Il fotografo fa la faccia sbigottita quando sente la donna raccontare una storia simile alla sua, ma poi si sente preso in giro e si trasforma in un uomo dall’aria cinica.
Fotografo: “Anche lei! Ovviamente come tutti…” (guarda il pubblico scuotendo la testa come se fosse rassegnato) “Cambiano i personaggi ma la storia è sempre la stessa, la stessa identica ossessione che rimbalza tra questi muri come un’eco senza fine” (poi guardando in faccia la donna con aria quasi di scherno) “Lei allora vorrebbe una foto per? Mi dica. A cosa le servirebbe questa foto? Dica, dica pure”
Donna: “Io ho capito subito che lei è diverso da tutti noi, almeno per ora, e che lei se vuole può fuggire da qui dentro. Quindi se lei mi farà una foto io le darei l’indirizzo di Napoli della mia, e sua” (indicando il piccolo nascosto dietro alla sua figura) “famiglia e così loro vedranno che noi, insomma che siamo ancora vivi e che…”
In quel preciso momento la figura di Begun si staglia sulla porta, scende i gradini e si dirige a grandi passi verso la donna mentre il fotografo lo guarda avvicinarsi impaurito, questo la prende per un braccio e la trascina dentro al cinema con il bambino che li segue frignando e tenendosi le mani sugli occhi; i grigi si sono tutti fermati e guardano verso il cinema commiserando a gesti o con gli sguardi la donna che aveva osato. Il fotografo, ritrovato lo spirito, si alza in piedi e dopo aver fatto alcuni passi apostrofa l’oste che ormai è già quasi dentro al cinema.
Fotografo: “Ma lei cosa fa? “Lei non può trattare così una povera donna che…”
Begun si gira e lo guarda con un’aria così terribile che il fotografo si ammutolisce, poi sparisce tra i tendaggi e i grigi riprendono il loro incessante muoversi da un divano al bar, dal bar ai gabinetti e da questi ai piani superiori o dentro al cinema; il violino comincia a suonare una melodia dolce che in pochi attimi precipita in un suono acuto e stridulo riempiendo l’aria di fredde note, anche la luce del locale assume tonalità fredde. Il fotografo torna a sedersi, rimane alcuni secondi poi va al bar, scomparendo dalla porta in fondo. Entra di nuovo Anna, vestita di nero e con un cappello con veletta neri sugli occhi (un completo da lutto stretto), si siede sul divano in fondo e rimane lì con le gambe accavallate. Poi si mette a conversare con una coppia di grigi appena uscita dal cinema. Il fotografo ritorna quasi di corsa con le mani piene di cartocci e di un grande bicchiere che contiene un liquido bianco come il latte, scende gli scalini quasi incespicando e poi si siede di nuovo su una poltrona.
Fotografo: (posa i cartocci sul tavolino da fumo ed il bicchiere, scarta un panino molto grosso e prima di addentarlo borbotta) “Mah! Mai assaggiato un panino con dentro una cotoletta di muflone corso, impanata e fritta ovviamente, con salsa messicana piccantissima. Speriamo che non mi faccia male. Comunque se tutto questo è un sogno non corro pericoli, prima o poi mi sveglierò e allora un bel panino con mortadella e Nutella non me lo leverà nessuno! (e addenta con foga il panino, mastica dapprima con aria soddisfatta poi pian piano comincia a fare smorfie, in breve sputa tutto sulla carta dell’involucro) “Ma che razza di schifo è questa roba?”
Mentre si pulisce la bocca con un tovagliolino di carta Anna si alza dal divano in fondo e gli si avvicina da dietro con passo ondeggiante e sinuoso, intanto il violino ha iniziato una musica intrigante e i grigi si sono tutti fermati, o seduti sui gradini o seduti sul divano o in piedi appoggiati al muro: guardano tutti il fotografo che sta bevendo il liquido bianco, anche Begun è comparso nel vano della porta, la sagoma di una cameriera è ferma dietro ai vetri del finestrone e l’altra, la radicchiosa, sporge la testa dalla finestrina della cucinetta.
Fotografo: “Anche questa cosa chissà da dove l’avranno presa? Non è cattiva ma allappa la bocca, è pastosa e non disseta, magari se avevo preso una bella birra…” (al tocco delle mani di Anna fa un sobbalzo e si gira irritato) “Ma cosa? Avete l’abitudine di aggredire le persone alle spalle, voi che abitate qua dentro? Ma cosa siete diventati, animali predatori?” (quando poi la riconosce si addolcisce un pochino) “Anna! Sei tu che…” Scusami ma sono un tipo che sobbalza spesso io, scusami ancora. Siediti”
Anna: “Stai diventando sempre più irritabile, è la Piazza che ti sta trasformando. Tra pochi giorni sarai come noi, un ectoplasma che vive tra questi muri senza più vedere la luce del sole” (gli dice lei sedendosi con aria rassegnata, poi scuote la testa varie volte, con gli occhi rivolti verso terra) “Eppure credevo che tu… Eri diverso da noi, tu avresti potuto farcela, forse puoi ancora se vuoi”
Fotografo: (sorseggiando ancora la sua bianca bibita, ma con aria distratta) “Fare cosa io dovrei? Eh? Fare cosa? Parla chiaro che non ti capisco”
Anna: (con fare circospetto ed avvicinandosi a lui come per non farsi sentire da altri; ma gli altri si sono tutti protesi verso di loro tendendo le orecchie, anche Begun si è fatto più avanti scendendo uno degli scalini; intanto tutto il brusio si stempera e il solito violino attacca una musica che sottintende, come nei film d’avventura, il drammatico precipitare degli eventi; anche la luce diventa più rossa e le pareti sembrano pulsare come quelle di un cuore tachicardico…) “Fuggire, puoi fuggire da qui se vuoi. Conosco la strada”
(gli dice quasi sibilando, mentre i grigi emettono un “Ohhh” soffuso portandosi le mani al viso in segno di spavento)
Fotografo: “Fuggire? Da cosa dovrei fuggire? Si sta bene qui. E poi sono il fotografo e…” (sembra inebetito, si guarda intorno e vede i grigi spaventati che li osservano, Anna che sta guardando Begun con aria di sfida e questo che ha la faccia incazzatissima di uno che sta per esplodere) “Ma io non ci penso neppure. Spiegami perché io, proprio sul più bello dovrei fuggire? E per andare dove? Ma… Ma…” (si prende la testa tra le mani e guarda il pubblico, dopo pochi secondi comincia piano ad annuire. Sta capendo e con gli occhi cerca di far capire al pubblico che ha capito ma che sta fingendo) “Anna, per favore, prendimi un’aspirina nella mia sacca. Ho un mal di testa che…”
Anna: (mentre si china a cercare tra le cose della sacca) “Ma cosa stai facendo? Sei impazzito anche tu?”
Fotografo: “Shhh… Zitta… Prendi l’aspirina e zitta. Ho capito benissimo” (sottovoce)
Anna: “Eccola, ti ci vuole dell’acqua. Cameriera! Acqua per favore!” (grida verso il bar)