Lo specchio – 4/4

Un desiderio incommensurabile, il suo.
Un amore eterno, con troppe parole.
Così decisero le Parche: i fili andavano tagliati.
Sul suo cuore, giacevano forbici scarlatte.

Il giorno dopo, stessa storia: sveglia all’alba, corsa all’armadio, poi in cucina, in bagno ed infine per strada, bruciando una quantità infinita di semafori rossi.
Ti beccherai una multa, prima o poi, per questa tua guida così poco femminile.
Le parole di Noel riecheggiarono nella mia mente, per tutta la breve durata del viaggio fino al teatro. Di nuovo, come il giorno precedente, Miriam aveva indetto l’ennesima prova generale, per lo spettacolo che non sarebbe mai andato in scena. A dispetto degli altri della compagnia che non facevano altro che mostrare il loro perenne stato di ottimismo nei confronti della vicenda, io ero ormai convinta che non ci sarebbe stato niente ad andare in scena su quel palco.

Quella mattina, con mia grande sorpresa ed entusiasmo, era sparito quel fottuto sorriso dalle loro bocche, per fare spazio  a delle espressioni fantasma, quasi come se avessero visto un cadavere nel loro stesso letto. E per uno di loro fu proprio così.
Non feci in tempo a poggiare del tutto il piede destro nel backstage del teatro che tutti, e dico tutti, i ragazzi e le ragazze della compagnia si voltarono a guardarmi. Quel gesto così unanime mi diede altamente sui nervi.

“Cosa diamine avete da guardare tutti voi? Sembra abbiate visto un fantasma. Siete tutti pallidi in volto. Cosa c’è, un virus influenzale aleggia in questa stanza? Perché se è così, me ne torno immediatamente a casa. Non ho intenzione di …”
“Jules, piantala di blaterare. Nessuno di noi ha voglia di assistere al tuo solito sarcasmo”-disse improvvisamente Noel, l’unico, forse, un po’ meno pallido degli altri.
“Spiegami, allora, cosa succede”-risposi, con tono.
“Diamine, Jules, sembra sempre che tu cada dalle nuvole. Non hai sentito la notizia alla radio, venendo qui?”.

Quasi mi veniva da ridere, ma la tensione che quell’esitazione di tutti aveva scatenato in me soffocò la risata imminente. “Mi dispiace, Noel, ma non ho avuto tempo per ascoltare anche la radio questa mattina. Di cosa si tratta, stavolta? Oh, aspetta, fammi indovinare. Miriam ti ha tolto la parte da protagonista e tutti sono dispiaciuti per te”.
“Sapevo che avrebbe reagito così. Non ha più un cuore”-disse Lacey, quasi sottovoce.
“Credi che non ti abbia sentito, eh? Cosa t’importa se ho o no un cuore? Ditemi ,piuttosto, cosa diamine succede stamattina a tutti voi”. Stavo davvero per arrabbiarmi.

Miriam fece un passo verso Noel che, nel frattempo, era scoppiato in lacrime. “Vuoi che glielo dica io, tesoro?”-disse. Noel annuì.
Diamine, quanto siete patetici, pensai.
Poi, finalmente, Miriam parlò. “Jonathan è morto. Stanotte. La polizia ne ha trovato il cadavere, disteso nel proprio letto. L’assassino lo ha ucciso nel sonno”.

Per la prima volta, non sapevo cosa rispondere. Optai per un “In che modo?”.
“Beh, io personalmente Jules non ho il fegato per descriverti i dettagli dell’omicidio. Sono scritti tutti qui, comunque”-rispose Miriam, porgendomi il giornale di quella mattina.
Lessi l’articolo, saltando la presentazione del defunto che già conoscevo anche troppo bene: “Il corpo, anche stavolta, è stato rinvenuto in uno stato indescrivibile, se non fosse per il dovere della scientifica di effettuare le indagini sull’omicida. Posso dire che il cadavere si presentava ricoperto di sangue, con la sua lingua, mozzata, adagiata all’altezza del suo organo genitale. L’arma usata, un paio di forbici d’acciaio, aperte ed insanguinate, adagiate all’altezza del cuore. La polizia investigativa ha ritrovato ,poi, sotto il letto, un cuscino insanguinato, probabilmente usato per soffocare la vittima, dopo questa brutale violenza. Ulteriori indagini sul cadavere ci forniranno l’esatta sequenza dell’omicidio … “.

