Al mio risveglio, mi ritrovai stesa sul pavimento della cucina. Un forte odore di pomodoro mi colpii le narici in maniera così forte da stordirmi. A terra, al mio fianco, c’erano un coltello per il pane ed il cristallo “scaccia-male” (come lo aveva chiamato la negoziante presso la quale lo avevo acquistato) che tenevo accanto al telefono. Mi rialzai da terra, confusa, stordita. Un altro svenimento, un’altra trance. Il significato di quegli oggetti sul pavimento costituiva un intrigo troppo difficile da sciogliere, come sempre. Perciò mi limitai semplicemente a raccoglierli, rimettendoli al loro posto e fingendo che nulla fosse accaduto. Poi, tornai ai fornelli.
Finzione ed indifferenza mi sconvolgevano più del mio alibi, quasi lo demolivano del tutto. Fingere, ogni volta, che tutto fosse al limite del normale, se non del quotidiano, non era la soluzione migliore. Sentivo, però, un bisogno viscerale di mentire a me stessa, di continuare a ripetermi che tutto era normale, che non c’era niente di così strano o di assurdo,che era un semplice svenimento dovuto a chissà cosa, e mentre il mio cuore sussurrava tutte queste bugie alle mie orecchie, tenevo le dita sottili delle mie vene incrociate dietro la schiena, senza farmi vedere. Questa menzogna era alla base della mia quotidiana sopravvivenza ed abbandonare la scena, con tutta la finzione che questa comportava, non era la scelta migliore.
Pronta la cena, mi sedetti a tavola, affondando nella sedia, stremata e senza forze neanche per respirare. Quando mi raddrizzai sulla sedia per mangiare, sentii squillare il telefono. Sobbalzai. Lo squillo, chiunque fosse, fu inaspettato. Divenne, poi, inatteso ed indesiderato quando sentii la voce di Noel.
“Sei a casa, finalmente” – disse, come al suo solito.
“Dove pensavi che fossi?”-risposi.
“Bella domanda, Jules. Dov’eri?”.
“Sono sempre stata a casa. Dove pensavi che fossi, Noel?”.
“Jules, sono tre ore che provo a chiamarti e questa è la prima volta che a rispondermi non è la tua segreteria. Non prendermi in giro, per favore”.
“Credo sia tu a prendermi in giro. Forse le mie orecchie non volevano sentire lo squillo del telefono, oltre al suono della tua voce”- dissi, con rabbia, e non me ne pentii.
“Jules, se ce l’hai ancora con me per la storia dello spettacolo, te l’ho detto non è colpa mia. Domani andremo da Miriam e le parleremo. Vedrai che non ci saranno problemi”.
“Noel non m’interessa. Tieniti il tuo straccio di ruolo da protagonista. In fondo, era tutto quello che volevi, no? E adesso lasciami in pace, non ho proprio voglia di starti ad ascoltare”.
“E invece dovrai ascoltarmi. Ho provato a chiamarti tante di quelle volte nelle ultime tre ore … ero preoccupato per te”.
“Ah, davvero? E perché mai, sentiamo”. Nel frattempo, infilzai un po’ della pasta che mi ero preparata ed iniziai a mangiare.
“Krystal è morta”.
Per poco non mi andò di traverso la pasta. “Hai così tanta voglia di scherzare, Noel?”.
“Jules, ti sembra che questo sia uno scherzo?”.
“No, infatti. Perdonami, ma è davvero scioccante”. E lo era davvero. Ma quello che più mi sorprendeva era quella premura di Noel nei miei confronti. Quasi m’irritava. “Da chi hai saputo della morte di Krystal?”.
“Jack. Mi ha chiamato perché non la vedeva tornare e pensava ci fossimo fermati più a lungo per le prove. Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo risentiti se avessimo saputo qualcosa, fin quando non mi ha richiamato in lacrime, disperato, chiedendomi di accompagnarlo, per il riconoscimento del corpo di Krystal. E’ stato tremendo, Jules. Per ora non sembra esserci nessuna ricostruzione plausibile e logica dell’omicidio. Gli unici elementi a disposizione della polizia, rinvenuti accanto al corpo, erano un coltello da cucina insanguinato ed un cristallo, uno di quelli che ti rifilano nei negozi esoterici, convincendoti che sono in grado di scacciare il male”.
