Agosto. Caldo soffocante. Vento di terra.
Ci spostiamo verso la punta nella speranza di un refolo. La camminata ci spossa, ma la punta è ormai vicina. Nella distanza è senza contorni e confini netti; è una stretta e lunga lingua di sabbia protesa a cuneo oltre la linea della costa, tra due seni di mare; terra e mare vi si mescolano e fondono in un rapporto di forza, tra vuoti, pieni, vortici e gorgoglii: l’ acqua copre, scopre, trasporta, modella e cancella, la sabbia si sposta, rifrulla, riempie gli spazi, li ruba e li cede senza sosta e senza tempo che pare sospeso e quasi si ferma tra lo sciabordare continuo e incessante.
-Aria, si, finalmente un po’ d’aria-sono le prime parole che riesco a proferire dopo la lunga camminata per arrivarci.
Sulla pelle riarsa dal sole e dal sale un po’ di refrigerio.
Ci sdraiamo spossati.
Non siamo soli: c’è un ombrellone accanto a noi, vuoto di presenze, ma pieno di oggetti.
Appartiene forse ai due che pescano più in là, dove la striscia si fa più sottile e affonda nel mare. Due sagome, un uomo e una donna, si stagliano verso il sole; sembrano ombre inconsistenti con i loro profili che si stemperano e confondono nel riflesso.
Lei resta in prossimità della punta, lui invece si gira e si avvicina; ci ha visti e ci guarda; si dirige verso di noi; poi si ferma accanto all’ombrellone; ci guarda ancora.
Non parla.
Gli sorrido.
Non risponde al sorriso.
È chiaro; non vuole che si stia accanto al suo ombrellone, per altro vuoto quando siamo arrivati.
-È stata dura, ma qui ora si sta bene- spiego allora a voce alta, rivolgendomi ad Alessandro; spero che questi chiarimenti servano a tranquillizzare il sospettoso vicino.
Ha forse paura che frughiamo tra le sue cose lasciate sotto l’ombrellone?
Non si muove e ci guarda.
Non reggo la situazione e preferisco allontanarmi.
– Vado a bagnarmi- annuncio ad Alessandro che pare incurante di ciò che sta accadendo.
Entro in acqua, ma mi giro a controllare.
È sempre lì, non si è spostato, ma parla con Alessandro.
Mi rilasso e mi bagno: è stata solo una mia impressione.
Poco dopo ritorno, ma la scena si presenta mutata davanti ai miei occhi.
Lui non c’è più accanto all’ombrellone e Alessandro si è allontanato di un paio di metri.
-Ti sei spostato vedo, qui si sta meglio? Chiedo con aria interrogativa.
Alessandro chiarisce che siamo indesiderati; lui, il pescatore, il proprietario dell’ombrellone, ha chiesto il rispetto della propria privacy e di quella della sua compagna.
Siamo su una spiaggia pubblica!- è la prima cosa che mi viene in mente da dire.
È vero, c’è tanto spazio, ma noi cercavamo un po’ di aria e di refrigerio.
Ma non è finita.
Lui si avvicina di nuovo, borbotta qualcosa tra i denti mentre fa balliccio nervosamente delle masserizie poste sotto l’ombrellone; poi alza gli occhi verso di noi e ci apostrofa con voce concitata: grazie, grazie! Gente come voi deve morire!
Poi si incammina allontanandosi con il fardello scombinato delle sue cose assemblate in fretta e furia; continua a lamentarsi a voce alta lanciando ulteriori improperi nei nostri riguardi, ma il mare e la distanza si portano le sue frasi che si fanno via via incomprensibili
Sono amareggiata; le parole eccessive.
Non è bastato spostarsi, dovevamo proprio andare via!
Alessandro, invece, si è di nuovo sistemato dove l’aria soffia più forte e si è nuovamente disteso a godere la frescura.
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ultima modifica: 2016-02-17T08:30:52+01:00
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