L’Enigma – Atto secondo – 2/3

Begun ritorna verso il bar mentre il fotografo si prende la testa tra le mani; gli avventori lo guardano con le facce tristi, come comprensivi, come partecipi del suo smarrimento.

Fotografo: “Roba da pazzi… Dovrei essere dentro al cuore della piazza, allora. Ma non ho mai sentito dire a nessuno simili scempiaggini… O hanno visto la mia faccia, ma che ho la faccia da scemo io?”

Dal tavolo accanto al suo un ometto calvo con dei grandi baffi a manubrio e un grembiule arrotolato alla vita, come un macellaio, si gira verso di lui: ha le gote rubizze e sembra una brava persona.

Ometto: “Non la stiamo prendendo in giro, ha ragione il nostro Begun. Certo, lei è arrivato adesso e non può comprendere, subito così tutto insieme questa realtà, ma vedrà che lei troverà quello che cerca; ho sentito, qui si sente tutto di tutti, ho sentito che stava cercando un’agenzia vero? AFA? Bene, se nella piazza doveva esserci vedrà che qui la troverà sicuramente… Tutto quello che avrebbe dovuto essere in piazza Beccaria è qui! Tutto raccolto qui dentro, non è straordinario?”
Fotografo: (guardandolo come si può guardare un pazzo furioso) “Ma anche lei viene a raccontarmi le stesse idiozie? Ma poi a lei io non ho chiesto niente, cosa vuole da me? Credete sia arrivato l’imbecille di turno? Non ho nessuna intenzione di star qui a farmi prendere per i fondelli da voi”
Ometto: “Non si deve arrabbiare, capirà… Anche troppo presto capirà”

L’ometto dice l’ultime parole come se celasse un tristissimo segreto da svelare; gli avventori, che erano stati tutti ad ascoltare le loro parole, fanno il commento corale.

Avventori: “Capirai… Capirai… Anche troppo presto capirai…”

Il fotografo ascolta le loro parole come se fossero proiettili indirizzati verso di lui, tira dentro la testa sul collo e sembra aspettarsi qualcosa cadergli addosso, poi guarda smarrito tutto d’intorno, gli avventori hanno ripreso le loro occupazioni come se niente fosse e una giovane cameriera carina e prosperosa porta sul suo tavolo un vassoio carico di vasetti e di piatti, con un gran bicchierone che contiene un liquido rosso scuro.

Cameriera: “Ecco signore, questa è la specialità della casa”
Fotografo: (con lo sguardo basito) “Ma cosa è questa roba? A me bastava anche…”
Cameriera: (guardandolo con fare suadente e provocante, quasi sventolandogli le grosse tette lucide sotto al naso): “Questa è una specie di piadina, pane sardo al nero di seppia con prosciutto del Campidano; nel bicchiere c’è il succo di pomodorini dolci addizionato al succo di aranci sanguinelli, si sposa benissimo con il pane sardo; poi in queste ciotoline che vede qui… Sembrano cinesi ma contengono marmellata di fichi d’india con peperoncino, in quest’altra c’è una salsina fatta con avannotti di sarda macerati nel mosto d’uva e… E in questa c’è, c’è la scatruzzola abruzzese…” (lo dice come se fosse la cosa più ricercata del mondo)
Fotografo: “La cheee? Cos’è che ha detto?”
Cameriera: “E no! Io non la dò a nessuno…” (gli dice ammiccante)
Fotografo: “Eh? Cosa non dà? Ma io non…”
Cameriera: “La ricetta, cosa ha capito?… La ricetta è segreta e io non posso…”
Fotografo: “Ma non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello chiederle…”
Cameriera: (andandosene come offesa) “Non gliela avrei data comunque… Cosa crede lei?”
Fotografo: “Sono tutti pazzi e suscettibili qui dentro, meglio mangiare qualcosa poi me ne andrò via di qui, speriamo che questo cibo sia almeno commestibile”

Dapprima assaggia tutto titubante le varie pietanze, poi comincia a mangiare con più gusto e dalla faccia sembra apprezzare il cibo, solo quando assaggia il beverone rosso fa delle smorfie con la bocca.

Fotografo: “Magari qui avrei preferito un buon vino rosso, fresco di cantina, un vino giovane dell’ultima vendemmia. Questo coso qui ci sta come il cavolo a merenda”

Mentre si sta pulendo la bocca con un grande tovagliolo giallo canarino un omaccione alto e panciuto, anche se giovane, gli si presenta davanti tendendogli la mano per salutarlo: ha i capelli lunghi sulle spalle cadenti e un sorriso cordiale.

