Sono cresciuto anch’io sull’orlo del Sammarella, nella terra dai due nomi: Basilicata per quelli che sono restati, Lucania per quelli che sognano ancora un ritorno.
Si diceva brigante, allora, per dire a un ragazzo che era in gamba, che aveva fiuto, che non avrebbe fallito mai niente. A mio padre, quand’era ragazzino, gli dicevano sempre brigante. Voleva dire che non frignava nemmeno quando la polvere gli bruciava gli occhi. A lui e a tutti quelli come lui li chiamavano briganti, perché erano svegli come capre.
Eravamo così disgraziati che la polvere delle travi piene di tarme ci copriva ogni notte le lenzuola. Ogni santo natale le guardie forestali del paese venivano per chiederci due o tre capretti da latte, teneri, da fare alla brace o nella terracotta con le patate di Stigliano spruzzate a rosmarino.
A natale noi diventavamo più magri. Appendevamo la fame sopra al focolare. Mio padre, senza fiatare, andava nella stalla a prendere i tre migliori capretti. Tre giorni prima di darli alle guardie forestali, li metteva a succhiare latte come fossero vitelli. Li ingrassava apposta, perché l’avvocato Pesce, buon camminatore di montagna, un giorno gli disse nel suo dialetto italianizzato: tien semb a mente che le guardie forestal c’hann a panz di fierre e o gamm legger.
Così, in cambio di quei capretti potevamo permetterci di pascolare nei boschi del demanio pubblico le nostre quattro capre, magre da far paura a un lupo. Mio padre si sapeva acquattare come una lepre, fra un ginepro e un pungitopo. Anche quando aveva pagato la sua parte, anche quando aveva regalato i suoi tre capretti da latte, se sentiva un rumore al pascolo si nascondeva come un abigeatario. Aveva paura. Un giorno chiesi: Se gli abbiamo dato i capretti, per quest’anno non dobbiamo avere paura, vero? E lui: Che dici! Dobbiamo stare sempre a recchiatìsa, metti che non sono soli e viene il capitano da Potenza…
Capii tutto, le nostri ‘tangenti’ non garantivano un bel niente, se non una ruota di natali sempre più magri.
Anch’io volevo mi chiamassero brigante, ma volevo diventare uno di quelli veri, uno di quelli che portavano lo scacciacani o la malese mozzata sempre appresso. Così cominciai a sognare di appostarmi sopra il passo di Cannalìa e di tirare un laccio per i cinghiali alla gola delle guardie. Ma a me brigante non lo diceva ancora nessuno e le guardie si presentavano puntuali come le campane di mezzogiorno.
Poi cominciarono a venire pure a Pasqua e a ferragosto. La fame si allungava e la rabbia diventava un budello storto che pareva il Sammarella dopo Fosso Tempesta. Neppure immaginavo che quei malanni erano come le frane e i terremoti che scandivano il tempo di quella terra, e che dietro quei malanni c’erano sempre delle coppole storte.
Lo scoprii anni dopo nei libri che mi dava maestro Salvio, e una di quelle storie me la ricordo ancora. Raccontava di un uomo che mentre raccoglieva un fascio di legna venne acchiappato da una guardia forestale che gli fece un verbale di 1300 lire. Ma quella legna non era da rivendere, serviva solo a riscaldare la casa di un vedovo con due figli che morivano di freddo.
La storia si ripeteva sempre, ma mai uguale a se stessa.
[tube]QHD4on7h-FQ[/tube]