Posso dire, non con certezza, di essere diventata pallida anche io, dopo aver letto quella descrizione.
“Accidenti”. Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
“Lo so”-disse Miriam.
“La domanda è: come ha fatto l’assassino ad entrare in casa loro, in piena notte, senza svegliare nessuno?”-disse Lacey, con aria quasi investigativa, fissandomi intensamente.
“Non troverai la risposta fissandomi in quel modo”-risposi, seccata.
Poi, tutti subito presero a fissarmi con la stessa intensità nello sguardo con cui mi avevano fissata  al mio ingresso nel backstage.
“Ci risiamo. Mi spiegate cos’avete da fissare tutti voi? Credo di aver già ammesso di essere anche io sconvolta, a mio modo, dalla morte di Jonathan”.

Poi, l’unico che non mi stava fissando, Noel, parlò, tenendo la testa bassa. “Tu eri l’unica ad avere le chiavi del nostro appartamento, oltre a me e a mio fratello, ovviamente”.
“E con questo cosa vorresti insinuare? Che sono stata io ad uccidere tuo fratello? Senti, avrò la luna storta in quest’ultimo periodo, ma di certo non fino al punto di commettere un omicidio, in questo modo poi”.

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Adesso mi accusavano anche di aver ucciso Jonathan? Volevo scappare. Non so perché, ma stare in quella stanza mi creava un forte senso di disagio che avvertivo al centro del mio stomaco.
“Jules” –disse Noel – “mi dispiace, ma non ti credo. Non ci riesco proprio, credimi. Ti guardo negli occhi e vedo il vuoto, tu non ci sei. Credo fermamente che, seppure non sia stata tu ad uccidere Jonathan,tu  sia complice, in qualche modo. Non voglio più averti al mio fianco.”.  Assurdo: le parole di Jonathan risuonavano nella mia mente così profetiche in quel momento, come l’annuncio di un’apocalisse imminente. “Tra noi è finita”.
E così fu.

***
Per anni, forse da quando i primi sentimenti, benché ad uno stato primordiale, si erano instaurati in me, il mio cuore ed il mio stomaco erano strettamente connessi l’uno all’altro. Per cui, se il mio cuore bruciava, lo stomaco faceva altrettanto; e se il mio cuore, in qualche modo, moriva, il mio stomaco lo assecondava. Quindi moriva, lentamente, senza protestare, perché gli ordini del cuore non si contestano.
Questo fu l’assetto post-apocalittico del mio organismo. Jonathan aveva previsto la fine mia e di Noel, per colpa del mio atteggiamento nei suoi confronti. Avevo tradito la sua fiducia, la sua comprensione, la sua compassione ed il suo amore, il suo buon senso.

L’avevo tradito, in tutto e per tutto. Avevo tradito i suoi occhi e il suo sorriso, con tutto l’amore che provava per me. Non c’era rimedio e non potevo biasimare nessuno, se non me stessa. Purtroppo, mi era impossibile fare diversamente. Sembrava come se una forza ultraterrena mi spingesse a comportarmi in quel modo.  Non avevo alcuna scelta,se non l’immersione più totale nella mia apatia.

La fine del mio rapporto e di qualsiasi tipo di legame che era rimasto tra di noi mi aveva sconvolta, sorpresa, ma non ero riuscita a versare neanche una lacrima. Folle, davvero, se teniamo conto del fatto che stavamo per sposarci di lì ad un paio d’anni. Assurdo, davvero. Il fatto è che ero talmente presa dall’incubo della mia coscienza da fregarmene totalmente:pensavo solo a me stessa, in tutti i sensi.

