Uscì dal portone del palazzo ottocentesco dove i suoi titolari avevano deciso di trasferire l’ufficio, tirava una leggera brezza e c’era ancora luce. Erano le 18 e zero quattro, pensò subito che se si fosse mossa rapidamente avrebbe avuto almeno un’oretta per scattare qualche foto.
Passò davanti al civico 29, la vecchia casa degli orrori, così si diceva in città. In realtà, in quella casa vivevano due vecchi indigenti, senza occhi per piangere e senza pane da mettere sotto i denti.
Si incamminò per il centro cittadino, dovette fare un po’ di slalom tra cinquantenni in carriera che facevano finta d’avere la metà degli anni e coppiette che camminavano mano nella mano. Attraversò le piazze, dove intere compagnie di adolescenti bevevano spritz e schiamazzavano come fosse l’ultimo dell’anno. Sembravano le orde barbariche che scendevano dal nord-europa, con la differenza che quei giovani volevano saccheggiare solo le dispense dei bar. Si fermò un attimo ad osservarli, rise soddisfatta per aver superato quell’età, momento della vita in cui sei abbastanza giovane per credere che la vita sia bella ma poco saggio per sapere che i problemi veri sono dietro l’angolo.
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