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“Un fiume di guai” – Estratto 2

(Il rapporto fra Viola, la protagonista, e i suoi genitori)

Io e i miei non eravamo mai andati d’accordo su nulla. Tra noi c’erano sempre stati attriti, per motivi futili o importanti, sin dalla mia adolescenza. Non per niente il tentativo di collaborare nell’azienda di pelletteria di famiglia era fallito e, appena avevo trovato un impiego, ero andata a convivere con Luca, l’uomo che qualche anno dopo era diventato mio marito.

Nemmeno su di lui ci eravamo trovati d’accordo. «Non è alla tua altezza ed è troppo giovane», aveva sentenziato mamma. Mio padre si era astenuto da commenti così aperti, ma la sua totale mancanza di considerazione per il barista proletario era stata molto eloquente. Quando – dopo otto anni di vita insieme – Luca mi aveva lasciato per una cubista ventenne, il loro unico commento era stato: «Tanto doveva succedere. Meglio ora che dopo».
Dopo Luca era arrivato Italo. Neanche lui aveva ricevuto il favore dei miei. Andava bene l’età (quasi dieci anni più di me) e lo status sociale (manager affermato), meno bene che fosse separato e avesse un figlio. Sangue misto, per di più.

«La ex-moglie è davvero afro-americana?», domandò mia madre quando portai Italo in famiglia per la prima volta.
«Sì, mamma».
«… negra?».
«Mi pare evidente, mamma».
«Negra-negra, o mulatta?».
«Nera come il carbone».
«Oddio! E, il bambino?», mi chiese con orrore.
«Max, ha sette anni, somiglia al padre, è bellissimo e mulatto».
«Mulatto, quanto?».
«Mulatto–abbronzato», le risposi seccata mettendo in chiaro che la conversazione sull’argomento era chiusa. Meglio che non indagasse oltre e magari venisse anche a sapere che prima di essere la fidanzata ufficiale di Italo ero stata la sua amante per diversi anni.

Anche mia sorella Alessia non aveva un rapporto idilliaco con mamma e papà. A lei – vuoi perché era la piccina di casa, o per quella sua irresistibile ruffiana dolcezza – era stato concesso tutto ciò per cui io avevo dovuto sputare lacrime e sangue. Non per questo le cose erano andate meglio.
Delle sue scelte lavorative erano ancor meno entusiasti che delle mie, perché Alessia guadagnava poco e in modo discontinuo. Quanto a fidanzati – dopo l’operaio terrone, l’ambulante profittatore con tendenze violente e il personal-trainer spagnolo – quando infine era arrivato Isacco (ottima famiglia, istruito e proprietario di una storica galleria d’arte a Torino) nostra madre non aveva tardato a scoprire che era ebreo e aveva ripetuto la medesima sceneggiata del figlio negro di Italo.

Estratto da “Un fiume di guai” di Eleonora Scali

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La perfezione della natura

Osservo la perfezione della natura e mi riempio gli occhi.

Fili d’erba turgidi all’alba, soffici e freschi sotto i piedi
petali di girasole roventi senza un filo di sudore,
pini dai magnifici ombrelli, salici che lacrimano foglie sottili.

I cipressi bruni e panciuti custodiscono sentieri ombrosi
dove il muschio cuce pazientemente il suo tessuto
intorno a rocce e sassi.

Le colline cambiano d’abito secondo le stagioni,
uno scamiciato con le margherite,
un gonnellino di paglia, una mantella di pelliccia bianca.

I fiori cadono e lasciano il posto ai frutti,
gli agrumeti profumano di marmellate e sciroppi,
le viti si piegano sotto il peso di grappoli succosi.

La natura non è esigente, beve pioggia e mangia sole
in assenza non si lamenta,
si addormenta in attesa di tempi migliori.

La natura è una bilancia con peso identico su ambo i piatti
solo l’uomo può corromperne la giustizia
con l’indice inopportuno malamente appoggiato.

Il mio dito, io, lo tengo ben lontano da quel piatto.
Io osservo, odoro, inspiro e mi riempio gli occhi
di tanta perfezione.

 

 

Eleonora Scali

“Un fiume di guai” – Estratto 1

(Viola, la protagonista, è appena stata avvisata telefonicamente che al suo porticciolo sono dovuti intervenire i Vigili del Fuoco. Non le è stato detto per quale motivo).

