Il commissario Antonia Bellantoni aveva parcheggiato nel cortile davanti al Commissariato.
Alta, bionda, con l’aiuto di un colorante naturale, si muoveva leggera verso il suo Ufficio sui tacchi a spillo che immancabilmente completavano il suo abbigliamento tra lo sportivo e il ricercato: una camicetta di seta verde carico su una gonna color panna che le ondeggiava lungo le belle gambe con i suoi godet morbidi. Una donna attraente, non un commissario di polizia. A lei piaceva che nessuno potesse etichettarla facilmente.
Era tranquilla e rilassata in quella mattina ventosa di primavera.
Lunedì, se lo sarebbe ricordato quel lunedì.
La scrivania l’accoglieva con il suo ingombro e il telefono aveva già iniziato a squillare.
Palmisano entrò con aria circospetta.
“Commissario vi vogliono parlare, una donna, dice che è importante, la faccio entrare?”
Aveva appena terminato la frase quando dietro Palmisano si era profilata la silhouette di una giovane donna che premeva alle sue spalle per farsi strada.
“Scusi commissario, ma nessuno mi ascolta, la prego è urgente!”
Con riluttanza Antonia Bellantoni le fece cenno di accomodarsi.
Non era cedevole, ma quella richiesta e soprattutto l’agire della giovane l’avevano convinta ad accogliere le sue pressioni.
Elegante, quasi bella, sicuramente particolare, con la sua chioma riccioluta di un rosso tiziano risplendente, la vide accomodarsi nell’unica sedia libera da fascicoli lasciando intendere nello sguardo e nei modi una faccenda seria e complessa.
“Mi chiamo Vanessa Ormandi e sono qui per denunciare la scomparsa di un amico, intimo…”sottolineò con una breve enfasi e pausa nella voce calda e sensuale.
“Non è questo l’Ufficio denunce”, intervenne rapida la Bellantoni che, superato il primo momento d’incertezza, riassumeva il controllo della sede e soprattutto del ruolo.
“Lei non capisce o non vuole capire, commissario Bellantoni, so benissimo a quale Ufficio avrei dovuto rivolgermi, non sono una sprovveduta, ma mi ascolti e capirà il caso che vado a prospettarle”.
Qualcosa la convinse di ascoltare.
Delitto al free jazz 2/2
Delitto al free jazz 1/2
Antefatto con delitto
Camminava con passi veloci.
Duecento metri e avrebbe varcato la porta di casa.
La strada era ben illuminata e la serata piacevole: un venticello spirava da est, accarezzava.
Cosa o meglio a cosa era dovuto quel malumore? Frugò tra i pensieri nascosti.
La bella strada veniva incontro ai suoi passi frettolosi con le sue palazzine Liberty e i giardini ordinati oltre le inferriate.
La serata primaverile illuminava i cieli che scorrevano sulla sua testa: sereni tappeti di stelle offuscati dalla luce forte dei lampioni lungo il marciapiede.
E il malumore dilagava ingombrando i pensieri, spegnendo le stelle e velando la luna. Affrettò il passo verso casa.
Poi la voce di un cane e il silenzio. Cosa preferire? Inquietudine in entrambi.
Il cigolio di un cancello alle sue spalle. Girarsi e guardare? No, continuare senza voltarsi.
Inquietudine, presentimento, quasi paura.
Passi dietro i passi: i suoi o gli altrui, non sapeva distinguere. Sul selciato, quasi un’eco, un rimbombo, nella quiete.
A casa, a casa. C’era quasi.