Nell’idilliaco scenario d’oriente, si snodava il ridente agglomerato dell’odierna Bratislava, illo tempore obnubilata da una coltre di fervente nichilismo. Dislocata a ridosso del promontorio dei Carpazi ed intervallata da insenature di natura fluviale, si ergeva impetuosa ai margini di una sinuosa valle. Ivi imperversavano, sovente, glaciali nevicate, inframmezzate da gelo e copiosi rovesci.
Un’ambientazione ordunque asettica e impervia. Al vertice del piramidismo sociale figurava il principe della valle, feudatario nonché emblema della collettività, di seguito si delineava la figura ieratica ed ineluttabile di Adahm, sacerdote del Santuario della Provvidenza , ubicato nel ventre della valle. Negli strati inferiori si assestavano gli agrimensori e i mercanti, di estrazione medio-alta, nel basamento gerarchico coesistevano gli indigenti, spesso discendenti da stirpi di schiavi o prigionieri mutuati dal fronte bellico.
L’immaginario collettivo era contrassegnato da un acre spiraglio di antagonismo nei riguardi della sfera dell’ultransensibile, il popolo, indi, era animato da un radicato e divagante senso di determinismo casualistico, ravvisabile negli usi e costumi locali. Refrattari ai valori consuetudinari, apparivano le acerbe anime di Daniele, Ruth e Tobia, discepoli in erba, forgiatisi in ossequio alla dottrina mistica profusa dalla guida spirituale del paese. Il maestro predicava i precetti teologici della salvezza, redenzione e reincarnazione, triade assiologica eretta a fondamento del verbo divulgato dal sommo divino. I tre giovani discenti erano soliti adunarsi presso il luogo di culto per l’adulazione, mediante l’attuazione della prassi rituale, del simulacro della Provvidenza, situato nella stanza della sospensione temporale, un abitacolo metafisico il cui accesso era precluso ai miscredenti e a coloro i quali demonizzavano la fede.
Solo dietro una minuziosa fase di contemplazione ed espiazione delle nefandezze, perpetrate nella quotidianità , il fedele era in grado di assurgere alla beatitudine perpetua e divincolarsi dall’ombra dello scetticismo. Nella prima decade di febbraio del 1200 d.C., Daniele Ruth e Tobia si accinsero ad ultimare l’iter liturgico preconizzato da sua eminenza Adahm, in prospettiva di un’imminente redenzione e conseguente adozione di una condotta di vita ascetica, funzionale alla salvezza dello spirito. L’indole scettica ed austera dei ceti dominanti, presieduti dal principe egemone, fomentata altresì dalla diffidenza popolare, indusse la Suprema Corte di Giustizia a istituire un apposito tribunale, strumentale allo sradicamento della dottrina in fermento. L’organo di repressione preposto, iniziò ben presto ad inquisire e reprimere i dissidenti religiosi emergenti, estromessi dalla comunità e relegati nell’obelisco della perdizione, edificato nell’insidiosa valle. Nell’ottica di un’azione di contenimento del fenomeno persecutorio, il chierico si appellò alla pregnanza mistica del Simulacro della Provvidenza, con l’intento di invocare l’ausilio del comparto ultraterreno. Intanto un’incursione sovversiva, manovrata dal principe, produsse vistose lesioni alle pareti del Santuario, in decadimento. Tempestivo l’intervento dei tre seguaci, i quali tentarono di arginare l’ondata, mossi da un’indole temeraria.
Tentativo vanificato da un ennesimo agguato, deleterio e devastante. Gli animi si esacerbarono ulteriormente, l’ostilità, divampata ormai in tutti gli strati, si tradusse nello scompiglio generale e nella sommossa popolare. Qualsivoglia compromesso divenne illusorio, la faida, divampata dalle ceneri dell’oscurantismo intellettuale, assunse una connotazione palesemente bellica. Le dinamiche intercorse lasciavano presagire l’avvento di un’inossidabile idiosincrasia tra sacro e profano, destinata a sovvertire l’ordine precostituito nella scala sociale. La situazione degenerò, allorquando i ribelli, demolirono l’ingresso della camera sacra, si dissolsero cosi, tra i cumuli di macerie, gli interrogativi, inevasi, sulla tanta agognata ascensione. Daniele, Ruth e Tobia si genuflessero, ormai esanimi, alla volontà del signore del feudo e acconsentirono arbitrariamente a rigettare i dettami della dottrina religiosa. Nei postumi della diatriba, venne ripristinata la quiete e l’armonia sociale, malgrado le persistenti invettive e ingiurie formulate dal sacerdote, irremovibile e ostinato a preservare i postulati della divina triade. Lo stesso si prodigò, in seguito, nel rifacimento delle colonne del Santuario e in un secondo momento sopraggiunse presso la dimora del principe, con l’intento di sollecitarlo a stipulare un trattato che garantisse la pacifica coesistenza dei due poteri.
Antonio Maria Pascarella