Aurora aveva solo dieci anni, e mentre lui parlava, tenendola sulle ginocchia seduto su un grande sasso in riva al ruscello, sentendo quelle parole scoppiò in un pianto disperato.
“ Non devi piangere, angelo mio, forse per te è difficile capire ora, ma ricordati che l’amore è l’unico vero collante , e visto che io ti adoro, che per me sei il solo essere al mondo che io ami, anche quando non sarò più qui, fisicamente al tuo fianco, tu mi sentirai, sempre, come se non me ne fossi mai andato. Non avrei voluto lasciarti in collegio ma non mi hanno dato il permesso di prenderti con me, salvo le brevi vacanze, ma ti assicuro che non ti lascerò mai, e vedrai che quando sarai più grande, quando sarai cresciuta, mi saprai riconoscere e sentire.”
Da lì si sentì ancora più sola e non le fu dato il permesso di essere presente al funerale del nonno perché al suo arrivo a casa non ci sarebbe stato nessun adulto ad accoglierla; aveva imparato a chiudersi a riccio ogni volta che qualcuno cercava di mostrarle affetto anche se forse a volte sincero, ma lei riusciva a far desistere chiunque.
Essere completamente autosufficiente la vaccinava contro ogni delusione, e il matrimonio le aveva confermato quello che aveva sempre sentito e pensato.
Ogni rapporto umano che aveva, se non era di lavoro, era sì amichevole, ma senza mai scoprire le sue carte, sempre sulla difensiva, senza mai far entrare nessuno nella sua vita più di tanto.
Dopo la morte dei suoi genitori aveva lasciato il Rifugio,lasciato lo “scettro ambulatoriale” ad una giovane Veterinaria che aveva personalmente seguito e scelto , aveva deciso di andare a vivere nella casa dei genitori, voleva costruire le sue radici nel posto dove si era sentita felice con il nonno. Aperto il suo ambulatorio nell’ala est della casa con tanta abnegazione era riuscita a conquistarsi la fiducia di tutti i vicini e allevatori del villaggio.
Guardare Jet era un vero divertimento:lasciata la palla si era messo a correre dietro ad uno dei gatti lì approdati,ed il suo gran divertimento era vederli salire a gran velocità sull’ albero per poi fingere di allontanarsi, acquattarsi dietro la siepe e ricominciare appena il povero micio appoggiava le zampe per terra. Quando riusciva a raggiungerli il gioco finiva e sia l’inseguitore che l’inseguito riposavano all’ombra, a volte non solo uno di fianco all’altro, ma addirittura il micio si stendeva fra le sue zampe. All’inizio i gatti erano due, ora lei e Charlie, il suo aiutante, avevano smesso da tempo di contarli.Molti erano stati abbandonati davanti alla porta dell’ambulatorio, altri li aveva addirittura trovati sul tettuccio del suo furgone, dentro una scatola.
Li aveva sterilizzati quasi tutti, ma qualcuno non c’era verso di intrappolarlo, e stagione su stagione si erano moltiplicati, e né lei né Charlie avevano potuto arginare il problema, ma solo aumentare le dosi di biscottini, in ciotole sparse fin davanti alle stalle delle pecore e dei cavalli, dei somarelli e qualche capretta, come quella che aveva Charlie, il primo giorno in cui lo aveva visto, un ragazzino in jeans, zaino,chitarra e una capretta al fianco, che lo seguiva come un cagnolino, e che le aveva ricordato Heidi al maschile.
Si era presentato davanti alla sua porta chiedendo se conosceva qualcuno che avesse bisogno di un lavorante, e lei incurante di qualsiasi pericolo lo assunse, a tempo pieno, dandogli delle regole dure e faticose, informandosi il giorno seguente sul suo passato presso il distretto di Polizia locale, e appurato che era chi dichiarava di essere lo adottò, come un figlio . Aveva capito che anche lui aveva una storia difficile alle spalle, e senza nulla chiedere si ritrovò giorno per giorno che Charlie le raccontava della sua vita, facendone un puzzle, correndo avanti e indietro nella sua storia, facendola partecipe di sofferenze che lei purtroppo ben conosceva.
