Sicuramente mi merito di essere punita e soffrire per i peccati commessi.
Lo so, giuro che lo so.
Ma se credessi in un Dio, sarei in ginocchio con le ceneri in capo a implorarlo di liberarmi dall’Expo. Tutto, ma l’Expo no…
In fondo è colpa mia. Sono stata io a dire che questa settimana ero libera, che mio figlio è al Summer Camp, che avevo voglia di iniziare a lavorare prima di settembre… Quindi i miei
futuri datori di lavoro mi hanno chiesto se per favore potevo incontrare, in vece loro, un produttore vinicolo Toscano importante. Ignara, rispondo che sarei stata felicissima – trovandomi a circa 40km dall’azienda in questione. Ingenua. Ingenua. Ingenua. Il viticoltore è all’Expo: è molto importante per lui che io vada li e faccia un paio di “meeting” e “brainstorming” con altri produttori e distributori. Con una sensazione di vuoto che mi si apre sotto i piedi, realizzo: non solo devo andare all’Expo, a luglio, con 40° ma devo pure essere vestita business, cercare di non sudare ed essere particolarmente coerente e brillante per un tot numero di ore.
Ecco.
È così che mi ritrovo sul treno, che sta entrando nella stazione di Milano, con un vestitino ai limiti della decenza per la mia età ma che ancora regge come casual-business estivo, facendo respiri profondi in preparazione del caldo che mi si avvolgerà addosso appena si apriranno le porte e sistemando il viso in un’espressione da don’t-fuck-with-me, che adotto in qualsiasi grande città. E questa è Milano. Odio Milano. I milanesi, per definizione, sono fighetti. E workaholic. E sono troppi. Scendo dal treno e inizio la camminata svelta e sicura che mi porterà fino alla Metro dove, grazie ad attentissime ricerche su internet (sul sito dedicato all’Expo, lo ammetto), prenderò il treno giusto. Almeno spero. Non mi sono addentrata più di tanto nel sito, ma ho capito che ci sono svariate entrate e vorrei capitare a quella giusta. Evitando così di camminare per chilometri all’interno dei padiglioni. Il caldo è osceno. Le persone sono isteriche, tante e poco umane. Mi girano già le balle. E mi fa male la gamba, che sfoggia un bel livido sopra al ginocchio, risultato di un’arrampicata sugli ulivi con mio figlio – memo to self: non pensare più di avere la prestanza fisica di un bambino di 9 anni.
Comunque sono attenta e preparata e trovo il binario giusto. La Metro puzza: prego di non dover aspettare troppo. No: per fortuna sento quasi subito la ventata di aria bollente che precede l’arrivo di un treno e il rumore, che già mi irrita, di ferro su ferro. Salgo e, miracolosamente, vedo che la carrozza non è troppo piena: ci sono ben due posti liberi. Non sono a Firenze dove scambiare quattro chiacchiere con gli sconosciuti in autobus o in fila è divertente. Sono a Milano e chiacchierare con i famigerati milanesi non mi attrae per niente. D’altra parte sono milanesi, mica chiacchieroni fiorentini, quindi non dovrei correre troppi rischi. Valuto comunque. Posto accanto al 14enne piegato a cocoon sullo smartphone mi fa pensare a piedi nelle Converse e ascelle mal lavate. Posto accanto al tipo con cappellino di paglia, polo blu e zainetto – ma da quando in qua gli uomini portano zainetti e simili? E hanno comunque le tasche sempre piene? – potrebbe essere rischioso, visto il vestitino ma:
1) sembra un po’ più giovane di me
2) ha delle enormi cuffie sopra le orecchie e spippola furiosamente su di un tablet.
3) con quella barba e il cappellino pseudo-contadino-ma-di-moda mi pare un hipster.
Ergo: mi ignorerà completamente.
Mi siedo felice (o quasi) e sbuffo dal caldo, sventolandomi poco elegantemente con il mio paperback – mia madre mi lancerebbe occhiate di fuoco se potesse vedermi ora: NON ci si sventola in pubblico, lamentandosi del caldo!
“Caldo, eh?”
Mi blocco con il braccio a mezz’aria. L’hipster ha parlato. Ma, cazzo, non è possibile!
“Eh, sì…” .
Cosa gli vuoi dire a uno che, con 40°, ti dice che fa caldo?
Mezzo sorriso di tre quarti e metto giù il libro. Lo apro con risolutezza e leggo.
“Interessante?”
Stiamo scherzando, vero?
Ora: sto leggendo uno di quei gialli Norvegesi che tanto vanno di moda adesso. E mi piace, parecchio. Harry Hole ha già capito tutto ma non può rivelare, altrimenti verrà ucciso/licenziato/lo lascia la fidanzata. Sì, punto critico. Ma nonostante ciò il mio orgoglio personale – che già è stato causa di tanti problemi – entra in
gioco. Con un occhiata di sbieco noto che l’hipster forse non è proprio hipster. Ha delle belle mani, da uomo. Non ha le bretelle né il risvoltino ai pantaloni. E una luce intelligente negli occhi. Decido che non voglio passare da una che legge solo gialli in paperback (anche se in Inglese, che fa figo).
“Beh, è molto divertente. Mi ci voleva un po’ di svago dopo Lettera ad un bambino mai nato, che ho finito settimana scorsa”.
Vai: adesso chétati ché con Oriana Fallaci ti ho sistemato.
“Ah! L’Orianona nazionale… Mi è tanto piaciuta in Lettera ad un bambino, ma deluso tantissimo ne La rabbia e l’orgoglio”.
Gulp. Hai capito, l’hipster milanese?
A guardarlo bene, non sembra che stia cercando di attaccare discorso, ma genuinamente interessato all’argomento. Forse si è scaricata la batteria del tablet. E ha uno sguardo aperto, leggermente indagatore e un mezzo sorriso gentile. Decido di essere onesta e confesso di non aver letto La rabbia e l’orgoglio, ma che altri suoi libri mi sono sempre piaciuti. Effettivamente passiamo qualche minuto a parlare di libri, scoprendo anche una comune passione per Queneau. No, davvero: lo ha menzionato lui, citando anche qualche titolo. Lo ha letto davvero. E questa barba inizia a piacermi. Mi dice che in questo momento sta leggendo Islampunk. Buio totale. Non ho idea di cosa stia parlando. Ma con grande nonchalance e dando pure aria di vaga noia commento con un “Mmm..” (i mugolii sono utilissimi: lasciano aperte molteplici interpretazioni).
Qui la conversazione langue un po’. E me ne dispiaccio perché in fondo questo è carino… Non sembra neanche un fighetto milanese. Sì, un po’ nerd con quelle cuffie enormi, lo zainetto, il tablet e, sicuramente, lo smartphone in tasca (non nello zainetto). Però ha l’aria di un Jean Reno più figo, con spalle solide e aria da maschio. Ma soprattutto ho un fortissimo desiderio di parlarci. Per ore. Strana sensazione di voler raccontare tutto a questo sconosciuto. Ma ancor più strano sentire che lui ascolterebbe…
Avendo già saputo – data la conversazione sulla toscanissima Fallaci – che sono di Firenze, mi chiede cosa faccio a Milano. Rispondo che sto andando all’Expo… e vedo l’occhio azzurro che perde un po’ di luce. Rapido calcolo e decido che, forse, non è un fan dell’Expo e mi affretto a precisare che vado solo per un incontro di lavoro, che odio l’Expo, non me ne può fregare di meno e avevo tutte le intenzioni di non metterci mai piede. L’occhio brilla di nuovo. Score.
Silenzio di nuovo.