Jack dormiva profondamente e sognava una cascata di pioggia.
Bagnato fradicio si rotolava per terra, un percorso onirico assurdo ma quasi reale. Si rigirava nel letto immaginario, lenzuola zeppe d’acqua lo avvolgevano in una morsa fredda, cercava di svegliarsi ma non ci riusciva.
Il sonno: automatico spegnimento dello stato di coscienza, ingresso in uno “spazio altro”. Jack negli ultimi anni non aveva dormito molto. Le sue feste e i suoi eccessi lo avevano reso un automa.
Dal sonno passò al dormiveglia; come nel letto d’amore con Laura, cominciava a sentirsi ma non riusciva a svegliarsi e l’oscillazione tra il sogno e i pensieri reali si fece incessante. Pensava confuso ai momenti con Laura, al suo profumo, a quell’estasi che solo le anime che danzano insieme sanno provare. Pensava alla propria solitudine, al marcio che lo atterriva, alle lacrime che avrebbe voluto versare; ma era soprattutto la stanchezza a turbarlo, la stanchezza di un viaggio assurdo senza un tempo e senza un’apparente via d’uscita.
Jack da piccolo era stato un bambino affettuoso, sensibile e attratto dalle persone sofferenti ma la sua bontà, la voglia di aprirsi e concedersi lo aveva reso vulnerabile al mondo e alle sue invasioni. Cominciò a chiedersi se vi fosse mai stata una ragione per la sua autodistruzione. Le dinamiche familiari erano alla base del conflitto interiore ma anche il suo spirito si era ammalato, perché quando si cerca un amore assoluto per la vita, ci si rende conto (appena si cresce) di quanto l’uomo ne sia distante e pericolosamente affamato.
Jack cominciava a pensare che forse non aveva senso ancorarsi al passato. Ora era lì, in un mondo sconosciuto, senza una via da percorrere, solo, abbandonato al non-senso. Era morto ma continuava a interrogarsi come se lo fosse davvero e questo rendeva tutto così assurdo… In realtà non era meno assurdo di quanto non lo fosse stata la vita terrena.
Mentre si arrovellava nel dormiveglia Jack drizzò le orecchie, o perlomeno così percepì. Sentiva un forte vento sibilare tra gli alberi, foglie e legnetti gli sbattevano addosso: era un violento temporale e cominciò a sentire chiaramente di essere dentro un corpo.
Aprì gli occhi, il colore delle cose era un po’ diverso dal solito. Vide querce e sottobosco, tutto in tonalità scure; il temporale dava all’ambiente un aspetto tetro e minaccioso, gli alberi che si scuotevano allarmati dal forte vento non opponevano resistenza. In questa danza della natura Jack cominciò a rendersi conto di dove si trovava; svegliatosi quasi del tutto cercò di alzarsi e avvertì il sangue scorrere come mai aveva sentito. Si spaventò. Si sentiva forte, pieno di naturale energia, fisicamente al massimo, fresco, pronto. Avrebbe potuto affrontare qualunque gara di velocità o resistenza, si sentiva potente.
Cominciò a muoversi e si rese immediatamente conto che qualcosa non tornava. Non riusciva a coordinare bene i movimenti, nel tentativo di alzarsi dette un colpo di reni, la testa si abbassò e in quel gesto violento lo sguardo cadde sul proprio corpo e vide quattro zampe. Uno shock! Non si capacitava, sembravano zampe e corpo di un cervo. Provò a sbattere la testa per terra ed ebbe la risposta che immaginava: aveva le corna (e che corna!), enormi e maestose, ramificate e lievemente pelose. In uno scatto di follia riuscì ad alzarsi. Barcollava, caracollava come un giovane destriero appena partorito; umido di pioggia muoveva le gambe come se fossero i primi passi di una nuova vita. E lo erano… Era un cervo e dall’altezza dello sguardo sul mondo a Jack pareva anche molto alto e possente.
Il tempo restava minaccioso e Jack tentava di prendere un po’ di confidenza con il suo nuovo corpo, con la nuova, ennesima realtà. Camminava avanti e indietro, girava intorno e percepiva il proprio essere: era un maschio (non vi erano dubbi), era adulto, era sano e in forma, un fisico in perfetta armonia con ciò che lo circondava.
Il vento si fece più forte, la pioggia incessante suonava le foglie come tamburi e Jack decise di spostarsi verso un punto un po’ più riparato. Con passo incerto salì una lieve collinetta, discese e davanti ai suoi occhi si stagliò un lago immenso, gli alberi nel suo perimetro salutavano col movimento del vento, una lieve foschia faceva da coperta al letto dell’acqua e Jack, assetato e spaventato, decise di specchiarvisi.
Arrivò piano piano al bordo del lago, si sporse in avanti, abbassò la testa e si vide… Anche con lo strangolatore si era osservato e il suo sguardo era lo stesso, come se si fosse riflesso nello specchio di casa. Era chiaro che esisteva l’anima: quando lui era “dentro”, qualunque corpo assumeva lo stesso spirito, era impressionante.
Le corna erano enormi, il muso provato, qualche cicatrice e un po’ di peluria bianca. Il cervo era più che adulto, doveva essere sicuramente un maschio dominante, uno di quei vecchi guerrieri che in ogni specie animale sopravvivono grazie al coraggio. Era bellissimo, Jack si sentì subito a proprio agio e cercò di scrollarsi di dosso quella patina deprimente che lo aveva sempre accompagnato.
Metempsicosis – La Preda (01)
Metempsicosis – La Preda (01)
ultima modifica: 2014-02-18T08:28:34+01:00
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