Nel mio lavoro mi capita di leggere e di valutare numerose opere. Da qualche tempo hanno cominciato ad approdare sulla mia scrivania buoni romanzi, soprattutto opere prime di scrittori nuovi. Segno che, dopo una non breve stagione in cui a farla da padroni erano i personaggi televisivi, la gente si sta ribellando alla mediocrità che ci circonda.
Dunque, scrivo queste parole di presentazione con piacere ed un pizzico di emozione.
Eleonora Scali è una scrittrice, anzi una buona scrittrice. Nel pieno significato del termine.
È prima di tutto la rappresentante di quel ceto medio cui gran parte di noi appartiene. E poi un’imprenditrice, imprenditrice vera intendo, lontana da quei personaggi che si dichiarano tali ed ingombrano il palcoscenico televisivo o le pagine dei giornali: una donna in grado di soffrire per la propria azienda, di rimboccarsi le maniche e lavorare anche sedici ore al giorno se e quando occorre. Quando affronta la scrittura, forte della sua esperienza di vita, lo fa con onestà e passione, senza secondi fini, per il puro piacere di scrivere. Esattamente come, ho scoperto per caso, affronta l’altra sua passione, la musica: canta in un gruppo ‘blues’, esibendosi in locali e piazze.
Dico questo perché pare, addentrandosi tra queste pagine, di ritrovare lo spirito che ha animato gli autori della grande stagione italiana narrativa degli anni Sessanta: gente (per capirsi) come Lucio Mastronardi, Dino Buzzati, Luciano Bianciardi, Guido Morselli. Tutte persone eclettiche, scrittori che avevano un occhio attento alla realtà che li circondava, della quale facevano parte a pieno titolo; artisti dotati di occhio critico, capaci di cogliere il grottesco insito nella nostra esistenza, spinti da una grande tensione morale, che illuminava con forza le loro opere.
Eleonora Scali appartiene di diritto a questa scuola, aggiornata ai gusti del Duemila. La sua è una lingua fresca, immediata, godibile, ricca di immagini inedite. Il suo approccio alla scrittura è emozionale: ci avvince con l’incalzare degli eventi, con i personaggi che ci presenta, tutti ben delineati, ora divertenti, ora patetici, ora tragici; ci diverte, ci commuove, parla di gioie e di dolori. Infine, ci fa riflettere.
La forza di questo romanzo, la sua novità dirompente sta proprio nel raccontare il presente per com’è.
La protagonista, Viola, è una donna emancipata, una imprenditrice onesta che, armata della propria determinazione, si trova a misurarsi prima di tutto con uomini che la sottovalutano, la trattano con sufficienza perché donna. Uomini incapaci di ricoprire il ruolo di maschio del quale si fregiano, i quali, per sfuggire alla loro mediocrità, rifuggono dal riconoscere il valore della donna che hanno di fronte. Già questo argomento sarebbe materia sufficiente per il romanzo. Ma Viola, con la sua forza, la sua caparbietà, affronta molto di più: la mafia prima di tutto, con buona pace di chi pensa che al Nord le associazioni malavitose non esistano o non abbiano vita facile. Quando la delinquenza mette gli occhi sull’impresa della protagonista, niente pare in grado di contrastarla. Anzi, gli apparati dello Stato, che dovrebbero proteggerla, si schierano dalla parte dei mafiosi, vuoi perché palesemente corrotti, vuoi perché ottusamente concentrati nella applicazione di una burocrazia incomprensibile, inutile e punitiva.
Anche i pochi onesti che si schierano a fianco della nostra eroina appaiono frenati da leggi e normative, pensate per rendere intoccabili i maneggi delinquenziali. Su tutti, poi, regna una Giustizia elefantiaca ed astrusa.
Viola, dunque, si trova da sola a combattere, assistita unicamente dalla propria caparbietà. Perfino quando anche gli eventi atmosferici si scatenano contro di lei, non si spezza, si rimbocca le maniche, continua a lottare.
Dalle peregrinazioni, la descrizione dei sogni, le difficoltà, gli inciampi, la presentazione della fitta schiera dei personaggi, esce fuori a tinte forti l’Italia dei nostri giorni: quell’Italia in cui gli onesti vengono perseguitati in primo luogo dallo Stato, cui interessa solo la riscossione di tasse e balzelli; in cui alle persone in gamba vengono preferiti i mediocri, i truffatori, i venduti, i voltagabbana, gli intrallazzoni di ogni genere e grado.
Un fiume di guai fornisce risposte a domande pesanti: a cosa è dovuta la crisi che strangola l’Italia? Perché i nostri padri ed i nostri nonni hanno reso grande questo paese e noi non possiamo conservare la ricchezza che loro hanno accumulato? Dove finiremo se a tutto questo non porremo un freno?
L’atto d’accusa è forte e non risparmia nessuno: forze dell’ordine, esponenti politici, malavita, burocrazia, funzionari della pubblica amministrazione, avvocati, commercialisti, il nostro sistema giudiziario. Un mostro dalle mille teste contro cui la protagonista combatte, con caparbietà e coraggio tutte femminili, fino al finale, sorprendente, terribile e grottesco, come terribile e grottesca è la nostra povera Italia.
Un fiume di guai ha questa caratteristica: è un romanzo che si legge d’un fiato, diverte, emoziona, lascia l’amaro in bocca. Soprattutto, lascia nel lettore la voglia di ribellarsi a tutto questo.
C’è solo una cosa da aggiungere, a questo punto: buona lettura.
Enrico Rulli