Il delirio, nella psicopatologia, è una scissione della psiche che porta una persona a vivere una o più realtà. Questo salto nel buco nero fece scorrere nella mente di Jack le tre vite che aveva vissuto: la propria, quella da filo d’erba e Stewart. In fondo la psicosi non era poi così differente nella soggettiva del malato.
Jack aveva sofferto di una forma di bipolarismo e sapeva quale sofferenza provocasse l’incapacità di mantenere costante l’idea di un sé coerente e coeso.
Passava da un ricordo d’infanzia a immagini di vite altrui, a orrori, a gioie infinite. Era fluttuante in un magma quantistico, ogni impulso gestiva i fili impazziti di universi vicini che si scontravano producendo corto circuiti di spazio-tempo. E Jack vi era immerso.
Un barlume di coscienza rimaneva sveglio e coerente; era una flebile sensazione ma sufficiente a creare un pensiero compiuto e capace di cominciare a comprendere gradualmente cosa stesse succedendo o perlomeno se vi fosse una via d’uscita a questo inghippo, a questo coacervo di innesti di vite e universi che celavano chissà quale verità.
Jack cominciò a riflettere con una lucidità assoluta, lo sforzo immane di concentrarsi sul “sé” lo aveva reso immune a tutto quel caos e vide chiaramente cosa era accaduto fino ad allora.
La sua vita terrena era stata una parentesi come le successive. Non vi era ordine di importanza tra l’incidente, l’erba e Stewart: erano processi di consapevolezza di sé, era come una scala dalla quale, a ogni scalino, il panorama diventa sempre più leggibile e interpretabile, dove la visione d’insieme rende un senso sempre più esaustivo ai fini della conoscenza.
Lo stato di coscienza era come un ospite nelle dimensioni in cui era trapassato. Jack cominciò a comprendere che è il presente che conta, perché è lì la coscienza di sé che vede e affronta ciò che si manifesta gradualmente.