Un cristallo ed un coltello da cucina. Che strana coincidenza, pensai. “Beh, a quanto pare per lei questo cristallo non ha funzionato”.
“Già, hai ragione. Ora l’importante è che tu stia bene. Volevo assicurarmi soltanto di questo”.
“Sì, Noel, sto bene. Puoi smetterla con il tuo fare l’attore ogni secondo della tua vita. Nel momento in cui abbandonerai questo tuo atteggiamento così disgustosamente disincantato, allora io ti dimostrerò gratitudine. Buonanotte” –dissi, concludendo quella breve e confusa telefonata.
Dopo tutto quello che avevo passato per averlo al mio fianco, dopo aver cenato con lui sulle sue ceneri ed averlo fatto risorgere (o almeno lui così diceva), ecco cosa mi restava: un pugno di ossa da sbattergli in faccia per la sua mancanza di tatto. Tutto l’amore per lui sembrava quasi essersi dissolto, nel giro di qualche ora, per cosa,poi? Per un momento di gloria,su di un palco che ormai cadeva a pezzi. Quanto siamo animaleschi, a volte. Siamo brutali, per la violenza con la quale ci scagliamo sulla scena della vita; siamo istintivi, perché il primo nostro istinto, dal momento della nascita, è quello di sopravvivere al bagliore di una lampada in sala parto; e pieni di ego nelle vene, per difendere il nostro partito, anche quando abbiamo tutto tra le mani, tranne la ragione.
Noel non era, poi, così distante da questa descrizione dell’essere umano standard, secondo il mio umile punto di vista, e tutto questo mi confondeva, annebbiava l’amore e l’affetto che provavo nei suoi confronti e m’impediva di ragionare. Vidi salire intorno a me una coltre di nube grigia che si faceva sempre più fitta e scura e m’impediva di vedere chiaramente le cose. Per cui, tanto valeva restare ad occhi chiusi, cercare una qualche voce dentro di me che mi consigliasse cosa fare, cosa dire e dove andare. Perché volevo scappare.
Un lupo.
Su quella roccia, la fioca luce dell’alba.
I suoi occhi, lampeggiavano nei miei.
La sua fame era la mia.
Il silenzio.
Uno sguardo.
Un morso sul petto.
C’è un organo del nostro corpo che c’impedisce di morire per soffocamento volontario. Non credo, però, che funzioni anche per affogamento incosciente.
Quando mi accorsi che l’ossigeno cominciava a scarseggiare , mi sedetti nella vasca e ripresi pian piano il mio regolare respiro. Sembrava come se mi fossi appena risvegliata da un incubo di cui non ricordavo il benché minimo dettaglio. Sentii dei passi provenire, in tutta fretta, dalla stanza accanto.
“Diamine, Jules! Non sai restare sdraiata in una vasca?”- disse, con mia grande sorpresa, Noel.
“Che ci fai tu qui?”- risposi, senza riuscire a nascondere il fastidio che mi causava la sua presenza, in quel momento.
“Potrei farti la stessa domanda. Stavo venendo da te a portarti la colazione e scusarmi, anche se non so bene di cosa, e appena ho aperto la porta di casa ti ho trovata distesa sul mio pianerottolo. Ho pensato che fossi svenuta, o che fossi in preda ad una sbronza notturna, così ti ho fatta sedere nella vasca, per farti riprendere con un bagno freddo” – rispose.
“Un bagno freddo, con tutti i vestiti addosso?”. Gli feci notare la maglietta che, completamente zuppa, mi aderiva al petto, mettendo in risalto il mio seno non proprio prosperoso.
“Avresti voluto che ti spogliassi, così magari saresti stata capace di credere che volessi fare chissà cosa con il tuo corpo in stato di totale incoscienza?”. Quella domanda dallo sfondo così retorico e così altrettanto fuori dalla sua portata, mi stupii.
“Certo che no”. Gli feci eco.
“Ecco. Dio, Jules, cosa avrei dovuto fare? Decido di uscire e mi ritrovo la mia ragazza, suppongo, sul pianerottolo di casa mia, incosciente, ignaro di cosa le sia potuto accadere di così grave da ridurla in quello stato”. Ecco, ora lo riconoscevo. E riconoscevo anche lo sguardo con il quale mi guardava. Era preoccupato, percepivo la sua agitazione. C’era anche amore nel suo sguardo, ne ero sicura, ed anche un po’ di comprensione e premura nei miei confronti, ma in quel momento mi sembrava alquanto difficile fare mio anche solo uno di quei sentimenti.
