Ciacole (I più votati di Prosa e Poesia)

Subito dopo l’igienista, il dietista e l’estetista, c’è il parrucchiere, sebbene non in lista, occupa una posizione alta nell’elenco delle necessità  imprescindibili,  non solo nell’universo femminino, sebbene ad esso fino ad ora veniva erroneamente limitata la propensione a preoccuparsi della facciata. Nell’olimpo dell’apparire,  dove chi non si mostra non è, il parrucchiere,  ormai unisex, occupa un posto preminente.
Io invece odio andare dal parrucchiere, non so mai come e in quale foggia farmi acconciare, non seguo le mode e non sono aggiornata sui tagli e sui colori; di fronte alla perentoria domanda allora come li facciamo? Non solo rimango sospesa, ma perfino imbarazzata nel sentirmi rispondere come al solito.
Penso di aver ormai esaurito l’elenco dei parrucchieri cittadini, li ho provati tutti, senza mai trovarne uno che mi contentasse fino in fondo. Io amo le pettinature semplici, i tagli puliti, i capelli morbidi intorno al viso, con i loro colori che naturalmente si adattano all’incarnato, agli occhi, all’età e  al clima, designando il soggetto con un’ etichetta di provenienza originale e manifesta.  Non amo soffermarmi a consultare le svariate riviste che invitanti si impongono all’attenzione con le loro copertine ammiccanti di colori e fogge o a guardare con malcelata invidia il bellissimo viso della modella che il poster, in posizione strategica,  mostra incorniciato nell’acconciatura ultimo grido. Mi piacerebbe invece uscire dal parrucchiere con una pettinatura la cui artefatta fattura non gridi  l’evidenza e non solo per la scia dei profumi o le  laccate immobilità. Sono sempre stata alla ricerca della naturalità e per un certo periodo mi convinsi che tale dote potesse risiedere solo in pochi acconciatori, rari e accessibili solo a livelli elitari, ma la delusione si era poi rivelata ancora più cocente. Dalle loro mani sono uscita sicuramente trasformata: capelli come colbacchi da ussaro, frange sfrangiate e rigonfie, tagli sbilenchi e asimmetrici, boccoli provocati dall’uso indiscriminato di ferri elettrici arroventati;  la loro creatività infatti cozzava con le mie banali richieste che al contrario sembravano provocarla.
Mi sono rifugiata quindi in un negozio di periferia, senza fronzoli e pretese,  lontano da casa e gestito da una donna della mia stessa età. Da anni ormai mi ostino, per quattro volte l’anno, meno non si può, a recarmi all’altro capo della città pur di non subire ulteriori stress. La mia parrucchiera è sicuramente una donna intelligente, ha capito e cerca di adattarsi alle mie esigenze, poche per altro. Non commenta, esegue; è discreta e,  a parte il vizio di eccedere in volume, il taglio è come lo desidero e dopo il primo shampoo casalingo è tutto davvero perfetto.
E proprio l’altro giorno, durante una delle mie quattro volte l’anno,  mi sono chiesta guardandomi allo specchio che mi stava davanti, cosa avrei mai potuto raccontare degli svariati momenti che da anni vivevo all’interno di quella strana bottega, dove non si vende nulla, dove nulla si crea o si distrugge ma irrimediabilmente si trasforma; non sarei stata in grado nemmeno di riferire o riassumere di cosa parlano le donne o come si comportano. Mi sono quindi scoperta completamente impreparata,  tutta presa  a voler vivere marginalmente quasi con sacrificio quelle ore trascorse lì dentro ma  che comunque facevano parte di una mia giornata,  un pezzetto di vita vissuta che continuavo a negare. Lo specchio poi mi ha spinta a capovolgere l’immagine immedesimandomi dall’altra parte, quella che le altre pazienti  si erano certamente fatte di me a causa dei miei modi schivi o delle risposte sospese tra i denti o dei sorrisi stereotipi costantemente indugianti sulle labbra o lo sguardo fisso sulle pagine dell’immancabile libro.  Immaginavo di essere sicuramente stata catalogata come un’ intellettualoide bigotta o conformista oppure come una signora scarsamente disponibile e con l’aria di sprezzante superiorità, di quelle che non si abbassano a condividere un po’ di ciacole.
Si, perché in realtà di cosa possono mai discutere tante donne insieme tra colpi di fon, musiche di sottofondo, tra specchi e luci abbaglianti, se non riescono nemmeno a sentirsi?
E quindi per la prima volta ho seguito con un certo interesse le parole che fluivano tra le varie poltroncine allineate: molte sono clienti abituali, altre si conoscono appena; le età sono tra le più disparate così come le fisionomie e i colori e i tagli delle future pettinature; alcune riescono a mala pena a girarsi per l’ingombro che tra i capelli fanno le varie bande argentate, altre sono bloccate dall’aureola che le lampade girevoli creano sulle loro teste; le più anziane  soggiornano dentro le bocche infuocate e rumorose dei caschi mentre le più giovani o giacciono a testa in giù tra le sventolate del fon o  ruotano le teste civettuolamente acconciate dentro cappellini di lattice dai quali pendono capelli imbrattati da pappe coloranti.
Eppure tra tanti impedimenti le parole scorrono. Gli argomenti non sono mai affrontati per intero, spesso restano appena abbozzati e si perdono oppure ritornano in vesti diverse dopo qualche altro brandello di frasi. Gli affetti, la scuola, i figli sono tra i temi più presenti nelle risposte a domande dirette, poi prevale la diceria bonaria e le ultime dal gossip, ma sono come percorsi virtuali, lontani e altrove,  non lì dove suoni e rumori, profumi e odori si mescolano e frastornano;  i racconti si fanno leggeri, gli avvenimenti si smagliano e si alleggeriscono, tanto che se ne può parlare semplicemente, senza coinvolgimenti, senza passioni, in un distacco salutare che trova o non trova approvazione e condivisione ma rilassa, coccola e accontenta.
E le ciacole,  come libere associazioni di una seduta psicoanalitica, si liberano, si accavallano, in una conversazione che in realtà non è tale perché le interlocutrici non parlano tra loro, anche se pare chiaro che in qualche modo ci sia un filo conduttore nei loro interventi, perchè i rumori che disturbano la comunicazione fungono perfettamente da filtro e ciascuna può abbandonarsi a percorrere altri fili ed altri  link  senza che nessun’ altra se ne avveda o se ne dia per inteso.

Ciacole (I più votati di Prosa e Poesia) ultima modifica: 2015-09-09T08:34:48+02:00 da Salvina Pizzuoli

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