Gocce 5/6

Il traffico era quello di tutte le mattine.
Gente, bambini, mamme e impiegati nelle loro automobili. Qualcuno batteva le dita sul volante, tenendo il tempo di un motivetto primaverile. Alla radio un DJ idiota interrompeva spesso per dire l’ora e per convincere quelli chiusi nelle auto che la vita è meravigliosa, lavorare è grandioso e tutto è addirittura splendente se ti curi l’acne con Saponet, il detergente preferito da tutti i dermatologi del mondo. Anche da quelli senza brufoli.
Ogni 5 uomini in 5 auto, c’era una donna in auto (sola naturalmente…), ogni 10 donne un vecchio, ogni 10 vecchi un’auto blu con autista, ogni 10 auto blu una Valentina.

La Valentina nella Clio gialla aveva lunghe tracce rosse, le lentiggini, i vestiti comprati usati, ascoltava Chet Baker e non stava andando al lavoro. Tornava.
La topografia della città rappresentava un mistero per Valentina, o meglio Valentina aveva un modo tutto suo di interpretarla. Procedeva a zig-zag, contromanava, senza freccia svoltava, e degli insulti non si curava. In via Argentina, vinta dalla pioggia, parcheggiò in seconda fila, si accese una MS e si mise a guardare i passanti. Non aveva voglia di tornare a casa. Spesso.

Non aveva voglia di entrare nell’appartamentino di Claudio. A dire il vero, era di entrambi, ma quando ci pensava, quando non aveva voglia di tornarci, spesso, quello era l’appartamentino di Claudio, suo marito. Già la parola la disgustava, marito, sapeva di sofferenza, di minestrina, di televisione. La prendeva all’improvviso, la nausea di Claudio, lo schifo di 50 settimane l’anno a vendere quello che le era rimasto da vendere, oltre al culo, cioè il tempo. 50 settimane l’anno, 6 giorni a settimana, 9 ore al giorno. E se lo schifo si fosse fermato li, Valentina sarebbe stata più o meno come le altre sardine nelle auto, ma il suo di schifo debordava, grondava sulle strade, i palazzi, i vigili urbani, la portinaia, il mutuo, la cucina dell’IKEA, i soprammobili, le fotografie tutti in posa e dite “cheese”, la musica di merda, i consigli, le amiche, come ti capisco, gli amanti…..e Claudio. Somma di tutto il cazzo di universo intorno a Valentina, dentro la sua città, una città di merda tra l’altro.
E pioveva pure.

“Pioggia bastarda” pensò tutto d’un fiato.
L’MS era a metà, Vale guardava un tale arrabattarsi attorno alle cassette stracolme di frutta, tentava di coprirle, di proteggerle dalla pioggia sporca. Poi fissò un ragazzo col cane, poi due vecchie parlare fitto fitto “signora mia, che tempi”. Ticchettio dei tergicristalli, lucine rosse nel cruscotto, rumore di pioggia sulla capotte, Chet Baker che limonava con la tromba, se la scopava, struggente come l’ultima della sua vita. E poi quel vecchio, fermo sotto la pioggia, senza ombrello, nel senso che sembrava non accorgersi della pioggia che picchiava il panama già fradicio. Era vicino ad una donna che poteva benissimo essere una barbona. Anzi, lo era sicuramente, aveva carrello, sportine e tutto l’armamentario.
Parlavano.
Ma qualcosa stonava.

Vale guardava spesso le persone, se le studiava, era un modo per ingoiare lo schifo, o per annegarci definitivamente. Era un esperta, non che provasse a capire cosa le persone dicessero, le persone non dicono mai cose interessanti, ma “come” se lo dicevano. Cercava di capire chi comandava e chi obbediva, chi guidava e chi veniva guidato, chi mentiva e chi si beveva tutto. I due sotto la pioggia in via Argentina stonavano. Mille volte aveva osservato qualcuno rivolgere la parola ad un barbone, lo facevano sempre con malcelato schifo, con sufficienza. Pare banale, ma li avete mai guardati? Bene, voglio dire. È uno scontro di civiltà, due mondi che si sfiorano e mai, MAI, si toccano. Mai. Sarete d’accordo con me, immagino.

Il vecchio non era così.
Semplicemente parlava con la barbona indicandole qualcosa oltre il viale, seguiva il qualcosa con dito e sguardo, lo guardava scendere e proprio sopra la macchina di Vale, il qualcosa risaliva, su, su. Oltre la pioggia. I due poi rimanevano a guardare, sorridendo un sorriso bello. Silenziosi.

Valentina prese il giaccone dal sedile posteriore, rovistò in tutte le tasche, una, due volte, finalmente trovò il telefono cellulare. Compose il numero della casa di Claudio (e sua), lentamente, respirando profondamente. Per un attimo il tempo attorno alla Clio gialla sembrò rallentare, Valentina ebbe una specie di capogiro, per due secondi le sembrò di poter discernere lo spazio tra una goccia e l’altra. Il tergicristallo riportò il tempo al suo posto. Il telefono diceva libero. Claudio rispose pronto. Vale inspirò.

“Claudio? Siediti, taci e ascolta. Ascolta attentamente: …”
E fece debordare lo schifo. Tutto lo schifo.

 

 

Gocce 5/6 ultima modifica: 2012-03-12T09:21:59+01:00 da Manuel Galbiati

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