Delitto al free jazz 1/2

Antefatto con delitto

Camminava con passi veloci.
Duecento metri e avrebbe varcato la porta di casa.
La strada era ben illuminata e la serata piacevole: un venticello spirava da est, accarezzava.
Cosa o meglio a cosa era dovuto quel malumore? Frugò tra i pensieri nascosti.
La bella strada veniva incontro ai suoi passi frettolosi con le sue palazzine Liberty e i giardini ordinati oltre le inferriate.
La serata primaverile illuminava i cieli che scorrevano sulla sua testa: sereni tappeti di stelle offuscati dalla luce forte dei lampioni lungo il marciapiede.
E il malumore dilagava ingombrando i pensieri, spegnendo le stelle e velando la luna. Affrettò il passo verso casa.
Poi la voce di un cane e il silenzio. Cosa preferire? Inquietudine in entrambi.
Il cigolio di un cancello alle sue spalle. Girarsi e guardare? No, continuare senza voltarsi.
Inquietudine, presentimento, quasi paura.
Passi dietro i passi: i suoi o gli altrui, non sapeva distinguere. Sul selciato, quasi un’eco, un rimbombo, nella quiete.
A casa, a casa. C’era quasi.

Il vialetto che separava il giardino antistante la porta d’ingresso non gli era mai sembrato così lungo e greve: i limoni che aveva voluto e curato personalmente non lo inorgoglirono del rigoglio di fiori e delle ampie foglie verdi cangianti. Uno sguardo appena, ma svagato. I suoi pensieri erano altrove. Non si attardò a soppesare il vigore o la bellezza dei fiori grossi e bianchi striati di rosa o il bisogno eventuale d’acqua. Sentiva solo l’impulso di varcare la soglia, quasi un rifugio, un luogo sicuro e inespugnabile dove celare la sua inquietudine e magari calmarla.
La chiave girò nella toppa con un rumore familiare. Aprì quasi spalancando l’anta del portoncino e la richiuse con la spinta delle due mani unite e protese indietro. Un tonfo sordo ma di bentornato.
Sentì i battiti del suo cuore.
Un sussulto: una musica a tutto volume echeggiò fino all’ingresso provenendo dalla sala da pranzo.
Un brano noto di free jazz ingombrava con le sue note altisonanti tutta l’area attorno a lui e lo soffocava quasi stringendo le sue corde vocali in una morsa d’acciaio. Non riusciva né a muoversi né a urlare: era impietrito.
Intuì una presenza.
Qualcosa o qualcuno si era mosso e gli andava incontro.
La musica assordava e il suo ritmo era una minaccia evidente ed espressa con il più elevato volume possibile.
Poi un colpo di pistola sibilò superando e vincendo con forza le note sparate al massimo.
E tutto tacque per lui che ricadeva riverso sul pavimento mentre un rivolo di sangue inzuppava la bella camicia di seta senza scivolare sul parquet, quasi per non turbarne il vellutato color ocra pallido.
La musica tacque all’improvviso così come era esplosa.
Un passante con il suo cane l’aveva udita e riconosciuta: un brano di Eric Dolphy Hat and Beard
Solo un vero amatore avrebbe potuto riconoscere un vecchio brano del 1964.
Erano le 22.00 di una bella serata di primavera.

 

Delitto al free jazz 1/2 ultima modifica: 2015-11-17T08:54:20+01:00 da Salvina Pizzuoli

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