Archivio per tag: Francesco Cimini

Da “Il mostro dei Carpazi”

C’era nebbia, nebbia, nebbia dappertutto. Un grigio turbinante, sfocato, soffocante, straniante. All’improvviso tutto girò e il grigio divenne luce accecante, bruciante: era il sole che brillava nella notte squallida. Ma era notte ? No, all’improvviso era giorno. Si trovava magicamente nel cortile della sua bella casa, in una ridente estate della sua infanzia. Tutto era come ricordava: c’era suo nonno tra le piante del giardino, il suo cane che dormiva al sole, sua madre che un po’ fastidiosamente cercava di farlo studiare. All’improvviso rincasò suo padre, come se quel giorno di pioggia non fosse caduto in un burrone tornando a casa; come se non fosse morto.

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Da “Il mostro dei Carpazi”

Guardando le nubi che si addensavano sull’alto monte, il mostro comprese tutto. Fu un attimo fuggevole, ma lungo quanto una vita, come era stato quello di tanti anni prima, in cui riscoprì il suo amore creduto sopito.
Capì che lei non poteva morire, che doveva salvarla a tutti i costi, che quell’essere nobile era la reincarnazione del suo antico amore. Cominciò a correre, a saltare, con la sua energia disumana accresciuta dalla disperazione.

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Da “Il mostro dei Carpazi”

“Tu sbagli… il tuo non è amore, ma soltanto possessione…  tu vuoi soltanto che l’oggetto del tuo amore sia tuo, e non ti curi del suo bene, dei suoi desideri…
Mi  ricordo quando ero bambina, nell’anno trascorso a San Pietroburgo. Durante il freddissimo mese di febbraio, accadde un evento prodigioso. Per un mese, ogni volta che calava il sole, era visibile una cometa. Me ne innamorai, come se fosse una persona… mi bastava guardarla, sapere che c’era, ed ero felice… ogni sera sapevo che sarebbe tornata. Quando se ne andò definitivamente, mi dissero che sarebbe tornata dopo 70 anni.

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Da “Il mostro dei Carpazi”

Quando giunse in cima alla scalinata degli studenti, era per lui terminata un’abituale giornata passata girovagando. Erano giorni tremendi per lui: sembravano eterni, dilatati in maniera insopportabile; ma allo stesso tempo troppo brevi, perché portavano alla notte, un momento per lui ancora più tremendo, fatto di angosce, insonnia e, per quel poco che dormiva, di incubi tremendi. Sapeva che lei prima o poi avrebbe avuto un altro; che sarebbe caduta nelle braccia di questi; che lo avrebbe dimenticato del tutto.

Razionalmente lo comprendeva. Ma il cuore si ribellava e soffriva. E quindi, incubi in cui lei baciava un altro, o peggio, si susseguivano come neri corvi che beccavano voraci i poveri resti della sua felicità che era stata.

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Da “Il mostro dei Carpazi”

Camminava da solo nella neve… Tutto bianco, bianco, bianco fin dove lo sguardo poteva arrivare… E così come il bianco è una fusione di tutti i colori, tutto quel paesaggio conteneva tutto il suo dolore, era la somma di tutti i fantasmi che non lo lasciavano libero. Perché vivere per provare quel senso di abbandono e d’infelicità ? Poteva quel luogo un tempo teatro della felicità più intensa, nel tepore primaverile, cambiare così, ricoprirsi di neve, sparire ? Dov’era quell’albero di ciliegio, che sotto un leggero vento spargeva i suoi petali rosa… quei petali rosa che si appoggiavano delicatamente sui suoi capelli color ebano ? Eccolo finalmente ! Rinsecchito, curvo, cadente sotto il peso della neve… sembrava eterno come il loro amore, ed eccolo morto, come tutto il resto…