Ieri avevo delle preoccupazioni,
mi interrogavo sul significato
delle mie azioni, su quanto in vent’anni
fosse possibile causare danni,
vivere una vita da rimandato,
seppellire il passato e le reazioni
della gente ferita, non sapendo
che un giorno vale l’altro sopra l’onda
del crescendo della vita (la data
di nascita non è nemmeno data
Dal parto, ma dal medico che affonda
Le mani nel ventre). Nacqui piangendo.
Tako, tua è la prima stanza, fiore
Che cresce nel campo di sterpi, vera
Brezza che scuote il mio Saturnino
Animo: tu hai raccolto il bambino
Che piangeva fra i cocci, ferma e fiera,
gli hai insegnato ad amare col dolore,
Hai sopportato le spire sferzanti
Del mio poligamo amore, gustato
Quanto una relazione sa di sale
Se manca d’una ragione sociale.
Ero rotto, e tu mi hai aggiustato:
Solo il futuro ci attende davanti.
Sahèr, giunge il tuo turno, nel tuo arrivo
s’apre questo lustro della mia vita:
Anima amica, tu pure coltivi in
Privato gli steli storti e allusivi
Di Euterpe, tu pure corri in salita
Quando tutti s’attardano, giulivo
Combatti contro te stesso. Straniero,
Docile montagna, ricco d’ingegno e
Giudizio, con onore e con rispetto
Vivi lungo le leggi di Maometto,
E con chiara ragione e nel suo segno
Intendi il giusto, e in te cerchi il vero.
Liú, in te ripiega l’ultimo canto,
Nello starti accanto: cosa sei, donna?
Sei l’ombra che torna dal mio passato
E s’attarda, o un istinto indomato
Che indomito si manifesta in gonna,
Tacchi e scollo. Vago di tanto in tanto
Intorno al tuo collo: lieve, profuma
Di candida sferza. Fanciulla tersa,
Vivi sepolta nel sommo dolore,
Vivi insofferente, ma da un tepore
Delicato talvolta sei dispersa,
E ti libri, come corpo di piuma.
Mi ero promesso di scrivere versi,
Impronte di poesia celebrativa
Di questi vent’anni:Virone, sento
Ancora quella notte, il momento
Nel quale deliravo alla deriva
Verso il rintocco, i suoni dispersi,
I tuoni e la pioggia tagliare il denso
Delle nubi, il buio. E quel parco
Risuona di quel piovoso deserto,
Notte in tempesta che suona in concerto
Per me, scagliato da solido arco
Come dardo, che va verso l’immenso.