Archivio per tag: Canto Di Un Albatro Immortale

La crisi dei 6 mesi (o di un anno)

Ogni abbraccio Ho paura di stritolarti,
Ogni morso di ledere con i miei denti
La tua morbida pelle. Soltanto incidenti!

Frutti troppo alti che dissanguano gli arti
Che li raccolgono. Cosa pensano i fiumi
Che passano sui letti di ghiaia? Le parti

Che portano con sé, la terra, lievi scarti
Della vita e altro, compensano quei grumi
Che Il Loro Corso deterge? Soffre chi trova

Sofferenza dopo aver amato, dolciumi
Amari e salati per i cuccioli implumi
Struggono la madre che nel forno li cova.

Putrida è la mano pregna di incompetenza
Ma la mente brillante subito ne scova
Un trucco che il marciume a tutto il corpo giova:

La mano sia l’amo e l’esca per la scienza
D’amore che riesca come un pretesto
Per tendere nella pesca, sottile lenza
Che innalza all’animo lo stato di coscienza

Nella speranza che questo chiami a sé il resto.

Ieri avevo delle preoccupazioni

Ieri avevo delle preoccupazioni,
mi interrogavo sul significato
delle mie azioni, su quanto in vent’anni
fosse possibile causare danni,
vivere una vita da rimandato,
seppellire il passato e le reazioni
della gente ferita, non sapendo
che un giorno vale l’altro sopra l’onda
del crescendo della vita (la data
di nascita non è nemmeno data
Dal parto, ma dal medico che affonda
Le mani nel ventre). Nacqui piangendo.

Tako, tua è la prima stanza, fiore
Che cresce nel campo di sterpi, vera
Brezza che scuote il mio Saturnino
Animo: tu hai raccolto il bambino
Che piangeva fra i cocci, ferma e fiera,
gli hai insegnato ad amare col dolore,
Hai sopportato le spire sferzanti
Del mio poligamo amore, gustato
Quanto una relazione sa di sale
Se manca d’una ragione sociale.
Ero rotto, e tu mi hai aggiustato:
Solo il futuro ci attende davanti.

Sahèr, giunge il tuo turno, nel tuo arrivo
s’apre questo lustro della mia vita:
Anima amica, tu pure coltivi in
Privato gli steli storti e allusivi
Di Euterpe, tu pure corri in salita
Quando tutti s’attardano, giulivo
Combatti contro te stesso. Straniero,
Docile montagna, ricco d’ingegno e
Giudizio, con onore e con rispetto
Vivi lungo le leggi di Maometto,
E con chiara ragione e nel suo segno
Intendi il giusto, e in te cerchi il vero.

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Non so chi tu fossi, pittore di colombe

Non so chi tu fossi, pittore di colombe
che giaci sepolto all’ombra del faggio,
in terra lontana, tra sconsacrate tombe,
ma sento che tracci la forma e il miraggio
che cogli tra i volti, tra splendidi disegni
nell’aere leggero e nei fiumi di fiori.

Ma il male segreto ch’alberga quegli ingegni
sensibili d’estri divini ai cori
a vita ti tolse, percosso nello spirto
a guisa dei miseri pinti nei quadri
che scuoton le braccia, agli alti uccelli e al mirto
portando tra l’ali donne amate e madri.

Partito col vento, soffio almo di pianto
non fosti soltanto dell’arte tua il boia
ma morto, nel mondo, dei tuoi colombi il canto
strappasti disegni leali alla Gioia.

Non possiedo la freccia

Non possiedo la freccia
Che lesta s’incocca, tende
E schiocca, fischia e sfreccia
Nel cielo, non scende
E centra il bersaglio. Senza rumore
Entra nel petto, e trafigge il cuore.

Lento è invece il mio trabucco,
Carica il sasso e s’imbarca
Del peso, ruota con trucco
Studiato, grava la barca
E l’affonda. Un sordo boato,
Affonda nel legno e nel mare salato.

Lavando i tuoi sudici artigli

Tu mi dici: “saltella come quello,
Che nasconde nelle figure più ardite
Parole attrici del fiero e del bello,
Incanta con metriche stordite:
Dante è morto, posa il suo mantello!”

Ma la fonte non accetta consigli

Così avanza la mia poesia
Con slanci macchinosi e lenti
Distanti dalla mia euforia
Forti di sovrumani intenti
D’arte: Voglio che così sia.

Dimentico

Dimentico
(e già mi odio)
il volo pindarico del mio cuore, il respiro rubato,
l’attimo
di vita.