Salvina Pizzuoli intervista Hans Tuzzi

-Posso dire di aver letto tutti i suoi romanzi e vari suoi saggi; sono sicuramente una  affezionata estimatrice della sua prosa e della sua capacità inventiva. Ciò premesso, per restare al genere giallo, dopo La morte segue i magi, un “Melis” tra i miei preferiti, ho trovato davvero entusiasmante questo ultimo lavoro, Il Trio dell’Arciduca, e il  personaggio di Neron Vukcic, un giovane eccentrico, arguto e sottile, agente  dello spionaggio  dell’Impero austro-ungarico. Ma chi è Neron Vukcic? Lo strillo  in copertina apre spiragli, ma resta un giallo nel giallo.

Intanto, grazie per la stima e per le lodi al mio ultimo libro. Ha notato, parlando di spionaggio, che spostando una lettera “spiragli” diventa “spiargli”? Visto che siamo nel campo del fantastico, diciamo “chi potrebbe essere Neron Vukcic”. Come lei sa, in alcuni gialli Rex Stout afferma che Nero Wolfe è nato in Montenegro, anche se in alcuni volumi lo dice nativo di Trenton, New Jersey. Di fatto – e le biografie scritte sul personaggio lo confermano – né Archie Goodwin né il lettore sanno davvero chi è Nero Wolfe. E Neron Vukcic? Potrebbe non avere alcun rapporto biografico con il personaggio di Stout. Mi divertiva però suggerire al lettore questa possibilità. In fondo Wolfe potrebbe benissimo mentire quando dice in più di un’occasione a Goodwin che durante la guerra fece l’agente segreto per l’Austria. Questo vale, naturalmente, anche per la casa in Egitto, o per il lurido carcere di Algeri. Insomma, l’uno non è l’altro. Ma avrebbe potuto esserlo.

-La scrittura è quella con cui Hans Tuzzi ci ha da sempre “viziati”, diversa è l’ambientazione che abbandona Milano anni ottanta per riportarci in pieno Impero austro-ungarico poco prima dell’attentato di Sarajevo: uno scenario ampio che si muove da Trieste al Bosforo passando  da Belgrado nell’atmosfera cupa dell’imminente dissolvimento di due grandi imperi.
Inoltre, vicenda e pubblicazione cadono nel centenario della Grande Guerra: pura casualità?

La Grande Guerra segnò la fine dell’Ottocento e la nascita nel sangue, forcipe l’acciaio e il fuoco, del Secolo Breve. Fu, come disse il papa, una “inutile strage” che segnò “il suicidio dell’Europa civile”. Fu, anche, la dimostrazione di come il volere umano poco o nulla possa di fronte ai meccanismi impersonali della Storia (in questo caso, la bomba a orologeria delle alleanze che si sarebbe potuta disinnescare se…). Aggiungo che la mia famiglia materna, della quale sono l’ultimo e inadeguato rappresentante, era austriaca. Il fratello del mio bisnonno compare, con il suo vero nome titolo e funzione, in una pagina del Trio. Piccolo vezzo privatissimo. Mia nonna conobbe personalmente i due ultimi imperatori, Francesco Giuseppe e Carlo, e i suoi racconti – morì nel 1981, quasi nonagenaria – mi restituivano vivissima quella società. Forse, con l’età sento anche il bisogno, come dire?, di tornare alle origini. E devo dire che mi sono divertito moltissimo a scrivere questo romanzo. Che avrebbe potuto uscire già nel 2013, certo, ma il mio editore sa fare il suo mestiere.

-Come lettrice le chiedo: ancora altri Melis e altri Vukcic? Io me lo auguro.

Me lo auguro anch’io. E se per Melis, personaggio ormai affermato, posso dargliene l’assoluta certezza – una nuova inchiesta dovrebbe uscire nel 2015 – per Vukcic sarà importante incontrare il gradimento del pubblico. Sul quale, superfluo dirlo, conto molto.

-Ho anche l’impressione che lei, come lettore, frequenti strane contrade. È così?

La narrativa copre circa un quinto dei libri che leggo – tanti, in ogni caso. Il nerbo della mia biblioteca è composto da saggi di storia, di storia dell’arte e del costume, da libri di viaggio, memorialistica e diari. Il Novecento è ben presente, ma più nella sua prima metà che nella seconda. Quando ricevo un catalogo antiquario, la prima sezione che vado a compulsare è Varia e Curiosa. Oggi, ad esempio, sto leggendo un glossario professionale per restauratori di quadri, e ho scoperto il giallo indiano, un giallo prodotto dall’urina di vacche nutrite con sole foglie di mango. Del resto, lo dico sempre a chi mi chiede come si diventa scrittori: prima impara a essere un buon lettore, e leggi soprattutto autori dei secoli passati, meglio se scienziati, artisti, viaggiatori, mercanti.

-Una curiosità da lettrice: come vive uno scrittore famoso? Lei non frequenta i social e non sembra partecipare alla vita mondana, scrive sempre e solo su un calepino segreto tutti i guizzi della sua fantasia?

Proust, che se ne intendeva, disse che scrivere è il mestiere più solitario che c’è. Vero è che oggi si richiede più che mai un’autopromozione nella quale ciascuno di noi espone il proprio lato B (nel senso discografico, non anatomico): presentazioni, interviste e altre occasioni di incontro diretto con i lettori che, se fanno umanamente piacere, poco hanno a che vedere con lo scrivere. Tendo a limitare questa attività, sì. Devo però ammettere che così ho avuto modo di conoscere persone interessanti e gradevoli, e in alcuni casi di allacciare vere e proprie amicizie. Una parola, amicizia, che uso con estrema parsimonia. I social, salva qualche bella  eccezione, mi ricordano i bar e le chiacchiere da bar. E io, i cocktail, me li so fare bene da solo. Ma, scusi una domanda: lo scrittore famoso sarei io?

Salvina Pizzuoli intervista Hans Tuzzi ultima modifica: 2014-04-26T08:21:51+02:00 da Salvina Pizzuoli

---

Post Navigation