Il commissario Antonia Bellantoni aveva parcheggiato nel cortile davanti al Commissariato.
Alta, bionda, con l’aiuto di un colorante naturale, si muoveva leggera verso il suo Ufficio sui tacchi a spillo che immancabilmente completavano il suo abbigliamento tra lo sportivo e il ricercato: una camicetta di seta verde carico su una gonna color panna che le ondeggiava lungo le belle gambe con i suoi godet morbidi. Una donna attraente, non un commissario di polizia. A lei piaceva che nessuno potesse etichettarla facilmente.
Era tranquilla e rilassata in quella mattina ventosa di primavera.
Lunedì, se lo sarebbe ricordato quel lunedì.
La scrivania l’accoglieva con il suo ingombro e il telefono aveva già iniziato a squillare.
Palmisano entrò con aria circospetta.
“Commissario vi vogliono parlare, una donna, dice che è importante, la faccio entrare?”
Aveva appena terminato la frase quando dietro Palmisano si era profilata la silhouette di una giovane donna che premeva alle sue spalle per farsi strada.
“Scusi commissario, ma nessuno mi ascolta, la prego è urgente!”
Con riluttanza Antonia Bellantoni le fece cenno di accomodarsi.
Non era cedevole, ma quella richiesta e soprattutto l’agire della giovane l’avevano convinta ad accogliere le sue pressioni.
Elegante, quasi bella, sicuramente particolare, con la sua chioma riccioluta di un rosso tiziano risplendente, la vide accomodarsi nell’unica sedia libera da fascicoli lasciando intendere nello sguardo e nei modi una faccenda seria e complessa.
“Mi chiamo Vanessa Ormandi e sono qui per denunciare la scomparsa di un amico, intimo…”sottolineò con una breve enfasi e pausa nella voce calda e sensuale.
“Non è questo l’Ufficio denunce”, intervenne rapida la Bellantoni che, superato il primo momento d’incertezza, riassumeva il controllo della sede e soprattutto del ruolo.
“Lei non capisce o non vuole capire, commissario Bellantoni, so benissimo a quale Ufficio avrei dovuto rivolgermi, non sono una sprovveduta, ma mi ascolti e capirà il caso che vado a prospettarle”.
Qualcosa la convinse di ascoltare.
L’atteggiamento della Ormandi lasciava intendere una sintesi interlocutoria.
“Il mio fidanzato, Francesco Cersusco, è scomparso da 12 ore. Non risponde alle chiamate né a casa né sul cellulare. La sua auto è parcheggiata nella piazzetta dove abitualmente viene lasciata a circa trecento metri dalla sua abitazione. Nella casa, dall’esterno tutto sembra in ordine, solo i limoni indicano un’assenza: avrebbero bisogno di essere annaffiati. Io non possiedo la chiave, per espresso desiderio di Francesco e sono stata a casa sua solo pochissime volte”.
Parlava Vanessa Ormandi come se stesse ripetendo a memoria e senza emozioni una storia preconfezionata. La Bellantoni ne fu colpita e decise di lasciarla continuare senza interrompere.
“Vede – stava continuando la donna- è il mio fidanzato sì, ma i nostri sono rapporti “aperti” e nessuno dei due intralcia la vita dell’altro, comprese le relazioni collaterali, ma so per certo che gli è accaduto qualcosa: troppi silenzi, troppe ore senza notizie”.
“Lei sa che non è sufficiente per aprire un caso di scomparsa” – interloquì la Bellantoni – c’è quindi qualcosa che teme? Se vuole che continui a dedicarle il mio tempo, mi espliciti i suoi dubbi”.
“Francesco è un professionista, lavora nel mondo delle agenzie di stampa, è spesso all’estero, si sposta continuamente per lavoro, ma mai mi aveva lasciata così a lungo senza una telefonata!”
“Una relazione collaterale più importante delle altre? Non la vuole contemplare?”
“No, perché noi ci raccontiamo le nostre “relazioni”, io conosco tutte le altre donne che Francesco frequenta o ha frequentato e anche gli uomini, occasionalmente”
“Cosa vuole da questo colloquio? Cosa mi sta chiedendo? Vuole che interveniamo? Sa benissimo che non possiamo farlo, a meno di precisi timori o fondati sospetti di minaccia all’incolumità dello scomparso”.
“Proprio perché so quello che mi dice, le chiedo espressamente di soprassedere alle regole, temo per la vita di Francesco. Ieri sera verso le 20.00 mi ha detto che sarebbe andato a casa presto, era stanco e poi avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio, oggi o domani, non ho ben capito, si era confuso con le date, strano per Francesco con l’agenda degli impegni ben stampata nella mente; ma soprattutto mi aveva salutata dicendomi che oggi, anzi stamattina alle 7.00 mi avrebbe dato il buongiorno, e Francesco è sempre puntuale, come una sveglia puntata. Un incidente domestico? Un malore? Non so cosa contemplare, so solo che sono preoccupata, molto preoccupata” .
E si interruppe con la voce strozzata in gola.
La volante era prontamente intervenuta. La porta aveva opposto resistenza, ma poi aveva ceduto. Il corpo di Francesco Cersusco ne aveva ostacolato l’apertura.
Un omicidio, senza ombra di dubbio!
Occorreva scavare nella vita di Francesco Cersusco, un anonimo agente free lance. Strideva con la bella casa di proprietà, il guardaroba, le relazioni e le auto sempre nuove, sempre più potenti e costose: uno scapolo d’oro dalla vita doppia?
Antonia Bellantoni aveva diramato gli ordini di routine ed ora occorreva attendere i risultati: l’autopsia, gli interrogatori dei vicini, dei casuali passanti, l’ora presunta del delitto tra le 20.00 dall’ultima telefonata alla fidanzata e le 7.00 l’ora della mancata sveglia con “buongiorno”, un intervallo che l’autopsia avrebbe ridotto di varie ore, sperava.