Indifferenza, ignoranza, egoismo, e per Charlie la certezza che sua madre( del padre non aveva traccia) fosse pure alcolizzata e tossicodipendente lo avevano spinto a cercare un mondo migliore, e con Betty, la capretta che lo aveva seguito, non sapeva lui il perché, era approdato davanti alla casa di Aurora, quando ancora stava organizzando e mettendo insieme il suo ambulatorio veterinario e allestendo il furgone per gli interventi a domicilio.
Lo adottò, e con lui vide crescere il numero dei gatti, dei cani e di tutti gli animali presenti, comprese le pecore, che comunque venivano regolarmente tosate da lui per vendere la lana e realizzando una aggiunta all’ introito della professione di lei , che non era certamente sufficiente se comparato alle spese.
Ricordò che circa un anno prima, sempre sul finire dell’estate, dopo aver lasciato correre il suo adorabile Jet, le era balenato per la mente un importante progetto, quindi senza indugiare e
chiamando a voce alta Jet, inforcò la bicicletta, raggiunse Charlie alle stalle. Lui stava tosando le pecore, o meglio aveva finito e l’ultimo ciuffo di lana era già stato inserito nei sacchi, pronti per essere portati al paese.
Quando la vide arrivare lui si stava asciugandosi la fronte imperlata di sudore, si alzò oltre che per rispetto, per appendere il cappello al palo del recinto . Aurora appoggiò malamente la bicicletta allo steccato e gli comunicò tutto di un fiato il suo nuovo progetto: voleva recintare tutta la proprietà, voleva sentirsi più tranquilla anche per Jet, aveva paura a lasciarlo libero senza il suo controllo, troppi contadini ignoranti seminavano per i campi polpette avvelenate per difendere , a detta loro, i pollai dalle volpi, ma spesso cani come il suo erano morti tra atroci sofferenze e lei non voleva assolutamente rischiare e non erano servite né le ammonizioni né le varie denunce alle autorità.
“ Certo, non sarà un lavoro facile, e tantomeno veloce- disse Charlie-qui sono solo e se ben ricordi i recinti dei cavalli e delle pecore mi sono costati settimane di durissimo lavoro”
“Ma non pretendevo né ho mai pensato di lasciarti solo davanti ad un lavoro così immane” –aggiunse lei-“ se sei d’accordo potremmo assumere qualcuno giù in paese” e intanto riprendeva il fiato dopo la veloce pedalata in bicicletta-“ Anzi, se ti va, direi che tu sei certamente più qualificato di me nella scelta sia del personale che del materiale e del numero di persone utili e……………..” Charlie le fece cenno con la mano di fermarsi e sorridendo le mise il suo cappello sul capo-“ Ok, hai vinto, mi hai convinto, vado a consegnare la lana, mi guardo un po’ in giro, stasera a cena ti racconto cosa ho rimediato. “ Si riprese il cappello e si incamminò verso il furgone, già carico di lana, partendo a grande velocità e sollevando una nuvola di polvere che la coprì da capo a piedi.
Mentre guidava su quella strada sterrata, Charlie rideva fra sé e sé, ammirava quella donna che lo aveva accolto da ragazzino. Si era presentato con il cuore carico di rabbia e risentimento verso la famiglia che non aveva avuto, verso i dolori che aveva dovuto vivere, e il destino, forse un Dio lo aveva condotto fin lì, da quella donna che gli aveva proposto un pasto caldo, un letto dove dormire e la possibilità di ricominciare. Non solo per questo la adorava, e per lei avrebbe sfidato anche il diavolo in persona.
Grazie a lei aveva imparato tutto quello che sapeva, anzi forse di più, si sentiva un uomo libero , capace e finalmente sereno.
Era comunque incredibilmente timido e nonostante Aurora gli dicesse di uscire la sera, di andare al bar o nel ritrovo dei giovani in città, preferiva rimanere a casa, a pizzicare la chitarra, ascoltare musica, e a volte rimbambirsi di televisione. In mezzo a molta gente si sentiva un pesce fuori d’acqua, ma era più forte di lui, e non si rendeva nemmeno conto di essere un bellissimo uomo, anzi il contrario. Molte donne sia giovani che no avevano cercato di avvicinarlo, di stabilire un contatto, ma inutilmente, scappava come una lepre, quasi terrorizzato, ma nel paese il suo atteggiamento era stato solo focolaio di pettegolezzi, e in giro la domanda era: amanti o fratelli?
