Concime.
Oh infelici Moire, perché non fu reciso il mio destino? Ritorno alla vita, plasmato dalla terra.
Vivido germoglio verde, esile e curvo, ancora inetto all’esistenza. E dentro me un profondo senso di sgomento: di tutto quel buio, di quel frastuono assordante non c’è più alcuna traccia, se non l’eco della mia disperata solitudine, silenzio disarmante.
Vivido germoglio cupido, cresco nella bruma fioca di un mattino spento, ondeggiando voluttuosamente tra i sussurri del vento; vitale virgulto di imponenza, il mio corpo si fa mezzo di una vita geminata dal dolore, sfamata da una piccola carcassa putrescente: inabisso inerme in questo fetido liquame, nutrendomi del suo nettare torbido e soave.
Vivido germoglio vigoroso, il fusto cresce forte raccogliendo spiragli di luce tra i tumidi cirri marmorei: rendo respiro alla terra. Assorto nel ricordo vago del dolore, asserragliato da sferzate di emozioni nuove, frenetici mulinelli di variopinto fogliame autunnale, aspetto.