Ed è così che è stato festeggiato il “Tradizionale Carnevale dei Rosolinesi” , collocato all’interno del quadro dei Festeggiamenti del 300° Anniversario della Fondazione di Rosolini, organizzato a cura dell’Associazione “Rosolinesi in Siracusa” e che si è svolto presso il salone del COCUS Club .
Come di consueto l’inizio della serata è stato proceduto dal suono dell’Inno dei Rosolinesi.
Il Presidente, Corrado Di Stefano, ha innanzitutto salutato e ringraziato gli Ospiti, i Soci e i familiari, per essere intervenuti alla serata e ha portato i saluti del Presidente del Circolo Siciliano di Santa Fé – Argentina, il prof. Giuliano Salemi Gugliotta, con il quale si è stipulato un accordo di cooperazione socio-culturale.
Il tema della serata è stato introdotto dal gruppo teatrale Anteas di Siracusa, coordinato da Agatino La Fata, che ha dato lettura di un racconto, scritto dal rosolinese Federico Faraone, di come si festeggiava in passato il Carnevale a Rosolini.
Il Racconto così ricco di riferimenti, ha dato l’impressione reale e concreta, a tutti coloro che erano presenti,di fare un salto nel passato e di trovarsi in una Rosolini di tanti anni prima.
“ In quella ricorrenza, un enorme pupazzo di cartapesta veniva portato in giro per le strade del paese, spesso accompagnato dalle note di qualche strumento musicale e di un immancabile tamburo. Carnevale circolava, in un primo tempo, su di un grande carramattu, tirato da uno sfiatatissimo asino. Qualche anno dopo, cominciò a essere portato in giro su di un camion che però, nel suo lento procedere, emetteva fastidiosissimi e irrespirabili scarichi che ammorbavano l’aria.
Il camion aveva anche il pianale ben più alto rispetto a quella del carramattu, tanto che spesso, lungo il percorso, la testa del pupazzo rischiava di toccare i fili della “corrente elettrica”.
Perciò, in qualche caso bisognava sollevarli un po’, mediante una lunga canna di cui, per l’occasione, il camion era appositamente dotato”.
Queste testimonianze, come quella del Signor Federico Faraone, sono molto importanti per il recupero e per la conservazione della propria tradizione, per fare sì che si rafforzi sempre di più sia la conoscenza che la coscienza della propria Identità.
In tutte le case si conservavano gli appositi attrezzi (“péttini e usa”) con i quali si preparavano abbondanti quantità di questo tipo di pasta, in vista di festose e gustose abbuffate e di altrettante allegre e generose bevute.
Dal punto di vista della tradizione culinaria, questa festività era caratterizzata dai famosi “maccarruna cò sugu i maiali”.
In seguito, al fine di conoscere le tradizioni carnevalesche della Città che ha accolto negli anni tanti Rosolinesi, il Prof. Salvatore Di Pietro ha illustrato ai presenti il “Carnevale di Siracusa”. Premesso che una volta a Siracusa vi erano diversi artigiani come falegnami, fabbri, operai che lavoravano la cartapesta, ecc, che costruivano e si impegnavano a dare vita a Re Carnevale e ai carri.
Ai giorni nostri, venendo a mancare questi preziosi artigiani, per forza di cose, il Carnevale non può essere vissuto più come una volta, ma rimane comunque sempre molto emozionante il riviverlo per come era.
Durante il suo racconto, il prof. Di Pietro ha ricordato la storia di Don Savarinu (Culu ‘i Truscia) che, durante la festa di Carnevale organizzava “U festivallu ri cannaluvari”, dove si realizzavano delle grandi recinzioni che cingevano completamente Piazza delle Poste con un ingresso a forma di mascherone e con all’interno tutta una serie di “casotti” nei quali si poteva “jucari o’ sutta novanta”. Il gioco consisteva nel prendere tre “giannetti” da un sacchetto, di solito utilizzato per il gioco della tombola per Natale, la cui somma non doveva superare il numero novanta (da qui la denominazione di giocare “o’ sutta novanta”), se tale somma era superiore, si diceva che aveva “Scassatu”e il giocatore aveva perso, se invece tale somma era inferiore a novanta il giocatore vinceva per esempio un cannolo, un rotolo di salsiccia, un salamino, un galletto vivo.
