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A Vaiuz

Ci sono città che crescono, città che muoiono, città che sopravvivono, ma anche città che come me si spostano, camminano, vanno come avessero una meta; in questo loro andare incontrano quelle che stanno ferme. A volte si abbracciano, quasi sorelle ritrovate, altre si guardano in cagnesco come se l’una rubasse lo spazio all’altra.
Quando arrivai o per meglio dire, credevo di essere arrivato a Vaiuz, mi sembrò come tutte le altre. Poi, trascorrendoci dentro, le sue strade suonarono per me e riconobbi subito quella musica: era il suono di una fisarmonica appena allargata nel suo poderoso mantice.
Lì per lì non ci feci molto caso.
I cittadini di Vaiuz erano sempre allegri; oggi qui, domani là, mi dicevano, è divertente. Cosa c’è di tanto divertente, chiesi poi un po’ stizzito. Ero arrivato stanco, anche le mie gambe hanno bisogno di riposo, e invece nulla, tutto si muoveva con un movimento a fisarmonica. La musica annunciava lo spostamento e il modo in cui la città si trasferiva: prima diventava tutto stretto stretto e poi si allargava a dismisura. Ogni cosa perdeva le proprie proporzioni e anche io mi trovai prima secco secco e poi ovaloide. Forse ero stanco, ma non mi fece piacere essere strapazzato così solo perché quella città, o è meglio dire quella cittadinanza, aveva preferito scendere a valle più che restare a mezza costa. Il bello è che non ruzzolava mai nulla erano davvero stati ingegnosi, tutto si muoveva all’unisono.
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