il 26 dicembre del 1995 una nave mercantile turca si arena nei pressi dell’isolotto di Imia (situato nel Mar Egeo a largo delle coste turche). Poco più di uno scoglio. I greci corrono in aiuto dell’imbarcazione riportandola in un porto turco. La vicenda risveglia l’attenzione del Governo di Ankara che si sente in dovere di notificare all’ambasciata greca che l’isolotto, il cui nome “legittimo” è Kardak, è sotto la sovranità turca. Ha così inizio un intenso scambio di missive tra i ministeri degli esteri dei due paesi. Quello turco sostiene la sua sovranità in base a un accordo del 1932 siglato con l’Italia, secondo cui tutte le isole che si trovano nel raggio di 12 miglia dalle coste sono dello stato più vicino. Quello greco si rifà al più recente trattato di pace di Parigi, del 1947, che sancisce la sovranità greca su tutto il Dodecanneso.
La disputa, consumata fino a quell’istante per via diplomatica, viene resa pubblica dall’emittente televisiva greca ANTENNA, il 24 gennaio 1996, che inizia a buttar legna nel camino. Al grido di “viva la patria”, quattro baldi greci dell’isola di Kalymnos, il giorno 25 gennaio, approdano sull’isolotto e piantano una sgargiante bandiera greca.
Che smacco, che indignazione! Ed è per questa terribile onta che il giornalismo turco decide di scendere in campo, non per fare un servizio di cronaca o un reportage bensì fisicamente; il 27 gennaio atterra su Kardak un elicottero da cui scendono due altrettanto baldi giovani turchi (chissà se aspiranti eroi della patria o procacciatori di scoop) e operano il “colpo di bandiera”. Sono la stella e la mezzaluna a sventolare ora su quei preziosissimi 40 ettari abitati solo da conigli e capre. La cosa stupefacente sta nel fatto che i due arditi turchi non sono “semplici” cittadini ma redattori del giornale turco Hurryet che, per di più, svolgono la missione sotto l’occhio di una telecamera.
La Grecia invia prontamente motovedette della Marina militare per ripristinare la propria bandiera. Però il meccanismo oramai è innescato. Nelle successive 48 ore il video compie il giro delle televisioni di entrambi i paesi e i vari giornali escono, a ruota, con edizioni straordinarie e prime pagine incandescenti. I generali iniziano a sfilare nei vari TG e i politici surfisti iniziano a cavalcare l’onda e pericolosamente in testa ci sono i rispettivi premier. Simitis, il greco, si trova nella situazione di doversi scrollare di dosso la sua doppia immagine pubblica, di serio economista e professorino pauroso. Tansu Ciller, che è invece dimissionaria, sogna di essere il leader della futura coalizione.
Unica fioca luce, anche se di convenienza, proviene dall’opposizione turca il cui capo, Mesut Yilmaz, denuncia l’artificialità dell’intera vicenda.
Il 29 gennaio siamo al culmine della crisi. Le flotte dei rispettivi paesi assediano l’isolotto, i cieli sono solcati dai caccia e anche le truppe di terra, soprattutto a Cipro, iniziano a scaldarsi. Basta una scintilla per incendiare l’Egeo. Un mare insolitamente affollato, non solo dalle navi militari ma anche dalle varie imbarcazioni dei sempre più indomiti giornalisti che sono i veri conduttori dello show. La NATO intanto lavora freneticamente con le diplomazie e lo stesso Clinton telefona ai rispettivi premier. La telefonata da oltre oceano sembra particolarmente convincente e il 30 gennaio, finalmente, prevale la ragione: le truppe si ritirano.
Non so se sia lecito, in questa vicenda, parlare di incoscienza, di ardori patriottici o di piena mancanza di etica professionale. Quel che rimane è solo la gravità del fatto.