Mi butto fuori casa lasciando il computer acceso e senza dare le mandate al portoncino. C’è un buio cattivo, fatico a inserire le chiavi nel cruscotto, tanto mi tremano le mani. Mentre guido come una pazza verso il marina, continuo a chiedermi perché siano intervenuti i vigili del fuoco. È inverno, fa un freddo birbone, non ci sono contadini nei campi vicini che ripuliscono e bruciano sterpi. Le barche sono a terra da mesi, batterie staccate, tutto spento. Cerco di convincermi: è successo qualcosa lì vicino, non si tratta del mio marina; magari fosse così.

Non c’è tempo per altre riflessioni. Cinque minuti e sono lì. Già dalla strada sterrata, a un centinaio di metri dal cancello d’ingresso, intravedo un chiarore insolito. Due pattuglie di carabinieri mi fanno cenno di accostare.
«Sono la proprietaria! », urlo dal finestrino senza alzare il piede dall’acceleratore.
Faccio un rocambolesco slalom in mezzo alle due gazzelle, mentre quelli si sbracciano, scendo dalla macchina ancora in moto, libero il cancello da catena e lucchetto.
«Non può stare qui. È pericoloso», intima uno dei carabinieri raggiungendomi col fiatone.

«Sono la proprietaria», gli strillo sul muso. Corro nel buio verso due enormi autobotti che sputano acqua dalla strada che costeggia la recinzione. Mi sbraccio: «Sono qui. L’ingresso è aperto. Venite, presto!»
Confusione di uomini e mezzi, un muro di fuoco, fumo denso e appiccicoso, non riesco a respirare. Rumore di macerie che cadono, un boato lacerante mi sfonda lo stomaco, inciampo, mi rialzo, continuo a correre. «Da questa parte. É aperto!». Non mi sentono. O, forse, credo di urlare, ma la mia gola non emette alcun suono. Un altro scoppio, seguito da urla di allarme degli uomini al lavoro. Conto almeno una decina di divise nere con strisce gialle catarifrangenti in precario equilibrio su autoscale sbracciate sul mare di fuoco. Altri stendono chilometri di manichette, le allacciano, le azionano. Ogni lancia è retta da almeno due pompieri e sussulta e sgroppa come un cavallo impazzito.

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Prefazione a “Un fiume di guai” di Eleonora Scali

Nel mio lavoro mi capita di leggere e di valutare numerose opere. Da qualche tempo hanno cominciato ad approdare sulla mia scrivania buoni romanzi, soprattutto opere prime di scrittori nuovi. Segno che, dopo una non breve stagione in cui a farla da padroni erano i personaggi televisivi, la gente si sta ribellando alla mediocrità che ci circonda.
Dunque, scrivo queste parole di presentazione con piacere ed un pizzico di emozione.

Eleonora Scali è una scrittrice, anzi una buona scrittrice. Nel pieno significato del termine.
È prima di tutto la rappresentante di quel ceto medio cui gran parte di noi appartiene. E poi un’imprenditrice, imprenditrice vera intendo, lontana da quei personaggi che si dichiarano tali ed ingombrano il palcoscenico televisivo o le pagine dei giornali: una donna in grado di soffrire per la propria azienda, di rimboccarsi le maniche e lavorare anche sedici ore al giorno se e quando occorre. Quando affronta la scrittura, forte della sua esperienza di vita, lo fa con onestà e passione, senza secondi fini, per il puro piacere di scrivere. Esattamente come, ho scoperto per caso, affronta l’altra sua passione, la musica: canta in un gruppo ‘blues’, esibendosi in locali e piazze.

Dico questo perché pare, addentrandosi tra queste pagine, di ritrovare lo spirito che ha animato gli autori della grande stagione italiana narrativa degli anni Sessanta: gente (per capirsi) come Lucio Mastronardi, Dino Buzzati, Luciano Bianciardi, Guido Morselli. Tutte persone eclettiche, scrittori che avevano un occhio attento alla realtà che li circondava, della quale facevano parte a pieno titolo; artisti dotati di occhio critico, capaci di cogliere il grottesco insito nella nostra esistenza, spinti da una grande tensione morale, che illuminava con forza le loro opere.
Eleonora Scali appartiene di diritto a questa scuola, aggiornata ai gusti del Duemila. La sua è una lingua fresca, immediata, godibile, ricca di immagini inedite. Il suo approccio alla scrittura è emozionale: ci avvince con l’incalzare degli eventi, con i personaggi che ci presenta, tutti ben delineati, ora divertenti, ora patetici, ora tragici; ci diverte, ci commuove, parla di gioie e di dolori. Infine, ci fa riflettere. Leggi tutto →