L’aria sapeva di fumo 1/2

Il primo ad arrivare, il sabato sera, è sempre “lo Zitellone”: un tipo sui quarant’anni, con dei tratti talmente grossolani da sembrare una caricatura, che in vita sua non ha mai avuto una donna (a parte, probabilmente, qualche poveretta recuperata sulla tangenziale per poche centinaia di euro) e che si ammazza di lavoro da mattina a sera, sei giorni su sette, nonostante i genitori gli abbiano lasciato in eredità una fortuna di circa 5 milioni di euro fra case, terreni e conto in banca. Lo Zitellone piomba in sala alle 18.45, un quarto d’ora prima dell’orario d’apertura, e si piazza a sedere nell’angolo più remoto, al tavolo 3.

Bianca, la cameriera, lo odia; vorrebbe urlargli in faccia che, vaffanculo!, si attacca alle sette e che, porca puttana!, uno magari dopo aver sistemato tutto vorrebbe anche avere un attimo il tempo di bere un caffè e/o fumare una sigaretta prima di cominciare a girare come una trottola impazzita in mezzo ai tavoli per quattro ore di fila… Ma, naturalmente, non può. Così si limita a sorridergli con freddezza e a portargli il MENU, per poi scivolare graziosamente qui al bar e sbuffare, ma solo dopo aver chiesto un espresso “velocissimo, Osvaldo, ché non posso stare!”. Butta giù il caffè in un nanosecondo e fa schioccare la lingua contro il palato, soddisfatta, nemmeno si trattasse d’un grappino.

Torna in sala, dove lo Zitellone le punta addosso il suo sguardo bovino e si fa elencare tutti i sughi di cacciagione presenti, nonostante il MENU gli sia stato portato proprio per evitare questo. Ordina un primo, una pizza e si fa mettere da parte una porzione di Tiramisù. Dopo avergli preso la comanda, Bianca fugge sul retro per una sigaretta veloce, che non si gusta per nulla, dato che potrebbero chiamarla dalla cucina da un momento all’altro. Fuma in maniera nevrotica, frettolosa, e, con la bocca impastata, se ne torna in sala.

Anche questo sabato sera non fa eccezione: lo Zitellone arriva, si siede al tavolo 3, chiede a Bianca quali sughi di cacciagione ci siano, ne sceglie uno a caso, così come a caso sceglie la pizza – il Tiramisù no, quello son quasi certo lo scelga con criterio – frattanto che la spoglia con gli occhi.

Bianca, stasera, ha qualcosa di diverso: è felice. Sorride fra sé, canticchia, gli occhi le brillano. Gli altri saranno forse troppo presi dalle loro faccende, ma io l’ho notato; e l’ho notato perché conosco il suo segreto, perché sono l’unico a sapere che questo è il suo ultimo giorno qui, il suo ultimo giorno da cameriera sottopagata di un ristorante di provincia.
Bianca ha lavorato per cinque anni con l’unico scopo di mettersi da parte i soldi che le sarebbero serviti per realizzare il suo sogno: trasferirsi a Roma. Vuole diventare attrice, povera bambina, lo sogna da quando era alta così.
Potrebbe sembrare una scemenza. Un po’ lo è, non lo nego. Una persona di buonsenso e di quasi sessant’anni, quale sono io, dovrebbe dissuaderla… Dirle di lasciar perdere, di mettere da parte quei soldi per… Boh! Comprarsi una macchina, farsi un fondo pensione… ecc…

All’inizio ho pure pensato di farlo. Dissuaderla, intendo. Poi però ho visto quegli occhioni blu imploranti, commossi, disperati: “Solo tu lo sai… Non tradirmi, ti prego!” sembravano dire. Allora mi sono rivisto ventiquattrenne, mentre ancora andavo di chiesa in chiesa a ricopiare gli affreschi più belli su pezzi di cartone perché pensavo che un giorno sarei potuto diventare un grande pittore, come Leonardo o Michelangelo, e non immaginavo che sarei finito a fare il barista nel circolo Arci del mio paesino… E che Leonardo e Michelangelo sarebbero stati semplicemente i miei due figli, quei bischeri.
Quindi mi sono limitato a tacere e a sorriderle.

Me l’ha confessato per caso. Una sera, circa un mese fa, è arrivata prima del solito e mi ha chiesto di prepararle un cappuccino; mentre se ne stava appoggiata coi gomiti al bancone, dondolandosi lentamente, con lo sguardo un po’ perso nel vuoto, ha detto:
“Osvaldo, ti sei mai accorto che la mattina, a volte, l’aria sa di fumo? C’è odore di cenere…”.
“Sono i sogni che bruciano durante la notte” le ho risposto, e le parole mi sono rotolate fuori dalle labbra prima che potessi rendermene conto, prima ancora che avessi il tempo di pensarle, come sassi giù per una scarpata. La risposta più naturale, ed anche più logica, sarebbe stata che a volte i contadini fanno falò coi fasci di sterpi e poi usano la cenere per concimare i campi. Mi pare. Perché poi io, alla fin fine, di agricoltura ne so davvero poco. Mio padre – pace all’animaccia sua! –  ci provò a farmi diventare contadino, ma io riuscivo a far crescere solo le erbacce.

Bianca si è immobilizzata e mi ha guardato sorpresa. Ha sbattuto un paio di volte le palpebre… Ed è scoppiata a ridere.
“Osvaldo, avresti dovuto fare il poeta, altro che il barista!”.
Io sono arrossito.

 

 

L’aria sapeva di fumo 1/2 ultima modifica: 2012-03-26T09:24:17+02:00 da Silvia Scardigli

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