“Prima che tu me lo chieda, non so cosa sia successo. Non credo di aver bevuto stanotte e non so come ho fatto ad arrivare qui, Noel”.
“Com’è possibile che tu non sappia cos’è successo stanotte? E’ inammissibile, Jules. Capisco la tua “rabbia” nei miei confronti, ma quello che stai dicendo è inammissibile. Non vuoi neanche più parlarmi? Che ti succede? Se hai bisogno di aiuto, io sono qui, lo sai. Ti amo, Jules, e questo tuo atteggiamento nei miei confronti, mi uccide. Lo riesci a capire? Ti prego …”.
“Smettila, Noel. Mi stai facendo scoppiare la testa”.
“Soffri di sonnambulismo?”.
“No”.
“Eri uscita a buttare la spazzatura?”.
Ora cominciava ad irritarmi. “Pensi che io sia stupida, talmente tanto da non ricordarmi se sono uscita a buttare la spazzatura?”.
“No, certo che no. Stavo soltanto chiedendo”.
“Ecco, smettila di chiedere, allora”.
“Jules, io proprio non ti capisco. Voglio solo cercare di capire cosa ti è successo stanotte, per poterti aiutare”.
Feci un respiro profondo. “Vuoi davvero aiutarmi, Noel?”- dissi.
“Certo, tesoro”- rispose, immancabilmente troppo comprensivo.
“Fai semplicemente finta che non sia successo niente”-dissi, alzandomi ed uscendo dalla vasca.
“C-cosa? E’ assurdo tutto questo. Cosa dovrebbe significare quello che hai appena detto?”-rispose, con gli occhi quasi completamente fuori dalle orbite.
“Noel, credo tu sia stato dotato di capacità d’intendimento come me e come tutti gli altri esseri umani di questo pianeta. Cosa potrebbe voler significare “fai finta che non sia successo niente”? Non c’è nessun messaggio subliminale, fidati, e non credo ci sia bisogno di una nota esplicativa o dei sottotitoli per capire. Me ne torno a casa, fine. Scusami per il disturbo arrecatoti e per la preoccupazione che ho suscitato in te. Fine”-dissi, sentenziosa. Nel frattempo, presi un asciugamano e tentai di salvarmi da una polmonite.
“Jules, ti rendi conto di quello che hai appena detto? Dovrei fare come se non m’importasse niente di te”. Si preparava a lanciare la bomba. Si leggeva così chiaramente nei suoi occhi. “Dovrei comportarmi come tu stai facendo con me”.
Non sarebbe dovuto succedere, eppure sentii una lama trafiggermi, proprio al centro dello stomaco, aprendo un varco, per il gelo di quell’espressione. Non sarebbe dovuto succedermi, perché non era altro che la verità. E la verità ti gela, a volte.
“Esatto”. Fu l’unica cosa che riuscii a dire, poi mi voltai, mi diressi verso l’appendiabiti, presi il mio cappotto e me ne andai.
Non me ne importava niente, giusto? Noel mi era indifferente, anzi, per di più ero arrabbiata con lui, per la storia dello spettacolo. E allora perché continuavano a frullarmi per la testa le sue parole, o peggio, la verità su di me? Era tutto così assurdo. Sicuramente si era fatto prendere un po’ dalla rabbia, per quell’incidente. Sicuro. Noel non si comporta mai così.
Diamine, cosa m’importava di Noel?
Eppure, in cuor mio, sapevo che inconsciamente m’importava di lui.
“La seconda vittima in due giorni. Questa volta si tratta di un omicidio senza precedenti, ben diverso da quello della scorsa notte. Un lupo, si suppone, sembra aver strappato via a morsi la carne dal petto di una giovane ragazza, coetanea di Krystal Mc Kenzie. Si tratta di Dawn Foster, attrice di fama locale che proprio in questi giorni stava preparando uno spettacolo con la sua compagnia. E’ stata uccisa, ironia della sorte, alle prime luci dell’alba. Un lupo mattiniero, insomma…”.
Chiara Virzi