Ma quando le malelingue si resero conto che era inutile sparlare su chi se ne fregava,e che nonostante ogni tipo di allusione o provocazione nulla cambiava, volsero finalmente altrove le loro attenzioni.
Per Aurora il ritorno a casa dalla stalla fu meno faticoso, essendo in discesa, ma rischiò varie volte di ruzzolare a causa di Jet, che saltellandole intorno tentava di morderle i piedi sui pedali. Quello era un vizio che non era mai riuscita a togliergli, e si sentiva una veterinaria depressa davanti a quel cane cocciuto!
Jet pesava circa una ottantina di chili, con il pelo lungo e lanoso bianco e nero,con occhi profondi e scuri, ma eternamente cucciolo, non aveva minimamente idea della sua mole e potenza, sempre pronto a giocare, a far danni in ogni dove, ma talmente buono e dolce da farsi sempre perdonare.Lo aveva chiamato così per la velocità nel fare guai, riusciva a combinarne addirittura nell’esatto momento in cui veniva sgridato per quello precedente . Un Jet più veloce della luce nel mettersi nei pasticci. Sapeva che spesso Charlie lo prendeva a dormire con lui quando il freddo inverno diceva sul serio, ma non aveva mai affrontato l’argomento, era un dolce segreto fra loro , aveva sempre taciuto, d’altra parte Jet lo avevano trovato lei e Charlie nella spazzatura, in una scatola da scarpe, solo, infreddolito e affamato, quindi apparteneva a tutti e due. Appoggiò la bicicletta sotto il pergolato, ed entro in cucina, era assetata, ma non fece in tempo a portarsi il bicchiere alla bocca che il cellulare si mise a suonare:”Pronto,-e dall’altra parte sentì la voce concitata di Charlie-“sono a circa quattro chilometri da casa, ho investito con il furgone un puledro dei vicini, corri presto, sono sulla strada principale!” e chiuse la comunicazione.
In un battibaleno lei era sul suo camioncino, con Jet, non c’era tempo di metterlo in box,e raggiunse Charlie.
Il giovane stallone era malconcio,aveva ferite sul collo, sulle spalle e lungo il fianco. Ad una prima occhiata Aurora pensò che sarebbe stato impossibile salvarlo.
Si sa che i cavalli hanno una temperatura corporea molto alta, e che le ferite o fratture sono sempre molto difficili da curare e far guarire, per non parlare della fragilità psicologica.
Comunque il primo problema era trasportarlo, anzi no era caricarlo sul furgone di Charlie per portarlo a casa e dedicargli le cure necessarie.
Presero le cinghie per imbragarlo, e con il sollevatore lo issarono sul cassone e lo portarono direttamente alle stalle.
Depositatolo in un tranquillo box, lontano dagli altri e posto a nord dove era più fresco, iniziò a visitarlo. Con grande sollievo constatò di essersi sbagliata , a parte le escoriazioni e due grossi ematomi, non esistevano fratture. Forse il puledro era svenuto solo per paura, non esistevano altre motivazioni dai raggi x.
Con Charlie iniziò a spugnare l’animale con acqua fredda e ghiaccio, sia per pulire le ferite che per causare in lui una qualche reazione. E così fu, iniziò ad agitare la testa, a sbuffare, e ad agitarsi moltissimo,ma senza alzarsi .Vivendo in un piccolo paese, dove esiste a fatica un piccolo negozio di alimentari, ma nel quale puoi trovare dalla medicina al paio di scarpe, ogni qualvolta vi si recava era costretta ad ascoltare i vari pettegolezzi di coloro che per far passare il tempo, avendo ben poco da fare, indugiavano sui loro acquisti pur di poter raccontare le ultime elettrizzanti novità del piccolo borgo.
Fu così che seppe che il terreno adiacente al suo era stato comperato da una donna con due figli e che si erano già stabiliti lì da una quindicina di giorni .
Serviva qualcosa di più, ma non un farmaco, non conosceva bene l’animale e non c’era tempo per esami del sangue, sapeva bene grazie a nonno Adamo e al suo lavoro che anche gli animali amano, soffrono, hanno un cuore, pensano……….” Charlie, per favore chiama subito la proprietaria e falla correre qui”.
