Ho sempre guardato e forse a furia di farlo ho imparato.
Sembra facile, ma non lo è. Lo dico per esperienza. Spesso abbiamo l’impressione di aver visto, osservato, esaminato, considerato, scrutato, ispezionato, ma in realtà non abbiamo guardato veramente.
Sono gli occhi che mi permettono di guardare. Sono una finestra ed io mi affaccio.
Se do un’occhiata a qualcosa significa che la guardo di sfuggita, se faccio gli occhiacci a qualcuno vuol dire che non sono d’accordo, se sono occhiuto vuol dire che ho guardato con attenzione e sono stato cauto. Se poi ho l’occhio lungo vuol dire che riesco a vedere particolari che agli altri sono sfuggiti.
Oculato è chi sa guardare bene, ma così bene che tutto va poi per il meglio.
Non avere occhio, lontano dagli occhi, lasciarci gli occhi, occhi foderati di prosciutto, guardare con cent’occhi, darci un occhio, mangiare con gli occhi, tenere d’occhio, a colpo d’occhio, a occhio e croce…Sono frasi che ho sentito e ho appuntato nel calepino della memoria che mi hanno fatto capire e riflettere.
A furia di guardare ho capito che noi umani abbiamo due “sfondi”, uno dentro e un altro fuori: la faccenda si complica e la colpa è tutta delle parole mancanti, nel senso che spesso non ci sono proprio e occorre fare degli esempi o quelli che si definiscono “giri di parole”. Provo con gli esempi.
Per guardare dentro occorrono tanti occhi per non farsi sfuggire i legami tra il dentro e il fuori.
Il dentro è pieno di emozioni e le vedi perché sono colorate e ognuna ha precise coloriture o se è forte, è come un caleidoscopio.
Se guardate e vedete un qualcuno che sta seduto su di una panchina al sole, con gli occhi socchiusi, un velo di sorriso sulle labbra distese, il corpo rilassato quasi a combaciare con la panchina su cui è seduto come fosse di cera, le braccia abbandonate e il capo reclinato, bene, quel qualcuno ha un’emozione gialla; non un giallo carico, non limone o canarino, un giallino pastello, caldo e riposante.
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