“Non ti sembra che questa schiera di miei amanti abbiano le fattezze della perfezione? Dimmi, Noel, non ti sembra?” – dissi, con le lacrime agli occhi, per quella mia macabra felicità.
“Sì, Jules, lo è. E credimi sono orgoglioso anch’io di come lo spettacolo sia riuscito. Però adesso fammi il piacere di scendere da qui, è pericoloso. Non senti come traballano queste assi sotto ai nostri piedi? Sono vecchie tanto quanto il primo spettacolo messo in scena su questo palco. Dai, andiamo. Prenditi questi applausi ed allontaniamoci da qui, per favore”-rispose Noel, con voce ansimante.
“Noel, tu non puoi capire. E’ tutto così sublime …” – e nel pronunciare quella parola che pendeva dalle mie labbra con tutta la sua essenza, il teatro che ci abbracciava iniziò il suo declino fisico. Tutti gli spettatori si fecero sempre più prontamente evanescenti, come fantasmi negli incubi dei bambini. Mi voltai, in preda all’ansia e allo sconcerto, verso Noel, ma non era più al mio fianco. Seguiva la schiera di quei fantasmi, lasciandomi in preda alla più totale ignoranza per quello che mi sarebbe potuto accadere.
Lottavo con l’ossigeno per impedirgli di farsi più rarefatto di quanto già non fosse, ma la battaglia ormai era già marchiata a fuoco nell’aria…
Mi dimenai con tutta la forza che avevo nelle gambe e nelle braccia, per risalire in superficie. Sentivo che da un momento all’altro sarei potuta esplodere, per la mancanza di ossigeno. Eppure non smettevo di nuotare e l’acqua intorno a me si faceva sempre più chiara. Quasi riuscivo a sentire il calore dei raggi del sole sulla mia pelle. Finalmente riuscì a toccare la superficie: l’ultimo strato di morte prima della vita.
Poi, il mondo.
“A dream within a dream”, come citava l’insegna del teatro appena crollato, con quelle luci ormai ridotte a pezzi di vetro e fili colorati fluttuanti nell’aria.
Era stato un sogno, dentro un altro sogno.
Provai la stessa identica sensazione di chi si sveglia da un incubo: affanno, paura, ansia, timore. Tutti i sintomi di un bambino il cui primo istinto, al risveglio traumatico, è quello di urlare. Solo dopo quel grido straziante aprii gli occhi e mi resi conto che c’era qualcos’altro per cui urlare.
Non era un letto accogliente, benché palco di un incubo terrificante, il luogo in cui mi ritrovai al mio risveglio. Tutto era buio attorno a me e percepivo una leggera brezza fresca che spingeva il sudore giù lungo la schiena.
Rabbrividii.
Il letto sotto di me non era di certo dei più soffici. Aveva una consistenza solida. Cemento.
Rabbrividì ancora.
Cercai di mettere a fuoco l’ambiente che mi circondava, ma non potei credere a quello scenario che mi si prospettava dinanzi agli occhi.
Lapidi e cipressi riempivano lo scenario alle mie spalle. L’unico luogo che mi veniva in mente che avesse quelle fattezze, era la casa di risposo post mortem degli atomi: il cimitero.
L’unica sensazione che riuscivo a percepire era quel senso di perdita e solitudine. Noel aveva preferito unirsi a quella schiera di fantasmi, piuttosto che salvare me, la sua metà. Ero poi così importante per lui, come lui lo era per me? E’ così che la fiducia ripaga la vita? Una forte alienazione mi pervase il corpo, partendo dallo stomaco, fin dentro quei fragili polmoni. Provai a cercare conforto in qualche punto dello spazio che mi circondava, ma niente. Solo quei cipressi che, al solo sguardo, innescavano un istinto tanto primitivo quanto animalesco in me, tale da farmi cercare conforto in qualche altro corpo. Sfortunatamente, ero sola.
Nel tentativo di fermare le lacrime, strinsi gli occhi più forte che potei e quando li riaprì, un’ombra nera come la pece si manifestò dinnanzi ai miei occhi.
Un corvo appollaiato su un busto di Pallade, situato tra due lapidi. Benché i corvi non rientrassero nell’elenco delle mie frequentazioni, sola com’ero, quella forma di vita animale sembrava infondermi un certo senso di tranquillità, di quiete dopo la tempesta. Rimasi a fissare il corvo per un istante che sembrò durare un’eternità. Poi, qualcosa di strano accadde.
“Sei a casa,finalmente” – disse una voce gracchiante, asessuata. Mi voltai alla ricerca di una qualche ombra alle mie spalle, alla mia destra o alla mia sinistra che potesse quantomeno accertare che non fossi pazza. Ma niente.
“Cosa c’è, adesso non mi riconosci?” – disse di nuovo quella voce. Mi voltai a guardare ancora quel corvo, quasi come se il mio istinto mi dicesse che era stato proprio lui la caverna, per l’eco di quella voce.
“Bene. Sei tornata in te,vedo” – il corvo mosse il becco. Avevo trovato il mio interlocutore. “Come hai solo potuto pensare che non fossi io a parlarti? Tutto questo tempo che abbiamo passato insieme e tu non hai ancora memorizzato il suono della mia voce?” – sembrava assurdo, eppure mi convinsi che era proprio quel corvo a parlarmi.
“Dove sono? Cos’è successo? Noel dov’è?” – dissi, aggrappandomi a quella che così follemente sembrava essere la mia unica ed ultima scialuppa di risposte.
“Guarda le tue mani. Sono certo che vi troverai tutte le risposte che cerchi”. Feci come quel corvo mi disse di fare, non curante dell’assurdità di quella situazione, cosa che oramai avevo appurato sin dal mio risveglio.
