che lo atterriva, alle lacrime che avrebbe voluto versare; ma era soprattutto la stanchezza a turbarlo, la stanchezza di un viaggio assurdo senza un tempo e senza un’apparente via d’uscita.
Jack da piccolo era stato un bambino affettuoso, sensibile e attratto dalle persone sofferenti ma la sua bontà, la voglia di aprirsi e concedersi lo aveva reso vulnerabile al mondo e alle sue invasioni. Cominciò a chiedersi se vi fosse mai stata una ragione per la sua autodistruzione. Le dinamiche familiari erano alla base del conflitto interiore ma anche il suo spirito si era ammalato, perché quando si cerca un amore assoluto per la vita, ci si rende conto (appena si cresce) di quanto l’uomo ne sia distante e pericolosamente affamato.
Jack cominciava a pensare che forse non aveva senso ancorarsi al passato. Ora era lì, in un mondo sconosciuto, senza una via da percorrere, solo, abbandonato al non-senso. Era morto ma continuava a interrogarsi come se lo fosse davvero e questo rendeva tutto così assurdo… In realtà non era meno assurdo di quanto non lo fosse stata la vita terrena.
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Metempsicosis – 07 – La preda

Nel bosco mi trovo a frugare l’istinto mi spinge a mangiare
un lago si staglia davanti mi sporgo ed è forte la sete ma
mi specchio nell’acqua

E vedo un volto di cervo vetusto con corna giganti
rimango un attimo assente e penso che non sono solo ma
sento un pericolo

Un cacciatore mi punta tutti i miei sensi son pronti
ad affrontare la fuga ma cado su un colpo improvviso e
che farò adesso

Sentirsi preda ferma impotente
vedo il ricordo l’ultimo assalto
dove la rabbia vince la colpa

Sento freddo e sto andando via
mani calde mi portano via

Ecco il buio che si prende me