La vidi per la prima volta a un mercatino nella piazzetta delle Erbe in una bella giornata di autunno.
Era bellissima. Portava i capelli raccolti in una coda di cavallo e una maglietta azzurra e il sole tingeva i suoi capelli di rosso. Stava camminando a passo veloce con uno zainetto in spalla scambiando qualche parola con una sua amica. Aveva grandi occhi gentili.
Me ne innamorai subito, non potevo farci niente, a volte è così.
La sua amica si avvicinò a me e mi sorrise, ma io riuscivo a guardare solo lei. Feci finta di non averla notata abbassando poi lo sguardo e chiudendomi in me, sperando che non mi notassero.
La rividi solo qualche settimana dopo al lavoro.
Faceva la commessa in un negozio di abbigliamento maschile ed era molto brava. Avevo notato che di tanto in tanto perdeva la pazienza con i clienti, le si arrossavano le guance, ma cercava di rimanere professionale. Poi andava nel magazzino e saltellava per scaricare il nervosismo.
Mi piaceva sempre di più.
E avevo anche scoperto il suo nome. Un tesoro prezioso: Elena.
Dopo qualche settimana avevo ormai capito il ritmo della sua giornata. Arrivava alle otto e trenta con una copia di un quotidiano e un cappuccino dentro una tazza di cartone di Starbucks. Apriva e si metteva al bancone per qualche minuto finendo di sorseggiare il cappuccino e sfogliare le notizie. Poi arrivava la sua collega e lei andava a cambiarsi.
Pranzava poi con la collega ed era lei a chiudere il negozio per tre giorni alla settimana. Una sera prese a parlarmi, credo di essere arrossito.
“Questa sera il mio gatto mi ucciderà” disse guardandomi “arriverò tardissimo per fare l’inventario. Come minimo troverò il divano completamente distrutto“.
Io ero così emozionato che non trovai le parole per rispondere, ma lei continuò a parlarmi del più e del meno.
Rimasi beato ad ascoltarla cullato dalla sua voce fino a quando non entrò la sua amica.
“Cosa fai Elena, parli con i manichini?” le disse.
Sentì il mio cuore sprofondare. È così: sono solo un manichino, fatto di plastica e di metallo. I miei occhi sono colorati e il mio cuore non batte come il suo. Eppure la amo ugualmente.
“Ciao Anna, parli di lui? È un buon amico” disse Elena “mi fa compagnia quando rimango fino a tardi. Pensavo di dargli un nome“.
“Sì? E come lo vorresti chiamare?” domandò Anna appoggiando la borsa dietro il bancone. Si avvicinò anche a lei e cominciò a guardarmi con aria scettica.
Elena mi fissò mordicchiandosi il labbro.
“Mika!” esclamò. Avrei alzato il sopracciglio se avessi potuto.
“Mika?”
“Certo, hai presente quel cantante? Secondo me si assomigliano” disse ridacchiando Elena. Bene, se la facevo ridere andava bene anche un nome tipo Fido.
A quel punto entrò un cliente, così Elena mi sorrise e tornò al lavoro.
Per alcuni giorni rimasi silenzioso. Non sapevo perché ero come ero. Gli altri manichini non sembravano rendersi conto di quello che avveniva intorno a loro, fissavano semplicemente la gente e si facevano montare e rimontare.
Io non ricordo quando ho cominciato a osservare, ma di certo è molto tempo. Forse dormono tutti e io mi sono solo svegliato prima degli altri. Mi sono svegliato vedendo Elena. Purtroppo però so di non essere umano e che posso solo essere una specie di collega di lavoro che le tiene compagnia.
“Sei triste Mika?” mi disse una sera d’inverno. Era un periodo faticoso per lei, era il 24 dicembre e alle dieci di sera era ancora in negozio. Aveva gli occhi cerchiati e una ciocca di capelli sfuggiva alla coda di cavallo.
“In effetti è quasi Natale e dovrai rimanere solo per qualche giorno. Però ti ho portato un regalo“. Prese da sotto il bancone un cappellino rosso e me lo mise in testa. Era un cappellino da Babbo Natale, non mi avevano mai regalato nulla, non sapevo proprio che fare. La guardai cercando di esprimere il mio sentimento almeno con i miei occhi dipinti.
“Sono un po’ triste anch’io Mika“. Si sedette sul bancone dondolando le gambe come una bambina. “Sono stanca e domani la mia famiglia festeggerà senza di me. È una noia perché loro non abitano in questa città e non ce la faccio a raggiungerli. Magari potrei venire a festeggiare con te” disse, poi rise.
“Cosa dico? Non è possibile, tu sei un manichino” mormorò.
In quel momento esplose qualcosa. La porta di vetro si spalancò ed entrarono due persone urlando.
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