Archivio per tag: Hans Tuzzi

Tuzzi: Il mondo visto dai libri

Se dovessi decidere tra gli scritti di Hans Tuzzi quali regalare a Natale, metterei in lista anche questo ultimo lavoro “Il mondo visto dai libri” (Skira, Milano 2014). Sono un’estimatrice di Tuzzi narratore e non avrei mai immaginato di poterne apprezzare la saggistica-narrata relativa all’ambito antiquario dei libri.

Non è un romanzo, ma è come se lo fosse. Non è solo per bibliofili, anche se informa e documenta il corso degli eventi legato ai volumi di cui tratta con precisione da manuale: ne racconta la vicenda ora avventurosa ora curiosa o imprevedibile, ma comunque interessante che circonda ciascun testo che Tuzzi ha deciso di  porre al cuore di ogni capitolo con quel suo stile elegante e accattivante tra informazioni e aneddoti che arricchiscono e avvicinano il lettore a quel libro carico di una storia tutta personale e aiutano a comprendere perché chi li ama possa spingersi fino a uccidere per il possesso di uno di essi. Si scorrono i capitoli, tanti quante le lettere dell’alfabeto, da “Assassinare (per un libro)” a “Zanzibar” e si procede fra racconti dedicati  a persone e luoghi che attorno a quel libro o a quel genere di libri (in “Ornitologia” si incontra inaspettatamente Ian Fleming) ruotano come personaggi dentro la medesima storia, in una fabula avvincente anche perché impensabile e sconosciuta.

Dal Quattrocento ad oggi attraverso itinerari che si snodano ai quattro capi del pianeta seguendo e tratteggiando  un mondo di libri fatto dai libri:
Due anni dopo “la mano che pensa”, muore, registrata nell’elenco dei poveri, senza poter immaginare il successo che il libro sugli insetti del Suriname otterrà in tutta Europa […]
La citazione è tratta dalle pagine di “Merian, Maria Sibylla”, che sopravviverà nel  libro da lei illustrato con amore e passione per le incantevoli creature. Vite di donne, di libri illustrati e di librai: nelle pagine dedicate a “De Marinis, Tammaro” una figura unica nel mondo dei librai italiani Tuzzi racconta la storia del giovane napoletano che nonostante non avesse terminato gli studi, se non come autodidatta presso l’Archivio Storico di Napoli, raggiungerà le massime onorificenze nel panorama mondiale della peleografia; in chiusura riporta una frase di Umberto Saba che scoperta l’esistenza dei libri antichi, affermava in “Storia di una libreria” “emanavano un senso di pace: erano come dei nobili morti”.

La lettura mi ha così catturata che penso proprio di volerlo rileggere, per riassaporare con la calma di chi legge nuovamente i passaggi più gradevoli di questo mondo speciale visto attraverso i libri.

 

Da www.tuttatoscana.net

Recensione – Hans Tuzzi: “Trittico”

Hans Tuzzi - TritticoHans Tuzzi “Trittico”

Avete voglia di immergervi in visioni dell’irrealtà o in “associazioni mentali eccentriche”? Bene, allora leggete “Trittico”. Se poi siete lettrici, meglio: l’Autore si rivolge proprio all’eventuale sconosciuta invitandola, galante e premuroso, alla lettura.

Dirò allora che a me lettrice non è “dispiaciuto”, come si augura l’Autore, leggere le digressioni immaginifiche contenute in Aubade, Dinamo Kiev, Bavkalan. Mi sono lasciata coinvolgere nell’ineluttabile lotta per la sopravvivenza in natura che compendia l’inspiegabile insensatezza del vivere e nella complessa storia del dopo-muro raffrontata alla semplice geografia del tifoso di calcio e nella domanda se vale più la musica o le parole per arrivare al significato: elucubrazioni dotte e stravaganti in cui si evidenzia perfettamente come “il pensiero critico, se sufficientemente intelligente e moralmente esplicito, rischia di diventare letteratura”.

No, non mi è spiaciuto, perché ho goduto della bella scrittura, delle immagini che ha evocato, delle sottili e mai evidenti metafore, delle finestre nella mente che è riuscita ad aprire. Ma ho anche goduto dell’elegante edizione, dell’impaginazione di copertina, dell’impertinente quanto sagace titolo della collana: “Piccola Biblioteca di letteratura inutile”, e della rinascita di una casa editrice che, contrariamente a tutte le correnti attuali, fa scelte di nicchia o fuori mercato.

Grazie a Tuzzi, grazie all’iniziativa di Giovanni Nucci e alla anticonvenzionale scelta della ItaloSvevo. Sì, si può sperare ancora.

Hans Tuzzi – “Trittico” – ItaloSvevo 2016  – 10,00 euro

 

Recensione di Salvina Pizzuoli

Salvina Pizzuoli intervista Hans Tuzzi

-Posso dire di aver letto tutti i suoi romanzi e vari suoi saggi; sono sicuramente una  affezionata estimatrice della sua prosa e della sua capacità inventiva. Ciò premesso, per restare al genere giallo, dopo La morte segue i magi, un “Melis” tra i miei preferiti, ho trovato davvero entusiasmante questo ultimo lavoro, Il Trio dell’Arciduca, e il  personaggio di Neron Vukcic, un giovane eccentrico, arguto e sottile, agente  dello spionaggio  dell’Impero austro-ungarico. Ma chi è Neron Vukcic? Lo strillo  in copertina apre spiragli, ma resta un giallo nel giallo.

