Archivio per tag: I Più Votati Di Prosa E Poesia

Eclisse (I più votati di Prosa e Poesia)

Io e te,
due luci grandi che unite fanno buio
ti coprirò di me
che poi verrà notte
E poi di nuovo giorno.

Solo ti abbraccerò
e mi appoggerò su te
tra la  luce e il mondo buio
fatto per gli amanti.

E insieme danzeremo
nella notte di giorno
degli amori
finiti in fretta.

Poi torneremo
alla nostra  vita sul mondo
nell’attesa magica e silente
di un nuovo incontro.

Dei trionfi e delle vittorie 2/2 (I più votati di Prosa e Poesia)

Poi, un giorno, improvvisamente, prima dell’annientamento totale e letale, qualcosa si muove, qualcosa si risveglia, si riaccende, si illumina, si riscalda. E quell’impercettibile moto e cambiamento è in grado di imprimere movimento e mutamento a tutto il sistema, a tutto il resto di quell’agglomerato umano che un tempo era un essere vivente, che un tempo era una donna, un uomo, giovane o vecchio, bello o brutto, ma era umano nel sentire e nell’agire, prima della bruciante sconfitta.
Lentamente, molto lentamente, quasi in modo impercettibile, il corpo si rianima e riacquista vigore, le membra si rinsaldano e i muscoli si tonificano, con essi la mente rinvigorisce, rigenerando i propri pensieri. L’anima si monda, il cuore si fortifica e con esso le passioni, le pulsioni, i desideri si ridestano e si affacciano a nuova vita.
Tale processo rinnova anche le ambizioni, gli obiettivi, le mete di un tempo o attuali, insieme alla voglia di realizzarli. Così, in breve, il nostro lui, la nostra lei si accinge ad allenarsi, ad impegnarsi, a cimentarsi per realizzare quel sogno, quel progetto, per raggiungere quel traguardo. Non si risparmia fatiche e non centellina energie lui e neppure lei. Si dà con tutto se stesso, lui come pure lei. Si nutre della propria determinazione sia lei sia lui. Si rinvigorisce grazie a essa. Si fortifica e conquista se stesso, non solo lei ma anche lui. E trasforma la sconfitta del tempo che fu, l’avvilente e invalidante perdita, nel suo punto di forza, nella sua grinta, nella sua linfa vitale, comprendendola a fondo, conoscendone le cause, le forme, i tempi e i rimedi, i segreti. E si rialza, immettendosi nuovamente nel circuito della vita, in cerca della propria vittoria, della propria rinascita. Si allena come un atleta, come un maratoneta, come un discobolo. Si cosparge il corpo con olii e unguenti, invoca e offre sacrifici agli Dei, si purifica nel corpo e nell’animo. Si prepara metodicamente, a lungo, finché giunge il momento in cui è e si sente pronto.
Quando viene, dunque, l’agognato giorno della prova, del torneo, della gara, della sfida, dell’esame, dell’audizione, del provino, del colloquio, dell’esibizione, della presentazione del progetto, della lezione, della vendita, dell’incasso, de… de… de … non ci sono dubbi, gli altri contendenti non hanno scampo, non hanno chances: lei o lui sarà vincitore. La gara sarà sua, se la aggiudicherà lei oppure lui, a seconda del genere cui egli appartiene, ma sarà sua ed egli o ella troverà finalmente riscatto dalla lacerante sconfitta di un tempo.

Salirà finalmente sul podio, lui o lei. La folla, tutta, sarà con lei, con lui. La gioia, l’entusiasmo, la vitalità lo, la pervaderanno tutto, tutta. Il trionfo sarà Suo.

La folla invocherà il nome del vincitore. Tutto sarà per lui: la gente, la gloria e la fama, il tempo, il sole, le ore e pure il vento, che scarmiglierà i capelli e rinfrescherà i pensieri.

All’ombra di quel podio qualcuno penerà, si dispererà, si ripiegherà su se stesso, si dibatterà, giacerà, se ne andrà perdente, in quel frangente vinto.
Che ne sarà di colui, di colei, che non sarà sul podio, ma giacerà ai suoi piedi sconfitto e deluso?

Arrancherà, annasperà, tremerà, rantolerà, striscerà, gemerà, fremerà, urlerà, piangerà, griderà, latrerà, non si reggerà in piedi e non vivrà, fino a quando una impercettibile luce si accenderà e illuminerà il fango dei suoi pensieri e l’evanescenza dei suoi voleri ed egli o ella si metterà carponi, per poi ergersi in piedi, ricominciare a deambulare, a vivere e sognare di salire su un monte, su una stella, su un’astronave o chissà su quale altro podio cercherà… e ce la farà, per lasciare all’ombra del proprio trionfo il nuovo venuto, fragile sprovveduto con un destino da conquistare ed edificare.

 

Flavia Todisco

Dei trionfi e delle vittorie 1/2 (I più votati di Prosa e Poesia)

Un podio. Su quel podio qualcuno trionfa. Gioisce e festeggia. E’ osannato e celebrato dalla folla, dalla giuria, da parenti e amici: da tutti, insomma. All’ombra di quel podio qualcuno pena, si dispera, si ripiega su se stesso, si dibatte, giace, se ne va perdente; in quel frangente vinto.
La folla invoca il nome del vincitore. Tutto è per lui: la gente, la gloria e la fama, il tempo, il sole, le ore e pure il vento, che scarmiglia i capelli e rinfresca i pensieri.