Albren: “Non mi riconosce? sono Albren Joshua, il titolare dell’agenzia fotografica AFA”
Fotografo: “Mi sembrava una faccia nota” dice alzandosi dalla sedia e stringendo con enfasi la mano dell’altro “Sono felicissimo, anzi per me la sua presenza è la liberazione da un incubo, finalmente! Si segga per favore, si segga” dice indicando le sedie del tavolo perché questo si segga “Ma come ha fatto a sapere che ero qui? Una coincidenza?”
Albren: “Le voci corrono veloci qui dentro. Ma lei ha portato con sé le foto che le ho commissionato a Roma?”
Fotografo: “Certo, sono venuto sin qui apposta… Vedrà sono bellissime, ne sarà entusiasta”
Albren: “Non ne dubito minimamente, conosco la sua fama altrimenti non mi sarei mai rivolto a lei. Non mi piace gettare il denaro con gli incompetenti” dice sorridendo mentre il fotografo alle sue parole si è gonfiato come un tacchino; tutti gli avventori osservano i due e ascoltano attenti le loro parole; i più lontani s’appressano ai tavoli vicini, tutti in religioso silenzio, con le loro facce grigie.
Fotografo: “Bene, adesso pago il conto e poi andiamo”
Albren: “Non dobbiamo andare in nessun luogo, me le faccia pure vedere qui”
Fotografo: “Come qui? Vuol dire su questo tavolo? Io credo che…”
Albren: “Qui, qui, qui… Me le faccia vedere qui”
Fotografo: (come smarrito e con una vocetta flebile, incredula; intanto rapidamente la cameriera sparecchia e spolvera il tavolo e gli avventori si appressano ancor più) “Ma nel suo ufficio sarebbe di sicuro più normale, e poi con tutta questa gente che abbiamo intorno, che guarda, che s’incuriosisce”
Albren: “Lei dunque non ha ancora capito, vero? Me lo dovevo aspettare, è troppo presto ed è ancora sbalestrato. Sembra anche un tipetto cocciuto, vero?” dice sarcastico guardandosi attorno con aria d’intesa
Avventori: (si guardano in faccia l’uno con l’altro e fanno cenni di assenso con la testa, come a rispondere alle ultime parole di Albren) “Poverino, è un tipetto cocciuto, è davvero un tipetto cocciuto…”
Fotografo: “Ma anche lei con questa storia? Ma cos’è, un gioco di società? Ah, ma allora ho capito! Ad ogni nuovo venuto, tutti insieme (perché siete tutti d’accordo, non è vero?) voi propinate la stessa storia. Questo non capisce e s’incavola di brutto, si sente preso in giro e voi ne ridete, vero? E’ così che funziona vero?
Albren: (con la faccia serissima, tutti hanno la faccia serissima: intanto si è avvicinato anche Begun e l’ometto calvo con i baffi a manubrio si è girato di nuovo verso di loro) “Questo non è affatto un gioco! Magari lo fosse…”
Fotografo: “Volete farmi credere che questa è una cosa seria? Forza, ditemelo! Se questa è una cosa davvero seria allora voi, scusate se ve lo dico, allora voi siete un branco di idioti… Che cosa vi tratterrebbe qui dentro? Avete delle catene ai piedi? No! Ci sono delle guardie armate? No! Molossi che v’inseguirebbero in caso di fuga? No! Ci sono cancelli o recinzioni? No! Allora…”
Begun: “Non sia così sicuro di ciò che afferma: vede una via d’uscita lei? No!”
Fotografo: “Ma c’è la porta da cui sono entrato” dice girandosi verso il pubblico sicuro di vederla ma poi si scurisce in volto, evidentemente non la riconosce “Eppure io sono entrato da lì… C’era di sicuro una porta se io…”
Ometto: “E’ un pescatore lei? Conosce le nasse?”
Fotografo: “Ma cosa c’entrano adesso le nasse? Ma mi faccia il piacere per Dio…”
Ometto: “Nelle nasse il pesce entra ma poi non ritrova più l’uscita… E rimane prigioniero. Questa piazza è come un’enorme nassa”
Fotografo: “Ma che nassa e nassa… Via non scherziamo.”
Begun: “Lei crede ancora che la stiamo prendendo in giro vero?”
Albren: “Ascolti la mia storia, Capirà”
Ometto: “Anch’io le devo dire come sono venuto qui”
Begun: “Ci sono centinaia di storie che deve sentire”
Avventori: “Quante storie da sapere… Quante storie da sentire… Quanto tempo da passare…”
Fotografo:  (alzandosi di scatto dalla sedia e facendo ammutolire tutti) “Basta così! Non voglio sentire niente di niente, io non voglio farmi prendere in giro da voi. Se siete intenzionati a farmi impazzire vi sbagliate di grosso! Signor Albren, vogliamo concludere il nostro affare? Bene, concludiamolo qui, io non ho problemi. Sediamoci e…”
Albren: “Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, caro mio. Comunque attenda qui che vado a prenderle il denaro. Anche se qui dentro non so cosa ne possa fare… Attenda pure”
Se ne va scuotendo la testa come si fa con i bambini che si ostinano a chiedere cose impossibili, anche gli altri scuotono la testa
Fotografo: “Ho bisogno del bagno, ci sono dei bagni qui?” (chiede a Begun con tono imperioso)
Begun: (indicando verso il retro del bancone bar) “Vada laggiù… Vada pure, vada vada…”
Ometto: “Entri nell’ingresso del cinema, poi scenda le scale a destra e in fondo…”

 

 

L’Enigma – Atto secondo – 2/3 ultima modifica: 2012-02-10T09:00:37+01:00 da Fiorenzo Corsali

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