Intanto, grazie per la stima e per le lodi al mio ultimo libro. Ha notato, parlando di spionaggio, che spostando una lettera “spiragli” diventa “spiargli”? Visto che siamo nel campo del fantastico, diciamo “chi potrebbe essere Neron Vukcic”. Come lei sa, in alcuni gialli Rex Stout afferma che Nero Wolfe è nato in Montenegro, anche se in alcuni volumi lo dice nativo di Trenton, New Jersey. Di fatto – e le biografie scritte sul personaggio lo confermano – né Archie Goodwin né il lettore sanno davvero chi è Nero Wolfe. E Neron Vukcic? Potrebbe non avere alcun rapporto biografico con il personaggio di Stout. Mi divertiva però suggerire al lettore questa possibilità. In fondo Wolfe potrebbe benissimo mentire quando dice in più di un’occasione a Goodwin che durante la guerra fece l’agente segreto per l’Austria. Questo vale, naturalmente, anche per la casa in Egitto, o per il lurido carcere di Algeri. Insomma, l’uno non è l’altro. Ma avrebbe potuto esserlo.

-La scrittura è quella con cui Hans Tuzzi ci ha da sempre “viziati”, diversa è l’ambientazione che abbandona Milano anni ottanta per riportarci in pieno Impero austro-ungarico poco prima dell’attentato di Sarajevo: uno scenario ampio che si muove da Trieste al Bosforo passando  da Belgrado nell’atmosfera cupa dell’imminente dissolvimento di due grandi imperi.
Inoltre, vicenda e pubblicazione cadono nel centenario della Grande Guerra: pura casualità?

La Grande Guerra segnò la fine dell’Ottocento e la nascita nel sangue, forcipe l’acciaio e il fuoco, del Secolo Breve. Fu, come disse il papa, una “inutile strage” che segnò “il suicidio dell’Europa civile”. Fu, anche, la dimostrazione di come il volere umano poco o nulla possa di fronte ai meccanismi impersonali della Storia (in questo caso, la bomba a orologeria delle alleanze che si sarebbe potuta disinnescare se…). Aggiungo che la mia famiglia materna, della quale sono l’ultimo e inadeguato rappresentante, era austriaca. Il fratello del mio bisnonno compare, con il suo vero nome titolo e funzione, in una pagina del Trio. Piccolo vezzo privatissimo. Mia nonna conobbe personalmente i due ultimi imperatori, Francesco Giuseppe e Carlo, e i suoi racconti – morì nel 1981, quasi nonagenaria – mi restituivano vivissima quella società. Forse, con l’età sento anche il bisogno, come dire?, di tornare alle origini. E devo dire che mi sono divertito moltissimo a scrivere questo romanzo. Che avrebbe potuto uscire già nel 2013, certo, ma il mio editore sa fare il suo mestiere.

-Come lettrice le chiedo: ancora altri Melis e altri Vukcic? Io me lo auguro.

Me lo auguro anch’io. E se per Melis, personaggio ormai affermato, posso dargliene l’assoluta certezza – una nuova inchiesta dovrebbe uscire nel 2015 – per Vukcic sarà importante incontrare il gradimento del pubblico. Sul quale, superfluo dirlo, conto molto.

-Ho anche l’impressione che lei, come lettore, frequenti strane contrade. È così?

La narrativa copre circa un quinto dei libri che leggo – tanti, in ogni caso. Il nerbo della mia biblioteca è composto da saggi di storia, di storia dell’arte e del costume, da libri di viaggio, memorialistica e diari. Il Novecento è ben presente, ma più nella sua prima metà che nella seconda. Quando ricevo un catalogo antiquario, la prima sezione che vado a compulsare è Varia e Curiosa. Oggi, ad esempio, sto leggendo un glossario professionale per restauratori di quadri, e ho scoperto il giallo indiano, un giallo prodotto dall’urina di vacche nutrite con sole foglie di mango. Del resto, lo dico sempre a chi mi chiede come si diventa scrittori: prima impara a essere un buon lettore, e leggi soprattutto autori dei secoli passati, meglio se scienziati, artisti, viaggiatori, mercanti.

-Una curiosità da lettrice: come vive uno scrittore famoso? Lei non frequenta i social e non sembra partecipare alla vita mondana, scrive sempre e solo su un calepino segreto tutti i guizzi della sua fantasia?

Proust, che se ne intendeva, disse che scrivere è il mestiere più solitario che c’è. Vero è che oggi si richiede più che mai un’autopromozione nella quale ciascuno di noi espone il proprio lato B (nel senso discografico, non anatomico): presentazioni, interviste e altre occasioni di incontro diretto con i lettori che, se fanno umanamente piacere, poco hanno a che vedere con lo scrivere. Tendo a limitare questa attività, sì. Devo però ammettere che così ho avuto modo di conoscere persone interessanti e gradevoli, e in alcuni casi di allacciare vere e proprie amicizie. Una parola, amicizia, che uso con estrema parsimonia. I social, salva qualche bella  eccezione, mi ricordano i bar e le chiacchiere da bar. E io, i cocktail, me li so fare bene da solo. Ma, scusi una domanda: lo scrittore famoso sarei io?