Per di più, dopo tutto questo chiasso provocato dalla morte di Jonathan e dalla mia presunta colpa o partecipazione all’omicidio, Miriam aveva deciso di cacciarmi dalla compagnia, il che contemplava la mia assenza definitiva dallo spettacolo che sembrava finalmente essere pronto ad andare in scena. Forse ero proprio io la causa di quel ritardo, motivo che suppongo abbia contribuito a spingere Miriam verso la decisione di cacciarmi definitivamente dalla compagnia.
Poteva davvero essere il lieto fine che tutti aspettavamo?

***
Lo spettacolo ebbe un successo enorme, o almeno così lessi sui giornali. Un articolo con tanto di foto che ritraeva tutta la compagnia, o meglio, quello che rimaneva della compagnia, al completo. Noel spiccava fra tutti gli altri. Un sorriso misto di orgoglio ferito, amarezza e felicità adornò il mio volto in quel momento. Una parte di me avrebbe voluto essere lì, accanto a Noel, sorridente come il sole e piena di gioia. Chiusi gli occhi. Quasi riuscivo a sentire gli applausi caldi e clamorosi del pubblico: il loro suono, come musica per le mie orecchie, quasi mi sfiorava la pelle.

Quest’Arcadia, però, svanì, quando sentii suonare il campanello.
Sentii mancarmi il respiro, quando Noel apparve davanti ai miei occhi. Quella fu la prima volta, dopo tanto tempo, in cui sentii scendere sulle mie guance delle lacrime, erano calde. Lui appariva più sorpreso di me: un volto che tutt’ad un tratto si accese di speranza, benché celasse dietro i suoi occhi ancora quel disprezzo così apatico ed indescrivibilmente amaro nei miei confronti.

“Ciao, Noel” – dissi. Fu l’unica cosa che riuscii a dire, con un nodo alla gola.
“Ciao, Jules. Ti disturbo?” – mi chiese Noel, anche lui con la voce tremante.
“No, dimmi pure”. Erano mesi ormai che non lo vedevo, che non sapevo che fine avesse fatto, se era stato entusiasta o meno dello spettacolo. Non ricordavo quasi più la fisionomia del suo volto, il suono della sua voce, le sue espressioni facciali, eppure sembrava come se non riuscissi a parlare, benché avessi un’infinità di domande da fargli.

Spostai il baricentro della mia vista dai suoi occhi ai suoi piedi e vidi uno scatolone chiuso con del nastro adesivo, con su scritto “Jules”. Mi sentii pietrificata in un istante.
“Come puoi vedere, ho messo tutto quello che di tuo avevo in casa mia in uno scatolone. E’ difficile svegliarmi la mattina e vedere la sveglia che mi hai regalato lo scorso Natale sul comodino. Ne comprerò un’altra e mi sveglierò lo stesso. Poi, ci sono le nostre foto, il tuo spazzolino da denti e tutto il resto. So che non è la cosa più carina e confortante da dire, ma ho dovuto setacciare ogni angolo della casa, per rimuovere qualsiasi traccia del tuo passaggio”- disse Noel ed ogni sua parola fu come una lama che squarciò la ferita già aperta da molto tempo, ma che cercavo di tenere il più possibile chiusa, perché è solo l’essere umano senza legami colui che risulterà il migliore tra tutti ed ora che avevo perso l’ultimo mio legame con il mondo, potevo davvero dire di vivere.

Per cui, mi azzardai a pronunciare quella domanda. “Dunque, è davvero finita?”- dissi, accingendomi a prendere lo scatolone che mi apparteneva.
Noel lo trattenne nelle sue mani. “Davvero, Jules? Ti stai arrendendo? Non provi neanche a combattere, per me? Diamine, stavamo per sposarci. Guarda come siamo finiti. E non riesco neanche a capire cos’è successo, ne chi dei due abbia sbagliato. Ti prego, dimmi cosa pensi”.

