L’Enigma – Atto terzo – 3/3

Intanto l’atmosfera si fa meno tesa, il violino è solo un languido sottofondo e la luce ha perso un po’ d’intensità, anche i grigi hanno ricominciato la loro solita movimentazione e Begun, anche se non molto convinto, è ritornato dietro al bancone del bar; la cameriera radicchiosa porta una caraffa d’acqua con due bicchieri, sparecchia il tavolino dalle carte e dal bicchierone con ancora del liquido bianco e se ne va.

Fotografo: (versando acqua nei due bicchieri e parlando piano) “Come facciamo a fuggire?”
Anna: “Ti spiego come dovrai fare, ascolta…”
Fotografo: “Come faremo. Perché ce ne andremo tutti e due”
Anna: “Pensi davvero che se avessi voluto fuggire non l’avrei già fatto? No, tu sei il solo che deve andarsene, io rimango qui, ormai là fuori non saprei neppure dove andare”
Fotografo: “Ma perché? Cosa ci trovi di tanto bello a stare rinchiusa in questa prigione? La tua è una pazzia. Non ti capisco, conosci la via di fuga e invece di fuggire vuoi che sia io a farlo, perché? Spiegamelo e se mi convincerai…”
Anna: “Se aspetti di esserne convinto ti ritroverai a incoraggiare qualcun altro a farlo, proprio come sto facendo io con te. Il potere della Piazza su di te non è ancora completo e hai la possibilità, anche se ti rimane pochissimo tempo e stenti già a fartene una ragione, di uscire di qui. Mi devi solo ascoltare”
Fotografo: “Mi parli di potere come se fossi tenuto qui da una forza misteriosa, invece…”
Anna: (con fare imperioso) “Ascoltami! Pensa solo a quello che ti dirò adesso e basta, concentrati sulle mie parole”
Fotografo: “Devo andare in bagno e poi…”
Anna: “No! Non ti alzare, ascoltami te ne scongiuro, ascoltami attentamente”
Fotografo: “Begun… Be…”
Anna: (gli si getta addosso tappandogli la bocca con le mani) “Zitto! Altrimenti sei perduto, non chiamarlo, ti prego non chiamarlo”

La stanza ha ripreso la colorazione rossa accesa e le pareti incominciano a vibrare, dai vetri del finestrone si vede la sagoma del barista ferma, scura e minacciosa; il violino ha ripreso a sottolineare la tensione del momento

Fotografo: “Facciamo all’amore! Se lo facciamo subito sono salvo”
Anna: “Qui?”
Fotografo: “Qui, subito, ti prego se ci tieni a salvarmi facciamolo subito”

Mentre Anna si toglie cappello e veletta tre dei grigi ballando portano un grande velo rosa con fiori e lo alzano a mo’ di sipario tra la coppia e il retro formando una specie di alcova composta dalle tre poltrone e dal tavolino da fumo, il violino ha scelto una canzone d’amore e lo stanzone si rilassa nel pulsare e nel colore; Anna posa tutto sul tavolinetto, si toglie il sopra del vestito e rimane con il solo reggiseno nero (oltre alla gonna che non si toglie), poi si scompiglia i capelli e si adagia di lato sul fotografo che l’abbraccia stretto e comincia a mimare dei movimenti dolci che simboleggiano l’atto dell’amore; ondeggiano e si strusciano per tre-quattro minuti ma molto dolcemente e senza volgarità, poi si trattengono l’una nelle braccia dell’altro per pochi secondi e lei gli sussurra nell’orecchio.

Anna: “Entra nel cinema, vai nella saletta della proiezione senza farti vedere da nessuno e cerca il ripostiglio delle scope, l’armadio a muro con i detersivi si apre come una porta spingendolo da destra a sinistra; appena si è aperto scivola subito dentro perché si richiude molto velocemente, attento ci sono alcuni scalini che salgono e lì è molto buio, tieni pronto l’accendino, poi c’è un lungo corridoio e una porta di legno molto robusta, aprila con questa” (dalla gonna si sfila una chiave e gliela mette nella mano) “Adesso fuori o Begun si insospettirà”
Fotografo: “Aspetta devo dirti…”
Anna: “Shhh, non devi dirmi niente. Vai e fuggi, aspetta che vada al bar e fuggi”
Fotografo: “Vieni con me”
Anna: “Vai! Per Dio, vattene di qui, torna alla vita”

I grigi tolgono il sipario volante e tutto riprende il suo tran tran; Anna si riveste e si rimette cappello e veletta, si alza lo bacia sulla guancia poi prima di andarsene si asciuga una furtiva lacrima, dopo con voce forte.

Anna: “Vado a prendere un buon caffè, ci vediamo più tardi?”
Fotografo: (piuttosto titubante ed incerto) “Sì… Sì… Ci vediamo più tardi… Certo che ci vediamo più tardi… A dopo… A dopo…”

Si alza dalla poltrona, gira intorno alla stanza, tocca le pareti con le mani, le annusa, poi mette la testa dentro all’ingresso del cinema ma è costretto a ritirarla perché un gruppo di grigi ne esce ridendo; lui li guarda curioso e per un po’ li segue ma ritorna ancora verso le poltrone, raccoglie la sua sacca da terra e ne controlla il contenuto, si mette l’accendino in tasca dopo averlo provato e poi poggiandosi con i gomiti sugli schienali di due poltrone guarda il pubblico.

Fotografo: “A volte fare all’amore, oltre che a cementare un’unione, serve solo per scaricare le tensioni nervose che si accumulano come i cirri scuri prima che divengano una tempesta furiosa; oppure, come in questo caso, è servito per schiarirmi le idee liberandomi la testa dal peso di quest’influenza possessiva che la Piazza, Piazza Beccaria, esercita per chissà quale sortilegio sulle persone che, per un motivo o per un altro, vi si sono soffermate abbastanza a lungo da solleticarne la bramosia del possesso. Anche se è assurdo che una piazza, una cosa inanimata…”

In quel momento la stanza ridiventa rosso fuoco e le pareti si agitano come prese dallo spasimo, i grigi si fermano e il violino inizia una specie di marcia funebre; il fotografo si guarda intorno impaurito poi…”

“Visto? Non è per niente assurdo, e poi l’assurdità come la normalità sono solo convenzioni che l’uomo si è dato per poter vivere in una società, se poi a tutto questo si aggiunge che ognuno di noi vede e sente le cose che compongono il mondo con i propri suoi cinque sensi, che fanno capo a un cervello che è unico per ogni uomo… Beh, diventa quasi impossibile che la realtà sia la stessa per tutti noi. Anzi direi proprio che ognuno di noi vede lo stesso oggetto, anche il più semplice degli oggetti, filtrato da una percezione unica e inimitabile che ne fa un pezzo… Come questa piazza. Potrebbe essere solo il mio cervello che la vede esattamente come è, cioè un budello senza uscita che prima ingoia poi digerisce gli individui che si trovano a…”

La piazza comincia a impazzire, tutto si muove e la musica diventa stridula, le tende della porta del cinema si spostano come mosse da un gran vento, Begun appare dal bar con gli occhi iniettati di sangue, i grigi si spostano come dannati in una bolgia infernale e mugolano come bestie impaurite, il fotografo prende al volo la sua sacca e prima di sparire dentro alla sala del cinema si rivolge al pubblico.

Fotografo: “Adesso credo sia giunta l’ora di svignarsela. Ho proprio voglia di vedermi un buon film!”

SIPARIO

 

 

L’Enigma – Atto terzo – 3/3 ultima modifica: 2012-03-09T09:19:57+01:00 da Fiorenzo Corsali

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