E quello che seguì fu lo stesso effetto della petite Madelaine di Proust, solo che qui l’epifania del ricordo era tutt’altro che dolce…
Tutto era cominciato alle prove generali, per lo spettacolo della nostra compagnia. Quella sera, la tensione si percepiva nell’aria e tutti, compresi me e Noel, il mio futuro marito, non saremmo mai riusciti a tenere a freno i nostri nervi. La situazione si complicò ulteriormente quando Miriam, la regista dello spettacolo, venne a comunicarci l’imminente malattia della protagonista, motivo che l’aveva tenuta lontana dalle prove di quel giorno.
“Tutti voi conoscete la parte del protagonista. Sembrava fossimo pronti a questo. Fortunatamente, il protagonista non è un personaggio prettamente femminile, il che mi ha oltremodo facilitato la scelta del sostituto. Sarai tu, Noel”.
Non ci potevo credere. Non riuscivo in alcun modo ad essere contenta per Noel. Quella parte, quella del protagonista, doveva essere mia, non di Noel. Provavo una rabbia incommensurabile, non ero in grado di guardarlo negli occhi. Tutta la compagnia si complimentò con lui, meno che io. Se ne accorse.
“Tesoro, non è una notizia splendida?”.
Lo accecai con tutta la rabbia che potessero emanare i miei occhi e lasciai il palco.
Corsi nel mio camerino: potevo sentire la rabbia inondarmi le vene, lo stomaco, i polmoni. Tutto quello che volevo e che m’imponevo di dover fare era fuggire da quel posto, prima di commettere qualche stupidaggine, benché pienamente giustificata. Mi chiusi violentemente la porta alle spalle, ignorando, per quanto potessi, i passi e la voce di Noel che sentivo dirigersi verso il camerino.
“Hey, piccola. Che ti prende? Dai, apri questa porta. Dovresti essere felice per me. Perché mai dovresti fuggire?”. Trattenni il fiato più che potei: fu difficile non rispondergli. Presi tutte le mie cose, poi feci un respiro lungo e profondo e mi voltai verso la porta, stringendo la maniglia nella mia mano destra.
“Jules, ti prego, non fare la stupida esagerata come al tuo solito. Apri questa porta”. Non potevo sostenere quel suo improvviso tono irritato. Ora la nuova star, nonché mio fidanzato, si prendeva anche il lusso di trattarmi come sporcizia su di un vecchio pavimento rovinato dagli anni. Assurdo, non potevo contenere tutta quella rabbia e quel disprezzo. La mia mano destra prese a tremare, facendo dondolare anche la maniglia.
“Lo so che sei qui dietro, vedo la maniglia muoversi. Piantala ed esci fuori di lì”. Un altro respiro profondo non aiutò la mia mano che continuò a tremare imperterrita. Dovevo uscire da lì prima o poi. Così presi coraggio, abbassai la maniglia e spalancai la porta ad uno scenario sconcertante.
Noel mi fissava con i suoi occhi color ghiaccio. Il suo sguardo altezzoso e presuntuoso da star ora era inevitabilmente palese. Il mio sguardo non saprei decifrarlo, credo che neanche lui ne fosse in grado, in quell’istante. Lo urtai, nel tentativo di superarlo ed andarmene, ma mi bloccò il braccio sinistro che prese a tremare senza che neanche me ne accorgessi.
“Calmati Jules, per favore. Cos’è che ti sta facendo arrabbiare così tanto?”.
“Non sono arrabbiata. Non c’è niente che mi faccia arrabbiare”.
“Sì,certo”. Conoscevo quella sua affermazione. Voleva dire io conosco ogni fibra del tuo corpo ed ogni tua reazione è sotto il mio controllo. Posso sapere qualsiasi cosa ti passa per la mente. Non puoi sfuggirmi, ne mentirmi . Era così evidente, poi.
“Credi che non senta come trema la tua mano? Riesco a percepire le vibrazioni del tuo braccio sulla mia mano. Credi che io sia diventato tutt’ad un tratto stupido o, peggio ancora, che non ti conosca?”. No, infatti. Mi conosceva meglio di quanto io conoscevo me stessa.
“Noel, lasciami stare. Voglio andarmene a casa. Non sto bene”.
“E’ per la storia del ruolo da protagonista? Non prendertela con me, tesoro. Non è colpa mia. Se vuoi, posso parlarne con Miriam, semmai ci fosse la possibilità che …”.
“Ma non farmi ridere, Noel. Cederesti a me il ruolo che stai sognando dall’inizio della stagione? Non prendermi in giro. Sei più avido di me per queste cose. Non vedi mai l’ora di avere gli occhi di tutto il pubblico, della gente in strada, delle persone che incontri a lavoro, tutti puntati su di te. Lasciami passare adesso, signora Star”. Mi liberai con violenza dalla morsa della sua mano sul mio braccio e me ne andai, senza guardarmi indietro.
Le mie mani non la smettevano di tremare, sulla strada di casa. Il dottore diceva che era colpa dello stress, di tutti gli impegni che mi prendevo, se ora ero vittima di quel tremolio costante che, se tutto andava bene, mi paralizzava semplicemente le mani. Tutti quegli impegni erano una scusa, in realtà. Una scusa, un alibi per la mia testa, per non pensare. Non pensare a cosa? Il problema più grave era il fatto che neanche io sapevo a cosa pensavo, in realtà. Erano immagini distorte, macchie di colore opache che poi si facevano oscure, inquietanti. Tutto era privo di senso logico. Io stessa ero priva di senso logico.
Una lama.
Sul pavimento, un cristallo con la punta insanguinata.
Una finestra aperta sul soffitto.
Il cielo stellato.
Poi, la pioggia.
Forse catarsi.
Chiara Virzi