La sua era una richiesta viscerale ed il mio era un ordine di allontanamento altrettanto viscerale.
“Penso che tu abbia fatto la cosa giusta” – dissi, sentenziosa, afferrando lo scatolone con forza. Guardai il suo volto: era allibito, quasi come se in un istante così drammaticamente effimero avesse perso quell’unica goccia di speranza che ancora preservava nel profondo del suo cuore. Mi sforzai più che potevo, per non far trapelare alcun dispiacere dal mio sguardo e raggiunsi senza problemi il mio obiettivo.

“Ne deduco di avere ottenuto una risposta che non lascia alcun ombra di dubbio. Grazie, per quel che possa valere”- disse, voltandomi le spalle ed allontanandosi dal mio appartamento.
Lo guardai allontanarsi, per poi richiudere la porta alle mie spalle.

Non avrei mai osato immaginare un finale di questo tipo. Eppure il dominio che la mia mente aveva imposto su tutto il mio fare e dire era stato un evento senza alcun preavviso, inevitabile ed incontrollabile. Forse, in un’altra vita, le cose sarebbero andate diversamente. Non sarebbe successo nessun evento così sconvolgente ed avremmo vissuto la nostra vita insieme, senza alcun intervento esterno di nessun tipo. C’erano alcuni momenti, ricorrenti negli ultimi mesi, in cui pensavo che il fatto di far parte entrambi della stessa compagnia teatrale, il fatto, dunque, di condividere una passione ed un posto di lavoro, benché fosse stato fortemente galeotto per noi due, ci aveva portati alla competizione, ci aveva messi l’uno contro l’altro e, dunque, ci aveva portati a quella fine che non attendeva altro che un giorno propizio in cui mostrarsi.

Del resto, rimanevano solo ipotesi del tutto azzardate.
Così come la paura, l’ansia e tutto ciò che circondava quello spettacolo che non sembrava destinato ad andare a buon fine, i vari omicidi e la faccenda di Jonathan…  forse fu proprio tutto questo agglomerato mortale a condurci verso il binario morto della nostra relazione.
Non avevo alcuna sicurezza riguardo la causa scatenante, se non per il fatto che l’unica persona ad aver guidato tutto ero io. Io avevo posto un accento d’inarrestabile intensità su questo filo già teso all’estremo ed avevo fatto precipitare tutto; io avevo scatenato la rabbia di Jonathan e l’amore non ricambiato nei miei confronti, in modo da far nascere in lui tutta quella sete di vendetta e di “ occhio per occhio”; io, con il mio comportamento inspiegabilmente incosciente e così sfrenatamente insano avevo portato Noel a quella decisione, a pronunciare quelle parole che mai e poi mai, orgoglio personale a parte, avrei immaginato e desiderato di sentir uscire dalla sua bocca.

Ecco la risposta ai dubbi di Noel: la colpa era mia, soltanto mia.
Un fremito mi percosse lo stomaco, facendomi vacillare. Cominciai a sudare a freddo, ebbi brividi di freddo e vampate di calore alternate a spasmi. Mi portai il palmo della mano sulla fronte e mi appoggiai con l’altra mano allo stipite della porta della cucina. La testa iniziò a girarmi in maniera indescrivibile e per l’ennesima volta non potei controllare me stessa. Ci fu il vuoto dentro di me, poi ad un tratto un’ondata d’immagini, vivide, dolorose, laceranti che m’impedivano di respirare. Provai a lottare contro quel mare in tempesta, ma quel cristallo, quella lama insanguinata, Krystal, il lupo, il petto sanguinante, Dawn … e poi Jonathan e quelle forbici insanguinate sul suo petto…

Erano morti: ero stata io ad ucciderli.
Il pavimento crollò sotto ai miei piedi, aprendo un varco nel terreno. Chiusi gli occhi e mi abbandonai, senza forze, a quella realtà.

Chiara Virzi

Lo specchio – 4/4 ultima modifica: 2012-06-25T09:00:42+02:00 da Inviati dai lettori

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