Il primo problema era che non la conoscevano, non sapevano il suo nome, quindi dopo un intreccio di telefonate riuscirono a raggiungerla e a farla precipitare da loro.
Videro arrivare a grande velocità un fuori strada e da lì scendere una donna minuta, di trent’anni circa, di carnagione rosso dorato, un viso dai zigomi alti, occhi grandi e neri, e una cascata di capelli corvini, trattenuti a fatica da un pettine alla sommità della testa.
Entrò nella stalla e subito Charlie le andò incontro cercando in modo succinto di spiegarle quanto era successo, scusandosi di continuo. Lei non parlò subito, il suo sguardo era sul puledro, poi sentirono una voce dolce e pacata che diceva:Non si senta così, la colpa è mia , dovevo rinforzare i recinti, ma sono appena arrivata e i lavoro è tanto e il denaro troppo poco”.
Charlie che aveva un grosso nodo alla gola per l’accaduto e non riusciva più a spiaccicare una sillaba, abbassò il capo, e lei gli accarezzò una spalla prima di andare ad inginocchiarsi di fianco del suo puledro, e lì iniziò a parlargli: “ Tuareg, sono qui, alzati, so che ce la puoi fare, Yhinni ti aspetta, al pascolo, non puoi farla aspettare, è la tua sposa. Su , avanti, è tempo di crescere e dimostrarmi di che cosa sei capace, fatti forza, per te e per i tuoi figli che nasceranno, per me, sai che su di te ho puntato tutto, senza te ogni mio sacrificio sarà stato inutile”.
L’animale si chetò, aprì gli occhi, e guardò Kimi, la sua padrona con uno sguardo tranquillo, allungò il muso verso le sue mani, agitò un poco il collo, come per scrollare l’intorpidimento, la annusò, si lasciò accarezzare per qualche minuto, poi con un guizzo si alzò, osservò lo spazio che lo circondava ed emise un nitrito di gioia.
Solo a quel punto Kimi si presentò, senza mai smettere di accarezzare l’infortunato: Scusate per il disturbo, vi ringrazio immensamente per quello che avete fatto. L’incidente non è colpa vostra, ma dei miei recinti fatiscenti e della giovane età di Tuareg,
anzi devo sdebitarmi con voi per quello che avete fatto, portarlo qui, assisterlo, chiamarmi, e i danni nel vostro furgone………….”
Aurora la interruppe: “Innanzitutto il camion ha riportato una ammaccatura che sommata alle altre non cambia certo l il suo aspetto, lo metterà a posto Charlie nel tempo libero, e poi non abbiamo fatto nulla di particolare. Anzi, non ho dato nulla al puledro, non potevo rischiare con dei medicinali, so che molti cavalli di questa razza Pinto sono particolarmente sensibili ai farmaci. Certo che con tutte queste abrasioni sarà il caso di fare una cura di antibiotici, ma solo dopo degli esami accurati. Naturalmente se lei è d’accordo che sia io a curarlo”.
Per tutta risposta a Kimi si illuminò il viso e propose di essere accettata come cliente fissa, salvo un po’ di pazienza per il pagamento delle parcelle. Avvisò Aurora che oltre a Tuareg e Yhinni aveva una coppia di somarelli, di pecore, di capre e che avrebbe sempre avuto bisogno della sua consulenza.
Si accordarono con una stretta di mano, lasciarono Tuareg lì nella stalla in modo che Aurora potesse facilmente eseguire gli accertamenti, e preventivarono che da lì a due o tre giorni lo avrebbero potuto riportare a casa di Kimi.
Quella sera Charlie durante la cena non aprì bocca, non disse una parola.
Si alzò da tavola per aiutarla a sistemare la cucina, sussurrò buonanotte e veloce uscì. Era abituata ai lunghi silenzi dell’uomo, non era mai stato particolarmente loquace, e stasera lei sapeva il perché: era ancora divorato dai sensi di colpa per il puledro. Infatti più tardi, dopo aver fatto una doccia tonificante guardando verso la stalla vide le luci accese, Charlie quella notte avrebbe dormito di fianco al cavallo.
Emanuela Zanna