All’interno del “festivallu” venivano allestiti i carri allegorici e soprattutto un carro raffigurante “RE Carnevale” con tanto di corona in testa, una “corda” di salsiccia in una mano e un coltellaccio da macellaio nell’altra, con un movimento gesticolante, come ad invitare i passanti ad assaggiare la salsiccia.
I carri allegorici, raffiguranti i vari personaggi della politica e del “costume italiano del momento, con ragazzi e ragazze in maschera ed orchestrine inneggianti il Carnevale.
Il Carnevale era il periodo in cui si raccontavano le “Nnuminagghie”, gli indovinelli e si facevano tanti tipi di scherzi a tutti i passanti.
Durante la serata sono state allestite delle scenette comiche, è stata letta e commentata la Canzone in Rosolinese dal titolo “Scende la sera”, scritta dalla Scrittrice Rosolinese Ignazia Iemmolo Portelli, la quale ricorda che dopo la lunga e dura giornata di lavoro, gli uomini tornavano a casa con lo stesso mezzo, u carrettu, e, per scacciare la stanchezza e la noia del viaggio, la cantavano.
Per festeggiare degnamente il Carnevale è stata organizzata una cena con il seguente menù:
Cavatieddhi cco sucu i maiali e sausizza;
Urzata ri mannarini;
Ciacciri e ciacciaruni;
Acqua i bbuttigghia e scordapeni.
La serata è stata allietata dalle piacevoli canzoni interpretate dal Prof. Salvatore Di Pietro.
Nell’occasione, per ringraziare gli attori e il cantante sono state donate delle targhe ricordo.
Il presidente, Corrado Di Stefano, seguendo lo spirito associativo che caratterizza questa Associazione e nell’occasione dei Festeggiamenti del 300° Anniversario della Fondazione di Rosolini, con questo evento ha voluto ripercorrere e richiamare alla mente la tradizionale festa del Carnevale di Rosolini, essendo un convinto sostenitore del valore della ricerca e dello studio del folklore, come conoscenza delle verità sociale, politica, religiosa, etica ed economica.
Anche la Professoressa Ignazia Iemmolo Portelli nel suo libro “ Cosi ri casa nostra” ribadisce
l’ importanza dei festeggiamenti nel periodo del Carnevale, narrando in tale modo a pag. 99 del suo libro:
Carnevale e i luminagghi.
Dopo Natale, altra festività molto sentita era il Carnevale ( Carnavali).
Già qualche giorno prima della festa cominciavano i preparativi.
Il giovedì grasso, a cena, veniva servito “ u maccu lurdu “ ossia
una minestra con tutti i tipi di legumi disponibili e cotiche di maiale.
Le parenti o le vicine si aiutavano l’un l’ altra per preparare i “ maccarruna”
impastati con farina, uova e acqua piovana: “ Tannu è veru carnavali quannu
s’ ampastunu i maccarruna ccu l’ acqua re canali (70). Ciò per indicare anche
che la gioia poteva essere completa solo se un’abbondante pioggia assicurava
la buona annata. La pasta così impastata e ben lavorata (scaniata) veniva
ridotta in striscioline sottili e attorcigliata “ o usu ri ciaccalora (71) e poi passata
al pettine ( vedi foto ) e lasciata asciugare “ne canniscia ri usa (72).
I maccheroni conditi con abbondante sugo e con pezzetti di carne di maiale,
salsiccia e patate, venivano consumati la domenica e il lunedì di Carnevale.
I giovani, in prevalenza maschi, si mascheravano in modo che nessuno
potesse riconoscerli e andavano in giro a stuzzicare gli amici e a guardare,
da vicino, la propria bella che rideva compiaciuta sotto lo sguardo vigile
del padre, poi in piazza per il veglione.
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(70) E’ vero carnevale quando i maccheroni s’ impastano con l’acqua piovana.
(71) Culmi resistenti di canna fessa.
(72) Cesti di culmi intrecciati.