Fermo immagine.
Messa a fuoco.

Una domanda: Che ne sarà di colui o colei che non è salito o salita sul podio, ma se ne giace ai suoi piedi sconfitto e deluso?
Chissà che ne sarà di lei, di lui.

Arranca, annaspa, geme, freme, trema, rantola, striscia, urla, piange, grida, latra, guaisce…Non si regge in piedi, non cammina, passa rasente ai muri, una morsa forte e stretta allo stomaco non gli dà pace. Non sa dove guardare, non sa che cosa fare. Nell’animo un dolore atroce lo porta a nefasti pensieri, a infelici propositi, non vuole più combattere, non vuole più gioire, non vuole più guardare la propria immagine riflessa in uno specchio, non vuole più gareggiare, non crede più in nulla, non crede più nel proprio talento, nel proprio impegno… vuole soltanto scordare, persino il suo nome.  Si vuole annientare.

Il tempo in cui lui o lei giace in simile stato è una variabile umana, molto umana, può durare giorni, settimane, mesi o, nei casi più estremi e drammatici, tutta la vita che resta.
Il tempo dell’afflizione è oscuro, opaco, ha un suono sordo e muto, un sapore acre e rivoltante. E’ un salto in uno strapiombo. E’ uno strisciare nel fango, nella melma, nel magma dentro le viscere della terra. E’ non-vivere, è non-sentire, è non-interagire con il resto del mondo, è non-nutrirsi e pascersi, è annientarsi. Finire. Svanire.

Flavia Todisco

Parole incollate e parole scollate (I più votati di Prosa e Poesia)

Da quando sono nato non mi stupisco più di nulla e non ricordo il nome del mio luogo di nascita e questo la dice lunga sul mio girovagare da quando ero un neonato.
Qui sento già le prime rimostranze: i piccoli dell’uomo camminano a quattro zampe e solo dopo si sollevano su due, non è quindi possibile che un bebè cammini da subito. Eppure questa è la mia storia.
All’inizio credevo di avere i piedi incollati alle scarpe, ora so di essere nato con i piedi scarpa o con i piedi a forma di scarpa e di aver avuto subito l’istinto a stare diritto e soprattutto a camminare. Non è stato facile abituarsi e muoversi in un mondo alto o comunque molto più alto di me, come mi è capitato per lungo tempo.
Immaginate un neonato tutto testa e tutto scarpe, ma in altezza un Lillipuziano, sì, proprio come i piccoli abitanti di Lilliput!
Se gli altri piccini imparano a camminare con l’aiuto degli adulti che lo hanno a loro volta imparato da altri, io l’ho fatto da solo e senza alcuno sforzo andavo, perché la spinta a camminare è sempre stata fortissima, senza sapere e senza meta.
Più camminavo e più crescevo, più crescevo e più aumentava la mia spinta a camminare.

Ho visitato e rivisitato molti distretti che a distanza di tempo mi apparivano diversi e nuovi. La mia vista sapeva riconoscere le somiglianze, ma li guardavo con occhi differenti tanto che non mi sembravano più gli stessi luoghi.
Se il vecchio proverbio recita che il mondo è bello perché è vario, io posso dire che il mondo si assomiglia tanto, tutto, cambia solo il modo di guardare.
No, forse non è solo il modo di guardare, ma anche quello di chiamare, nel senso non tanto del nome dato alle cose quanto tutto quello che si può intendere con quel nome.
Ciascuno intende a modo proprio.
Non è una questione di dialetto o di lingua diversa, è proprio che le parole son parole e hanno una loro discendenza: quando le usiamo una entra in un’altra e come le scatole cinesi o le matriosche, sembrano uguali, ma non lo sono.
Se io dico ad esempio che ho le mani di colla posso intendere che sono appiccicose e adesive, ma tra loro oppure che attaccano tutto ciò su cui si posano? Se attaccano tutto allora vuol dire che si impiastricciano e qualcuno più fantasioso può anche vedere mani piene di cose, tutte quelle che ci si sono attaccate e che le mani collose non  lasciano cascare: le vede allora nascoste e invisibili sotto una montagna di oggetti che ci si sono appiccicati.
Da una parte questo gioco delle parole che fa vedere a ognuno quel che ognuno vede  è molto piacevole, ma a volte complica la vita.

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Un viaggiatore senza tempo 3/3 (I più votati di Prosa e Poesia)

Credevo di essere in salvo.
Alla fine della corsia fui catapultato fuori. Luci abbaglianti impedivano di vedere.
Ed eccomi davanti alla seconda porta, quella di corno alla quale credevo di aver rinunciato.
Sulla porta un cartello.

-Lo hai scritto per me?
-No, non credo proprio.
-Eppure me lo sono sentito addosso.
-L’ho scritto ma non ti ho pensato.
-Ma tu mi ami?
-Senza di te non esisterei; forse per questo ti amo.
-Ma se io non esisto nei tuoi pensieri, come farai a scrivere per me?
-Non credo di scrivere per te, proprio per te, sei tu che dopo mi scegli.
-Dici?
-Penso. Alcuni ne amano svariati, altri pochi, altri per niente. Come lo spieghi se non attraverso una scelta?
-Empatica?
-Può darsi.
-Mai io mi sono riconosciuto o forse volevo credere che io fossi stato il tuo modello…
-Non indagare altro.

Avevo appena terminato di leggere le ultime sillabe che la porta si aprì.
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