Personaggi
Piazza Beccaria – entità psico-fisica coercitrice
Il fotografo – protagonista della vicenda
Begun – il barista
L’ometto calvo con i baffi a manubrio e il grembiule da macellaio
La prima giovane cameriera
Albren – il titolare dell’agenzia fotografica AFA
Anna – la vipera malinconica
La cameriera radicchiosa
La donna in nero col bimbo
I grigi – avventori del locale (abiti e facce rigorosamente grigi)
ATTO PRIMO
La scenografia deve rendere l’esatto ed angosciante senso di inquietudine che uno di noi può provare davanti ad uno dei quadri di Giorgio De Chirico. E segnatamente mi riferisco alle sue celebri piazze: con le statue bianche, le prospettive di archi, la torre in fondo con le bandierine sventolanti, la ciminiera di un opificio ed una locomotiva sbuffante sull’ultimo orizzonte. E tutto ciò in una luce crepuscolare, con ombre lunghe e nere che accentuano il disagio; e il silenzio tangibile, pericoloso, delle arcate buie come orbite vuote.
Sulla sinistra del palcoscenico una prospettiva di archi che sembra quasi perdersi all’orizzonte, l’aria è crepuscolare e le masse hanno lunghe ombre scure. A destra troneggia una grande statua bianca in marsina: un uomo austero con i baffi e l’aria accigliata fissa il protagonista e con un braccio teso indica il mare, che s’intuisce essere oltre al muretto di fondo. Sarebbe bello che la statua fosse impersonata da un attore dipinto di bianco, come quei mimi che si trovano agli angoli delle vie e delle piazze in certi periodi dell’anno, che segue accigliato il monologo del primo attore e continua a fissarlo negli occhi indicandogli sempre la stessa direzione; altrimenti può andar bene anche una di cartapesta. Accanto alla statua una panchina di ferro verde, girata verso il pubblico. Verso lo sfondo una torre rossa con due finestrelle in alto e una larga e stretta in basso, sopra ci sono alcune bandierine colorate, tipo orifiamma, sempre e comunque sventolanti. Ancora più sull’orizzonte un muretto di mattoni che taglia la scena in senso orizzontale. Il protagonista, il fotografo, entra da sinistra da una specie di vicoletto buio: è un uomo vestito con jeans e scarpe da tennis, o altro abbigliamento sportivo, ha un giacchetto liso ma decoroso (diciamo alla moda), potrebbe essere di jeans pure questo, aperto su una maglietta chiara, sulla spalla porta una sacca da marinaio mezza piena.
All’apertura del sipario appare la piazza nella sua fissità angosciosa, silenzio completo per due-tre minuti, poi da sinistra si sente un’auto fermarsi, uno sportello sbattere e un ripartire del mezzo con gran stridio di gomme.
Si sente un grido:
– “Hey! Ma cosa cavolo fa questo? Ma sei impazzito? Mi lasci qui… Così? Almeno dimmi dove è questa piazza… E il denaro! Non vuoi nemmeno il denaro? Cose da pazzi… Cose da pazzi…”
Silenzio, poi si sentono alcuni passi rimbombanti provenire da sinistra e una voce borbottare parole indistinte. Una lunga ombra dal vicoletto precede il fotografo, poi appare la sua testa e infine fa il suo ingresso nella piazza; dopo pochi passi titubanti si ferma e inizia a guardarsi intorno con un’aria sempre più meravigliata.
A questo punto sarebbe opportuna una musica adeguata, una melodia triste (meglio se di un unico violino).
“Ma che posto è questo? Che città è… Sono sceso alla stazione saranno sì e no quaranta minuti fa, ho preso il taxi e adesso son qui… Da solo. Eppure c’era un sacco di gente! E’ una città di mare e tra qualche settimana finiscono le scuole, i turisti sono già in movimento. Con gli zaini o con la valigia semovente… Il trolley, ho visto di già un gran viavai. Sono arrivato alle diciassette in punto, con solo trenta minuti di ritardo, poi tra una cosa e un’altra… Ho preso un caffè-son andato in bagno-una sigaretta, sono salito sul primo taxi libero e gli ho detto <<Piazza Beccaria, per favore>> e l’autista mi ha guardato male, molto male, sembrava non amare molto la mia destinazione. Ma è partito lo stesso. Ho pensato che forse era stanco. Poi abbiamo traversato la città e c’era molto traffico, varie volte siamo dovuti star fermi per alcuni minuti, incroci-piccoli ingorghi, mentre il tassista imprecava. Era sempre più agitato. Pian piano il traffico è scemato, la gente si è sempre più diradata e il paesaggio urbano s’è fatto più tetro e spoglio. Lo rivedo adesso, prima non ci avevo fatto quasi caso. Ad un isolato da qui è iniziato il deserto! Il tassista mi ha sceso qua dietro quasi spingendomi a forza fuori, come terrorizzato, e poi è ripartito come un pazzo… Dimenticandosi persino di farmi pagare la corsa e lasciando sull’asfalto chili di gomma. Ed io lì, rimasto da solo come un bischero… Come un cristiano gettato nell’arena incontro alla sua morte: dove sono i leoni che faranno di me un sol boccone? Ma tutt’intorno palazzoni scuri, vuoti, disabitati… Senza luci né voci né colori. Vie chiuse e piene d’ombra, quasi fosse notte fonda, quasi mi trovassi nel bel mezzo di una scenografia per un film, uno di quei filmoni americani senza senso, dove tutto deve crollarti addosso da un momento all’altro… Ma tu, se sei l’eroe (quindi: alto, bello, palestrato e con tutti i denti ben rimessi e smaglianti) se sei l’eroe dovrai salvare il mondo ma se sei uno dei cattivi sei irrimediabilmente fottuto! Là dietro mi son sentito fottuto; ma se è un film, ho subito pensato, è una finzione e quindi non posso aver paura e poi questa scenografia abbandonata che aspetta attori e tecnici per riprendere la sua vita fittizia davanti alle telecamere… E’ solo molto triste, solo una situazione momentaneamente desolante. Mettiamola così! Poi ho visto il vicoletto con in fondo questo grande spazio e… Eccomi qui… Dalla padella nella brace…”