Steve vide Denise per la prima volta ad una festa. In realtà non si trattava di un party sofisticato, di quelli che vedi in televisione e dove la gente è ben vestita e sorseggia con fare snob il suo vino da mille dollari. La festa che li aveva fatti incontrare si teneva nei bassifondi della città e Steve non era neanche stato invitato, anzi rappresentava il pericolo, il nemico, un infiltrato.
Le cose non andavano tanto bene nel quartiere, non per quanto riguardava la convivenza fra la popolazione nera e quella bianca. Per questo Steve ed un amico erano stati mandati come spie alla festa di fidanzamento fra il figlio di uno dei capi di una comunità irlandese ed una ragazza scialba e bruttina che lavorava nella tavola calda dell’angolo.
Denise usciva dal bagno parlando con un’amica. Per questo non si accorse di Steve, che le sbatté addosso.
“Ma porca…”, esclamò Steve…
Ma non finì la frase perché fu letteralmente accecato dalla bellezza lattea e conturbante di Denise. Ella si riprese dallo scontro e lo guardò. Fu amore a prima vista, quell’amore che ti assale dolorosamente e che non puoi non assecondare. Un amore primitivo, carnale, ma nello stesso tempo dolce e poetico. Un amore pieno, istantaneo. I due passarono la notte assieme, abbracciati nel loro languido desiderio che doveva essere nutrito e non sembrava placarsi mai.
L’unione dei due amanti non era ben vista dai loro clan di appartenenza per ovvie ragioni, ma Steve e Denise, pur facendo di tutto per nascondersi, non potevano mentire ai loro cuori, tarpare le ali di quel feroce amore.
Ogni giorno Steve, con la sua inseparabile tromba, si recava ai piedi della scalinata dove suonava per il suo pubblico: i passanti, il suo palcoscenico. Lo faceva dopo aver lasciato Denise, dotata di microfono ed amplificatore, all’ingresso della metropolitana dove ogni giorno allietava i passanti coi suoi canti e la sua musica.
Steve e Denise avevano infatti scoperto di guadagnarsi da vivere nello stesso modo, per la strada, e soprattutto attraverso la loro comune passione per la musica, che aveva rinvigorito ulteriormente la loro unione. Dopo il sesso suonavano spesso insieme, come a parlarsi, come a dichiararsi quell’intenso amore che mai li avrebbe abbandonati.
Come ogni sera, Steve andò a prendere Denise all’angolo della Subway. Non era ancora arrivata. Si accese una sigaretta e si poggiò al muretto. Non vedeva l’ora di raccontare alla sua morosa gli aneddoti del giorno. Poi avrebbero fatto l’amore, come sempre, e le avrebbe fatto sentire un nuovo assolo che si era inventato quella mattina e lei avrebbe sorriso e ci avrebbe cantato su, con la sua voce dolcissima, che sempre si adattava ai suoi umori sonori.
Passarono 15 minuti e di Denise neanche l’ombra. 30 minuti e ancora niente. Si decise e scese nella metropolitana. Percorse di corsa i profondi cunicoli e giunse alla postazione di Denise, proprio accanto alla cabina telefonica. Giaceva distesa in una posa embrionale, accartocciata in se stessa, come se stesse dormendo. A fianco a lei il microfono e il cappello per raccogliere i soldi. Vuoto.
La chiamò, toccandole la schiena:
“Denise, amore, che ti prende?”.
Ma Denise non rispose, era come morta, nessun movimento e dalla sua bocca usciva una bava bianca. La strinse a sé, la spronò, urlò il suo nome, ma Denise non si mosse. La prese in braccio e, col cuore terrorizzato, la portò fino alla stanzetta unta e buia che faceva da loro giaciglio. Si buttò su di lei in preda alla disperazione e pianse tutte le lacrime che aveva, finché tutto gli fu chiaro: la sua vita non aveva nessun senso senza la sua Denise, sua metà adorata. L’avrebbe raggiunta nel regno dei morti e si sarebbero ricongiunti per sempre.
Suonò la sua canzone preferita: “Let it be”, lasciando che le note si allungassero tristemente nell’aria fino a penetrare l’anima della sua Denise… Poi prese tutti i flaconi di medicine che possedeva e, con lentezza, lacrima dopo lacrima, li ingurgitò tutti. La morte non arrivò subito, ma fu dolce e spense la vita di Steve sollevandolo nel regno dell’anima della strada, quella stessa anima a cui loro avevano sempre dato i meriti della loro magica unione, che li aveva uniti per sempre e adesso lo faceva ancora nel mondo dei morti.
Intanto Denise si destò. Non riusciva ad aprire gli occhi, si sentiva le membra pesanti, tutto era di un’insostenibile pesantezza.
Chiamò: “Steve, ci sei? Che mi è successo?”.
Nessuna risposta. Cercò di aprire gli occhi, ma le facevano male. Ora ricordava. L’uomo che le voleva rubare i soldi del cappello. Si trattava dell’amico di Steve, quello con cui si accompagnava quando si erano conosciuti. Sicuramente la odiava. L’aveva minacciata, lei aveva lottato. L’aveva presa alle spalle e aveva sentito un pizzico nel collo, forse una puntura e poi il vuoto, il buio più nero.
Cosa era successo nel frattempo? E dove stava Steve? Lottò con se stessa e si fece coraggio, riuscendo ad aprire gli occhi. Steve era sdraiato su di lei e il letto era pieno di flaconi di medicinali. Con le ultime forze lo sollevò, lo chiamò: “Steveeeee!”.
Niente. Gli toccò il collo, nessun battito, cercò di sentire il suo respiro. Niente… Steve era morto.
Il suo cuore divenne di pietra, freddo e calcolato mentre, ripensando ad un antico poema inglese che le raccontava ogni notte sua nonna prima di dormire, prese il coltello da cucina più grosso che aveva e, senza alcuna esitazione, si accoltellò al cuore.
Risucchiata anch’essa nell’anima della strada, e nuovamente insieme al suo unico amore…