Cominciò a pensare che in fondo si trovava lì, che ormai era certo che stava viaggiando in una dimensione totalmente sconosciuta, sapeva e sentiva di essere dove doveva essere ma senza saperne il perché. D’altra parte non era ciò che provava sulla Terra? E non era proprio questa paura a terrorizzarlo e a impedirgli di vivere sereno? Era stufo di tutto questo ragionare, pensare, analizzare, elaborare: basta, basta, basta! Gridò a se stesso, girò lo sguardo, vide un immenso prato verde, strisciò uno zoccolo per terra due o tre volte, come un toro prima dell’attacco. Cominciò a correre, il cuore pompava come un treno a vapore, la macchina perfetta del suo corpo cominciò a sbuffare ritmata. Viaggiava e rideva, Jack rideva, piangeva, libero mordeva la terra davanti a sé. La velocità era inusitata per un’abitudine umana e la pioggia scorreva sul suo corpo come su una macchina in autostrada.
Gioiva. Incredibilmente era felice, in preda a una sensazione che non pone domande ma è e basta, che rende liberi nel vivere il momento presente, scevri da ogni inquietudine. Avrebbe fatto il giro del mondo di corsa se fosse stato un immenso prato, ma la materia ha un limite e, anche se lo spirito ci spinge all’infinito, davanti al bosco si fermò.
Fitti alberi creavano un muro di buio, il residuo vento del temporale faceva ondeggiare gli immensi abeti scricchiolanti. Cosa fare? Dove andare? Erano tornate le domande, c’era da affrontare la realtà (qualunque cosa stiamo vivendo, quella è la realtà).
Cominciò a camminare lungo il perimetro del bosco, passeggiando riflessivo in cerca di uno stimolo che lo indirizzasse. D’un tratto si fermò, un rumore di movimento nel sottobosco lo intimorì, cercò di frugare con lo sguardo nei meandri della fitta vegetazione ma non vide niente.
A un tratto sentì abbaiare – saranno stati tre o quattro cani – e voci di uomini concitate che rimbombavano nel bosco. Jack/cervo non capiva, d’istinto la presenza di umani lo rasserenò ma capì subito che non erano certamente lì a campeggiare.
I cani cominciarono ad avvicinarsi in modo frenetico, abbaiando come a segnalare la presenza di Jack che vide, di sfuggita, una tuta mimetica apparire e scomparire dietro un albero. Fu tutto chiaro: erano cacciatori e seguivano proprio lui.
Nel momento esatto in cui decise di scappare, un colpo di fucile sfiorò il suo petto, un sibilo che lo annientò di terrore. Cominciò a correre nello stesso prato della gioia in cui si era abbandonato solo pochi minuti prima. Scappava a tutta velocità e i cani lo inseguivano eseguendo il compito che era stato loro assegnato. Jack si sentiva in trappola, virò veloce verso il lago e ciò che vide lo pietrificò.
Un cacciatore lo attendeva proprio sul bordo del lago, col fucile puntato e quel distacco cinico e concreto di chi ha davanti una bestia da uccidere senza incertezze morali. Ma Jack aveva la propria anima e già sentiva che sarebbe partita di nuovo.
I cani dietro, il cacciatore davanti, l’esecuzione era un rito che attendeva di essere svolto. Un colpo secco al cuore e tutta quella natura viva e forte si sgonfiò in un attimo.
Il sangue che prima pompava la carica ora scivolava lento sull’erba e chissà che non stesse bagnando un filo d’erba in cui un’altra anima, errante anch’essa nel magma quantistico del non-conoscibile, stava vivendo la sua stessa esperienza.
La sua coscienza non si era ancora spenta e sentiva le voci dei cacciatori che organizzavano la gestione della salma e i cani felici che prendevano i bocconcini come premio.
Loro erano felici ora, la gioia passa di mano in mano ma non può mai fermarsi in un posto per lungo tempo.
Jack si sentì prendere per i piedi: sentiva un freddo tremendo, percepiva nettamente le calde mani dei cacciatori indaffarati. Ancora non era completamente morto, sentì la lama scuoiare il collo e lì si spense…
[Immagini improvvise nel magma: sua madre mentre gli preparava la colazione, una mattina d’estate, niente scuola, i biscotti distrutti nel latte a creare una crema densa e saporosa, un fratello che mai aveva avuto che accanto lo fissava inerme, il gatto che sfiorava, scivolando via, la sua gamba. Un uomo che pareva suo padre che salutava uscendo per il lavoro. La nonna, che in visita estiva frescheggiava in salotto e il vuoto che fagocitava il reale e tornava allo spirito. Inquietudine.]