Il giorno stava nascendo quando, dentro di sé, il vecchio sentì pervadersi dal freddo della morte. Mani e piedi ardevano come tizzoni sotto il sole cocente, quanto più ancora trattenevano il calore pulsante della vita. Tutto il resto giaceva in un ghiaccio immobile che esalava da ogni parte quanto in esso restava di vivo, memore del tempo estatico e irrequieto della giovinezza. Spalancò di colpo la bocca. Da essa sentì uscire un respiro profondo e involontario, uno spasimo viscerale che segnava lo svuotarsi irreversibile dell’anima. Volavano via anche le poche parole che gli erano rimaste in bocca la sera precedente, quando aveva riflettuto con melanconici pensieri sulla sua vita. Si era ricordato di coloro i quali lo avevano accompagnato lungo i sentieri del mondo e, solo sussurrando, come faceva di solito, accennando con la lingua a semplici suoni, trattenendoli tuttavia, facendo di sé stesso la loro unica casa, aveva accennato i loro nomi, le loro imprese, ne aveva ricalcato i caratteri, rievocato discorsi e parole condivise con loro. I suoi figli, il segno che conservava nel mondo la sua benevolenza paterna, poi la moglie, quella figura evanescente che abitava i suoi pensieri tramite il ricordo, il padre,con i suoi gesti maestosi e antichi, presenza di un’altra epoca, il fratello, compagno e amico del suo primo vivere, affollavano il vestibolo della sua memoria, ora l’uno, ora l’altro; gli parlavano, ronzavano come vespe nelle sue orecchie, si sovrapponevano nella figura così come nelle parole, che gli riempivano l’udito; questioni già sentite, già condivise, già amate, già accolte, già meditate. Non v’era null’altro se non il passato. Non c’era una soglia da varcare se non quella già oltrepassata. La morte non è una porta da aprire, ma un cancello da richiudere dietro di sé come quando si rincasa. Questo capì il vecchio. Questo maturò in quei pochi minuti in cui gli si prefigurò il destino immutabile di un’intera esistenza
. Una vita di meditazione non gli era valsa quell’ultima consapevolezza, mai raggiunta, secondo la quale si vive per fare esperienza di quanto, multiforme, abita la terra e non per guadagnare un giaciglio nel futuro, né per approdare al porto di Dio o a quello degli uomini. Il futuro, semplicemente, non esiste. La vita è tutta un presente.
Gli sembrava straordinariamente insolito che gli si proiettassero davanti i momenti di ogni epoca, a quali ora si univano quelli dei suoi cari, dei quali viveva anche le memorie e le esperienze di un lontano passato. Ogni cosa lo avvolgeva come ombre in un bosco di sera e il tempo era aperto, distendeva i meandri della storia, e il mondo uno solo, e le vite un tutt’uno incalzante attorno a sé. La sua esistenza si spalmava su ogni tempo e abbracciava ogni uomo, cosicché poteva toccare suo fratello, stingerlo per il braccio; poteva afferrare la mano dell’anziano padre e sfiorare i capelli della donna che aveva amato. La sua esistenza stava implodendo, sicché il futuro sarebbe stato nella sua memoria ed egli avrebbe vissuto di ciò che conobbe in vita, avrebbe fatto esperienza della storia, amato chi amò e conosciuto chi conobbe. Ogni aspetto della sua conoscenza, ogni Suo aspetto, lo avrebbe identificato da quel giorno in poi, il giorno della sua morte.
Da quel momento realmente sarebbe stato sé stesso e la sua stessa sussistenza, incorporea e sconosciuta alle sue possibilità, avrebbe consistito in lui e unicamente nella sua persona.
Dunque, aveva perso cognizione di ogni cosa del mondo e il sonno lo aveva colto fino al risveglio, il risveglio del giorno in cui morì. E così sentì di essere incapace di agire secondo ogni logica umana, e perse la parola, e drammaticamente si accorse che nell’ultimo momento era impossibile comunicare. Tale era, per ragioni oscure e arcane, il fine della visione: distaccarsi. Ma il bagaglio delle sue conoscenze, e delle sue riflessioni, lunghe e articolare considerazioni sulla vita, elucubrati pensieri di un uomo di mezz’età, carcassa caduca suscettibile ai pianti e al sentimento, era troppo grande e più volte aveva pensato si istruirne i figli, ma ora, terribile contrappasso, era privo di ogni capacità. Guardò attraverso la stanza che lo accoglieva e allo stesso modo fece entrare dentro di sé il sole. E mentre tutto gli sfuggiva, mentre esalava quel respiro involontario e affannoso, afferrò quanto poteva tra le pieghe dell’abito e scrisse, poiché quanto aveva compreso lo disorientava terrorizzandolo, tanto aveva amato il mondo e le cose del tempo terreno.
E così principiò e con decisione calcò sul foglio.
Mentre la vita sfugge, riflessioni d’un vecchio saggio 1-2
Mentre la vita sfugge, riflessioni d’un vecchio saggio 1-2
ultima modifica: 2014-10-15T08:19:43+02:00
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